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Edoardo Salzano
2000311 Il PRG di Eboli e il quadro nazionale
1 Maggio 2008
Interventi e relazioni
Intervento al convegno indetto dal Comune di Eboli (Salerno), per la presentazione del nuovo PRG, Eboli, 11 marzo 2000.

Un quadro nazionale contraddittorio

Il nuovo PR di Eboli si colloca in una situazione nazionale fortemente contraddittoria. In essa colpiscono in primo luogo gli elementi negativi, alcuni dei quali sono già stati evocati in questo dibattito. Voglio riassumerli in quattro punti.

1. La grande incertezza sull’idea stessa di potere pubblico, sul suo ruolo, la sua forza, la sua necessità: L’interesse comune sembra spingere sempre di più verso la disponibilità del potere pubblico a diventare mero strumento al servizio degli interessi privati. Il documento sull’urbanistica milanese, di cui De Lucia ha parlato, è un caso limite, non certo l’unico.

2. La continua contrapposizione di strumenti speciali, sostanzialmente derogatori, provocati e condizionati dall’emergenza e dall’occasionalità, prodotti e gestiti all’ombra della discrezionalità, agli strumenti della pianificazione, necessariamente, statutariamente governati dalla trasparenza e dalla tensione verso la coerenza.

3. L’utilizzazione dell’accresciuta attenzione dei cittadini per l’ambiente più come stimolo alle esercitazioni retoriche che come presa in carico dell’esigenza di avviare processi di lungo periodo capaci di stabilire nuovi equilibri tra storia e natura, tra uomo e ambiente. Dalla tensione verso il la ristrutturazione ecologica della produzione siamo passati alle ecodomeniche.

4. Quasi come sintesi ed emblema degli elementi negativi del quadro, le mai sopite tensioni verso la promozione dell’abusivismo (Gaia Pallottino ce lo ha appena ricordato) attraverso la riproposizione continua dei condoni, nonché la scarsa attenzione verso gli episodi di deciso contrasto all’abusivismo, che hanno visto Eboli in prima linea.

Un quadro scoraggiante. Ma per fortuna, accanto a questi elementi ve ne sono altri di segno opposti. Deboli, non ancora egemoni, forse addirittura minoritari, che proprio per ciò meritano di essere conosciuti, promossi, valorizzati nei loro elementi positivi più che criticati per gli aspetti insoddisfacenti e per gli errori che inevitabilmente contengono. Mi riferisco a due serie di elementi:

- ad alcune tendenze e iniziative nuove a livello nazionale (e in particolare alla nuova legge urbanistica)

- all’azione di pianificazione corretta e innovativa che un numero non trascurabile di amministrazioni – soprattutto comunali e provinciali – sta conducendo.

Le legge urbanistica nazionale

Dopo un lungo lavoro dell’VIII Commissione parlamentare della Camera dei deputati, e un lavoro intelligente della sua Presidenza, è stato definito un testo unificato che affronterà nei prossimi mesi le discussioni e decisioni finali. La valutazione complessiva che ne do è positiva: è una proposta che assume, con equilibrio e intelligenza, gli elementi positivi e innovativi emersi dal dibattito e dall’esperienza degli ultimi tre lustri. Mi limito a sottolineare alcuni aspetti essenziali.

Mi limiterò ad annotarne gli aspetti a mio parere più interessanti.

In primo luogo, l’assunzione piena dell’articolazione degli atti di pianificazione in due componenti, quella strutturale e strategica e quella programmatica e operativa, come nuova forma della pianificazione. Una forma che si è cominciato a sperimentare nel PRG del centro storico di Venezia negli anni Ottanta, che è stata proposta da Polis nel convegno sui 50 anni della legge urbanistica tenuto a Venezia nel 1992, che è stata assunta dall’INU nel congresso di Bologna nel 19895, che è stata sperimentata in più d’un PRG e che è sostanzialmente contenuta nelle nuove leggi urbanistiche della Toscana, della Liguria, del Lazio. È un’innovazione decisiva, a mio parere, pere rendere più chiaro e più snello il processo di pianificazione, per semplificarne le procedure, per avviarci verso una “pianificazione continua” delle trasformazioni del territorio, per decentrare le responsabilità di rilevanza locale senza rinunciare al controllo di quelle di carattere più generale.

