D - Perchè nei piani urbanistici, al di là delle virtuose raccomandazioni, il paesaggio urbano - sia quello del futuro da costruire sia quello ereditato dalla storia - non sembra da tempo precisamente al primo posto, tanto che la città contemporanea fa fatica a trovare un dialogo costruttivo (nelle funzioni come nelle forme) per es. con fiumi, boschi, giardini privati ed aree di aggregazione ?
R - La ragione è, al tempo stesso, semplice e complessa. Essa sta nel fatto che la visione del territorio oggi egemonica è quella che vede e usa il territorio come qualcosa che diventa ricchezza (soldi e potere) mediante la sua “urbanizzazione”, dove con questo termine si intende la costruzione di strade e stradoni, case e casette, capannoni e piazzali – e così via. Se accanto alle forme si sapesse guardare anche alla sostanza delle cose, e ai meccanismi che governano le trasformazioni del territorio, ci si rederebbe facilmente conto che l’uso del territorio è finalizzato alla realizzazione di maggior ricchezza per chi lo possiede (o se ne può appropriare) mediante la sua trasformazione in quella “repellente crosta di cemento e asfalto” che indignava Antonio Cederna.
Il territorio dovrebbe essere visto, e usato, come un elemento essenziale della vita presente e futura della società perché è, come dice Piero Bevilacqua, l’habitat dell’uomo (e di altre specie animali e vegetali). Esso oggi è visto e usato unicamente come produttore di valore di scambio. Quindi i processi reali di trasformazione del territorio sono del tutto indifferenti sia al rispetto delle qualità (naturali, paesaggistiche, culturali) e degli elementi di rischio (terreni franosi, esondabili, falde inquinabili ecc.) esistenti, sia alla creazione di nuovi paesaggi dotati di qualità nuove.
A questo proposito devo aggiungere che a mio parere non siamo capaci di imprimere qualità nel territorio se non interpretiamo l’azione che compiamo oggi come lo sviluppo e la prosecuzione delle azioni che la natura e la storia hanno svolto nei secoli passati. Oggi, invece, l’interesse personale che sollecita i più (a partire dagli architetti e dai sindaci) è costituito dall’affermare la propria personalità, individualità, creatività, eccezionalità.
D - Nell'ipotesi che le città più virtuose nei prossimi 10 anni decidano di non costruire neanche un mattone, quali azioni potremmo intraprendere per recuperare il degrado e lo squallore crescente delle periferie e delle macro-infrastrutture già presenti ?
R – Suggerisco tre passaggi, e ritengo necessaria una condizione.
Primo passaggio: decidere che non si sottrae un solo metro quadrato al terreno libero (naturale o agricolo che sia) se non si tratta di un’indifferibile esigenza sociale non soddisfacibile riusando suoli già sottratti al ciclo nella natura, che si tratti di aree esterne o interne alla città costruita.
Secondo passaggio: abbandonare la logica, oggi dominante, di progettare ogni nuovo elemento (casa, strada, canale, piazzale ecc.) come elemento isolato dal contesto, e vedere invece ogni trasformazione come qualcosa che nasce da una visione, e da un progetto, relativi all’intero contesto cui l‘oggetto appartiene. Poiché il paesaggio altro non è che l’immagine, la forma, di un contesto ampio, identificabile nelle sue connessioni interne e colto nelle sue differenze da ogni altro contesto.
Terzo, conseguentemente applicare il metodo della pianificazione urbanistica e territoriale, colpevolmente abbandonati dei decenni passati per effetto delle stesse logiche, ideologie e interessi che hanno fatto prevalere la “città della rendita” sulla “città dei cittadini”.
Naturalmente non basta qualsiasi pianificazione: occorre una pianificazione orientata secondo principi e di obiettivi coerenti con quello della difesa della bellezza, della salute e del benessere dei cittadini di oggi e di domani. La pianificazione che si pratica oggi è volta invece alla crescita della ricchezza economica di chi adopera il territorio per accrescere il suo potere finanziario. Quindi, la condizione preliminare è che si modifichi il punto di vista dal quale si vede la città, e le esigenze che devono essere soddisfatte prioritariamente nel governo delle trasformazioni del territorio.
D - Partendo dalla tua esperienza di urbanista, puoi proporci degli esempi positivi di paesaggi contemporanei ?
R. Purtroppo nella mia memoria si sono accumulate immagini nelle quali le espansioni recenti hanno lasciato sopravvivere solo brandelli dei paesaggi del Belpaese di anni lontani. E mi riferisco sia alle espansioni nelle forme compatte delle periferie delle grandi città governate dalla speculazione degli anni del dopoguerra, sia nella sbriciolatura miserabile dell’abusivismo delle coste e delle periferie di gran parte dell’Italia centrale e meridionale, sia nello sprawl (lo sguaiato sdraiarsi della città sul territorio) delle opulente città dell’Italia dello “sviluppo”. I tentativi compiuti negli anni migliori della nostra storia recente (mi riferisco agli anni 60-70 del secolo scorso) sono stati per lo più stravolti dai decenni successivi.
E’ dalla difesa di quei residui brandelli (nella quale per fortuna un numero sempre più vasto di cittadine e cittadini sono impegnati), da una concezione della bellezza come un valore che nasce dall’umiltà (humilitas significa “adesione alla terra”) e dal rispetto della storia e della natura che potranno nascere esempi positivi di paesaggi contemporanei. La scommessa è riuscire a proiettare la storia sul futuro, evitando i due scogli del mimetismo e del nuovissimo.
Edoardo Salzano, 16 aprile 2012