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Edoardo Salzano
20090900 Facciamo spazio (pubblico)
28 Gennaio 2010
Articoli e saggi
Dal numero speciale di Carta estnord (anno XI, n. 8, settembre 2009) dal titolo “Crepe nel cemento”

Lo spazio pubblico è un bene comune. Ma il concetto di “bene comune” è un concetto che è bene spiegare, come tutti quelli che indicano significati e realtà controcorrente.

Il “bene” è qualcosa che vale di per sé, per la sua identità, per l’uso che ne possono fare le persone. Un bene può essere un oggetto (una spiaggia o una terra, una casa o una statua, un pezzo di pane o l’acqua limpida che sgorga dalla sorgente), o un sentimento (l’amicizia, l’amore, il rispetto), o una relazione con qualcos’altro (la conoscenza, la partecipazione, la cura della salute). Può avere un valore venale (il pane lo devo pagare a chi lo fa, così la statua o il libro), ma è una condizione accessoria. Insomma, il bene non è una “merce”.

Qualcosa che è “comune” (un’altra parola che si tende a cancellare) appartiene a più persone: a una comunità, o a un’intera società (locale, nazionale, mondiale). Nessuno può appropriarsene individualisticamente; tutti devono poterne godere, rispettando le regole che consentono a tutti di farlo.

Sono beni comuni l’acqua e l’aria, sono beni comuni la storia dell’umanità e il suo futuro, sono beni comuni gli spazi pubblici.

Un ruolo rilevantissimo nella vita della città e del territorio (e di tutti gli uomini che formano la società, e della società nel suo insieme) hanno gli spazi pubblici. Devo precisare che cosa intendo quando parlo di spazi pubblici.

Gli spazi pubblici sono l’anima della città e la ragione essenziale della sua invenzione; sono il luogo nel quale nella quale società e città s’incontrano, nel quale il privato diventa pubblico e il pubblico si apre al privato.

Lo spazio pubblico ha il suo punto di partenza nell’archetipo della piazza, ma permea l’intera concezione della città come bene comune: la città come spazio fisico (urbs), la città come casa della società (civitas), la città come governo (polis). Ma lo spazio pubblico è costituito anche da tutti quegli elementi della città e del territorio che sono finalizzati allo svolgimento di funnzioni che non ha senso, o non è possibile, svolgere individualmente: dalla scuola all’ospedale, dalla biblioteca al tribunale, dal campo sportivo alla palestra.

La lotta per una quantità e qualità adeguata degli spazi pubblici ha avuto un suo momento significativo, in Italia, negli anni Sessanta del secolo scorso, nella conquista degli “standard urbanistici”. Vuole allargarsi oggi ad altri elementi e altre esigenze. Del resto, fin dfa quegli anni la vertenza per i servizi e gli spazi pubblici si è saldata, diventando tutt’uno, con quella per “la casa come servizio sociale” e quella per il “diritto alla città”. Oggi ci può proporre di allargare l’attenzione e l‘obiettivo dalla conquista (dalla difesa) delle attrezzature e dei servizi di prossimità (dal quartiere alla città) all’intera gamma di esigenze dell’uomo che vive su territori più ampi: la ricreazione psico-fisica nei grandi spazi naturali dei monti, delle colline e delle coste, il godimento dei grandi patrimoni archeologici, storici e culturali disseminati sui territori, le attrezzature utilizzabili solo in una dimensione di area vasta.

Non è spazio pubblico solo l’insieme dei luoghi fisici. É spazio pubblico anche l’uso che si fa dei suoi elementi. Non a caso nella civiltà greca e in quella romana lo spazio pubblico fisico (l’agorà e il foro) erano i luoghi della politica. Lì si discuteva e si dibatteva, lì avevano voce tutti quelli cui le regole di quella democrazia dava il diritto di parlare e di dissentire, lì quelli che gestivano il potere avevano il dovere di confrontarsi con chi li criticava.

