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Edoardo Salzano
19690800 I quindicimila della FIAT. Un episodio della programmazione
7 Dicembre 2008
Articoli e saggi
Un articolo (Polis, rivista quadrimestrale, n. 1, agosto 1969) sull’episodio che aprì una stagione rilevante di lotte per il diritto alla casa e alla città

Il 1° marzo, rispondendo a una interrogazione dei consiglieri comunali comunisti, socialisti e democristiani, l'assessore al lavoro del Comune di Torino confermava la voce secondo cui la Fiat aveva intenzione di assumere 15mila nuovi addetti negli stabilimenti di Rivalta Torinese, reclutando forza-lavoro nelle regioni meridionali. Il giornale della Fiat, nel riportare la notizia, affermava che l'irrisoria aliquota di forza-lavoro locale disoccupata è “il motivo che spinge le industrie a cercarsi mano d'opera nel Sud”. (la Stampa, 19 marzo, 1969).

Le reazioni della stampa è dei partiti

Preoccupazione e allarme suscitava l'autorevole conferma dell'iniziativa del monopolio torinese in alcuni organi di stampa. L'Avanti (19 marzo) poneva in evidenza, nel sommario del “pezzo” dedicato alle 15mila nuove assunzioni, “i problemi non facili da risolversi”, e, “pur non sottovalutando gli aspetti positivi della questione”, criticava il fatto che, “anche in questo caso, le decisioni di uno dei gruppi importanti della economia italiana fossero state presesenza cercare una preventiva consonanza con gli indirizzi della Programmazione”.

Riassumendo e sintetizzando “l'atteggiamento dei partiti politici di fronte a questo nuovo fatto che investe l'economia torinese e nazionale”, l'organo socialista affermava che “i socialisti, nel prendere atto di questo fatto, ritengono necessario affrontare il problema delle infrastrutture inserendolo in un contesto di programmazione serio e concreto”, mentre i democristiani avrebbero sostenuto“ che, prima di tutto, si imponeva la occupazione delle forze esistenti sul mercato torinese”. Viceversa - sempre secondo l'organo del PSI - per i comunisti “il discorso si pone nel contesto del fallimento della politica meridionalistica”.

In effetti, il collegamento tra l'iniziativa della FIAT è l'accentuarsi degli squilibri tra Settentrione e Mezzogiorno è al centro dei commenti riportati su L'Unità (20 marzo).Il quotidiano comunista ricordava, innanzitutto, come il gioco non fosse nuovo, ed abbia avuto “negli anni del boom la sua maggiore espressione: allora centinaia di migliaia di operai furono fatti affluire dal meridione e dalle isole” provocando costi sociali elevatissimi per cui gli industriali non hanno dovuto investire una lira. Il segretario regionale della CGIL, Garavini, sottolineava “il drammatico costo sociale” dei “trasferimenti massicci di forza-lavoro” provocati dalle “autonome iniziative della Fiat” e chiedeva quale fine avessero fatto i propositi e le promesse di investimenti nel Sud, strombazzati da Agnelli nel caldo della polemica per l'Alfa Sud.

Sulotto, segretario della Federazione torinese del PCI, denunziava il processo attraverso il quale, mentre “l'Italia del Nord si integra sempre più con i paesi del MEC, il Mezzogiorno diventa terra di abbandono, di emigrazione verso il Nord e verso l'estero”.

Nelle stesse pagine dell'Unità, in un commento redazionale dal titolo “Chi programma in Italia”, Ugo Pecchioli affermava a sua volta: “ecco gli effetti della programmazione del centro-sinistra: da un lato intere parti del territorio nazionale (nel Mezzogiorno prima di tutto, ma anche nelle campagne, nelle zone collinari e montuose del Nord) che degradano economicamente e socialmente. a livelli infimi, e dall'altro alcune zone settentrionali in cui cresce a dismisura una concentrazione di imprese industriali che rende l'esistenza degli uomini sempre più soggetta a difficoltà e asprezze, che comporta costi sociali elevatissimi che si scaricano su comuni in crisi, dissanguati, vessati da governo e prefetti”.