In secondo luogo, la definizione di rapporti responsabili tra i diversi livelli di governo coinvolti nel processo di pianificazione. Benché non si dia una definizione sufficientemente rigorosa del principio di sussidiarietà, esso è concretamente applicato in modo convincente: non come trasferimento d’ogni potere “verso il basso”, ma come individuazione del livello giusto (cioè efficace ed efficiente) per ogni decisione. La responsabilità degli enti sottordinati viene intesa (come deve essere) in due sensi: essi assumono la competenza a decidere, ma al tempo stesso vengono previste norme suppletive e di salvaguardia nel caso che essi non adempiano in modo adeguato.

In terzo luogo, il modo corretto con il quale si assume e si risolve il tema della “perequazione”: non come riconoscimento generalizzato si un diritto a edificare trasferibile sul territorio, non come “spalmatura” dell’edificabiità, e neppure come alternativa generalizzata all’espropriazione delle aree necessarie per la formazione di spazi pubblici, ma come tecnica di ripartizione di oneri e benefici all’interno delle aree trasformabili, decise come tali dagli strumenti urbanistici. Una generalizzazione, insomma, della procedura già introdotta con i “comparti” dalla legge 1150/1942, estesa alle zone d’espansione dalla legge 765/1967. (Ma devo annotare che rimane aperto un problema di fondo: quello della realizzazione della “indifferenza dei proprietari alle destinazioni dei piani”, e della sperequazione tra i proprietari compresi nelle aree urbanizzabili o riurbanizzabili, e gli altri).

Infine, la soluzione equilibrata che si dà alla questione del coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati nel processo di pianificazione. È una questione decisiva: ne ho parlato come uno degli elementi negativi della situazione nella quale viviamo. La proposta di legge affronta il tema affermando sempre, nelle procedure, il principio della priorità del generale sul particolare, del “piano” sul “progetto”. Questa scelta è resa ancora più esplicita e forte da una proposta che al lettore disattento può sfuggire.

Si prescrive infatti la formazione di un Testo unico nazionale il quale, tra l’altro, si disponga “l’abrogazione esplicita di tutte le norme non conformi ai principi” della nuova legge” (articolo 33). E poiché tra tali principi campeggia quello secondo cui “la tutela, l’uso, la trasformazione del territorio e degli immobili che lo compongono sono disciplinati esclusivamente dai piani” previsti dalla legge stessa (articolo 8), si comprende facilmente come il legislatore s’impegni a fare piazza pulita della selva di strumenti derogatori accumulati negli ultimi vent’anni.

Il “principio di pianificazione”

La valutazione complessivamente positiva, molto positiva, della legge mi induce a sorvolare sui suoi limiti, su alcune formulazioni poco chiare o ambigue. Esse potranno essere precisate e messe a punto nell’ultima fase del lavoro parlamentare – analogamente a quanto, del resto, ci si propone di fare per il PRG di Eboli in fase di osservazioni. C’è un punto, peraltro, sul quale si deve a mio parere porre grande attenzione: esso riguarda il carattere della pianificazione a livello regionale, che nella formulazione attuale della legge è piuttosto evanescente.

C’è un principio, mai esplicitamente formulato ma sotteso all’insieme delle norme proposte, che considero fondamentale. È quello che definirei il “principio di pianificazione”. Esso può essere così espresso. ogni ente elettivo di primo grado, rappresentante di interessi generali della cittadinanza, esprime le proprie scelte sul territorio mediante atti di pianificazione: atti cioè nei quali le scelte siano esplicite, chiaramente definite nei confronti di tutti, trasparenti e - ovviamente - precisamente riferite al territorio, cioè rappresentate su di una base cartografica di scala adeguata alla maggiore o minore definizione e precettività delle scelte.