Ai giorni nostri non difende gli spazi pubblici solo chi difende il parco dall’invasione del cemento, la piazza dalla sua trasformazione in parcheggio, l’edificio pubblico dall’alienazione al privato. Difende lo spazio pubblico anche chi, come l’Onda che si sollevò impetuosa dal mondo della scuola, difende il principio della scuola aperta a tutti, finanziata con i soldi di tutti, e amministrata e gestita nell’interesse generale: appunto, difende il carattere pubblico della scuola. E difende lo spazio pubblico chi si oppone alla norme che, con l’alibi della sicurezza, vietano l’accesso agli spazi pubblici a determinate categorie di abitanti (cittadini o forestieri che siano), o addirittura, come è accaduto perfino nella civilissima Reggio Emilia in attuazione di una circolare del ministro Maroni, impediscono in talune piazze la riunione di più persone.

Oggi gli spazi pubblici sono attaccati su più fronti, da mille tentativi di privatizzazione e mercificazione.

Sono attaccati là dove esistono: dove si trasforma un’area destinata dalle norme sugli “standard urbanistici” , o dalle scelte di piani regolatori lungimiranti, a un’utilizzazione edilizia privata. Come a successo (un esempio tra mille) a Padova con le iniziative di cancellare con l’edilizia i “cunei verdi” dalla campagna al centro città, che erano stati disegnati dal piano di Luigi Piccinato.

Sono attaccati dalla mancanza di previsione di spazi pubblici nei nuovi quartieri e nelle periferie delle città, oppure quando si spacciano per spazi pubblici aree destinate al verde e a qualche servizio, ma posti di fatto al servizio diretto degli abitabti dei condomini circostanti. Uno spazio pubblico, per essere tale, deve essere aperto a tutti e da tutti deve essere sentito tale, non deve essere occluso da recinzioni reali o virtuali

Cancellare o indebolire gli spazi pubblici, negarne le caratteristiche fondamentali, significa cancellare o indebolire la città come intreccio di urbs, civitas, polis: di luogo fisico, di società di politica. Significa commettere un “urbicidio”.

Atti che vanno in questa direzione non sono solo quelli che ho finora ricordato. Lo è anche il tentativo, in corso ormai da qualche decennio, di sostituire agli spazi pubblici la loro scimmiottatura: i “non luoghi” (gli ipermercati e gli outlet, gli aeroporti e le stazioni ferroviarie) caratterizzati dalla ricerca dei requisiti opposti a quelli che rendono pubblica una piazza (lo spazio pubblico per antonomasia): la recinzione mentre la piazza è aperta, la sicurezza mentre la piazza è avventura, l’omologazione mentre la piazza è differenza e identità, la natura delle persone che la abitano, clienti anziché di cittadini; la distanza dalla vita quotidiana anziché la sua prossimità.

L’attacco agli spazi pubblici hanno la sua matrice ideologica in quel declino dell’uomo pubblico che molti pensatori denunciano da tempo; un declino che ha forse la sua radice in quell’alienazione del lavoro, ossia nella finalizzazione dell’attività primaria dell’uomo sociale ad “altro da sé”, che costituisce l’essenza del sistema capitalistico. E hanno la loro matrice strutturale nel dominio del diritto alla proprietà privata e individuale sopra ogni altro diritto, che costituisce il fondamento dei sistemi giuridici vigenti, in Italia e altrove.

A questi rischi occorre opporsi. E in mille luoghi d’Italia ci si oppone, con l’iniziativa di comitati, associazioni, gruppi di cittadini e di abitanti che si mobilitano a difesa del loro territorio, delle loro città, dei loro quartieri. Fra qualche giorno, il 12 settembre, a Padova, a conclusione della Scuola estiva di eddyburg si terrà un convegno nazionale organizzato da Cgil, eddyburg e Legambiente proprio su questi argomenti. Il tema è: “Spazio pubblico: declino, difesa, riconquista”.

(2 settembre 2009)

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