Assumere questo principio significa aver deciso che la pianificazione è il metodo generale che gli enti pubblici elettivi di primo grado (in Italia: comuni, regioni, province, stato) adottano quando effettuano scelte suscettibili di incidere sull’assetto fisico e funzionale del territorio. Se un ente (poniamo, la Regione), decide che non assume alcuna scelta di rilevanza territoriale, che delega alle province o lascia allo stato qualunque opera o intervento o programma che incida sul territorio, allora evidentemente la pianificazione di livello regionale non è necessaria. Se così non è, allora non si comprende perché le scelte di competenza della regione non debbano essere formulate, garantite nella loro coerenza e rese esplicite con trasparenza, in modi analoghi a quelli da adottarsi da parte delle province e dei comuni.

Mi sembra che il “principio di pianificazione” dovrebbe essere affermato in modo esplicito, e tradotto più compiutamente nella strumentazione a tutti i livelli.

Il nuovo piano comunale di Eboli

Dicevo che il secondo elemento positivo della situazione attuale è individuabile nell’all’azione di pianificazione corretta e innovativa che un numero non trascurabile di amministrazioni – soprattutto comunali e provinciali – sta conducendo. Il caso di Eboli e del suo nuovo PRG mi sembra un caso esemplare di questa tendenza positiva. E devo dire che mi riconosco così pienamente nelle scelte compiute, di merito e di metodo, che ho quasi una certa ritrosia a parlarne.Ma vorrei mettere in evidenza quattro aspetti e limitarmi ad essi.

1. Il sistema degli obiettivi proposto. Sono espressi nella relazione in una frase molto bella, sintetica ed esauriente, efficace. Precisamente, là dove si afferma che il disegno del piano è “comandato dall’obiettivo di rigenerare ciò che è deteriorato, riqualificare ciò che è saturo, trasformare ciò che è incompiuto, connotare ciò che è indefinito”.

2. L’impegno a tutelare quella gigantesca risorsa – per le generazioni presenti e per quelle future – costituito dalla zona agricola. Mi è sembrato leggere una volontà tenace, cocciuta, di difendere quel patrimonio, di contrastare ogni tentativo di lasciar invadere la campagna dalla “discarica urbana”, città diffusa o villettopoli che la si voglia denominare. In quella difesa della produttività agricola vedo l’emblema di un generale impegno alla difesa delle risorse: il centro storico, il territorio collinare, la costa, il fiume. Risorse viste non come “monumento”, ma come occasione per uno sviluppo economico durevole.

3. La decisione, non solo proclamata ma portata a compimento, di costituire un Ufficio del piano che è stato il vero Autore del piano. Questo è un impegno essenziale. Senza questo strumento la pianificazione non esiste: è solo chiacchiera, o accademia.

4. La determinazione con la quale si si è accompagnata, sorretta e preparata la redazione del PRG con un’azione energica contro l’abusivismo,. Senza il recupero della legittimità l’interesse generale non può essere un obiettivo credibile, e la stessa società scompare.

Come vedete, queste valutazioni positive sono rivolte più all’Amministrazione che ai progettisti. Ma secondo me la validità di un piano, a qualsiasi livello, sta proprio in questo: nella capacità e volontà dell’Amministrazione di farne il suo strumento per il governo del territorio. Il piano non è un fine: è lo strumento di questa volontà.

La definizione che preferisco di “piano urbanistico” è proprio questa: “una decisione politica tecnicamente assistita”. Mi sembra che, nel caso di Eboli, l’assistenza tecnica sia stata ottima, e l’azione politica della scelta continua e sistematica degli obiettivi giusti e delle soluzioni giuste sia stata eccezionale.

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