Una nota della CGIL

Il 21 marzo la stampa informava di una interpellanza rivolta al Ministro del Bilancio dall'on. Compagna, del PRI, e di una presa di posizione della CGIL. II primo, indicava nella possibilità di “realizzare una impegnativa operazione di trasferimento nel Mezzogiorno di aziende complementari dell'industria automobilistica uno dei provvedimenti da adottarsi per evitare che la mano d'opera disponibile nel Mezzogiorno sia utilizzata mediante l'emigrazione”. La CGIL, dal canto suo, affermava tra l'altro che “gli attuali programmi Fiat di espansione degli impianti e della occupazione, se confermati, aggravano la tendenza in atto alla emarginalizzazione industriale del Mezzogiorno depauperando ulteriormente le regioni meridionali dalla forza-lavoro più qualificata che dovrebbe costituire la base stessa dello sviluppo economico, mentre nel contempo acutizzano tutti i problemi sociali e aggravano i costi economici connessi alla emigrazione nelle zone del paese già ad alto sviluppo”.

Queste tempestive reazioni - in cui alle tradizionali impostazioni meridionalistiche e alle preoccupazioni municipali del comune torinese si affiancavano le esigenze dello sviluppo nazionale espresse dai portavoce organismi politici e sindacali del proletariato italiano provocavano, ad alcuni giorni di distanza, due ambigue “messe a punto”: l'una, del titolare del Ministero del bilancio e della prograrnmazione, Luigi Preti; l'altra della azienda automobilistica torinese.

La replica del programmatore

Il ministro Preti, in una dichiarazione pubblicata dalla stampa il 24 marzo, coglieva innanzitutto l'occasione per recitare. l'ennesima litania in gloria del centro-sinistra, ormai contestato autorevolmente anche dal suo interno. “Questa possibilità di nuova occupazione - affermava infatti il ministro - rappresenta un elemento positivo ed è il segno di un intensificarsi (il corsivo è nostro) del ritmo di sviluppo economico, conseguente all'azione del governo di centro-sinistra”. Il governo comunque, proseguiva il ministro, ha il compito di “indicare e promuovere, nel quadro della programmazione economica, l'espansione equilibrata della occupazione e una attenta localizzazione degli investimenti. tenendo particolarmente presente l'opportunità di evitare quelle negative conseguenze che non possono non derivare da emigrazioni di massa. Problemi di cosi rilevante portata non possono non essere esaminati (...) nella sede della contrattazione programmata che ha lo scopo di armonizzare gli interessi aziendali e gli interessi prevalenti dell'economia del paese”.

Dichiarazione assai cauta sul merito dell'iniziativa Fiat. come si vede, e palesemente corriva con la strategia sottesa a quella iniziativa. Non a caso infatti (la scelta delle parole ha sempre un senso) Preti inneggia all'intensificazione del ritmo di sviluppo economico. Ma non e proprio uno sviluppo esclusivamente intensivo quello in virtù del quale si accrescono continuamente i livelli accumulativi negli attuali poli dello sviluppo. a spese del resto del paese? Non sono forse inevitabili, nel quadro di uno sviluppo intensivo, l'aggravarsi degli squilibri territoriali e settoriali, l'abbandono del Mezzogiorno e dell'agricoltura la secca eliminazione della questione meridionale e di quella agraria attraverso il meccanismo spontaneistico dell'emigrazinne?

Quale “contrattazione programmata”?

Nè vale il proporre il ricorso a una contrattazione programmata intesa” come armonizzazione degli interessi aziendali con quelli generali. Il problema non è quello di mediare tra le esigenze generali dello sviluppo del paese e gli interessi aziendali delle singole impre-e. E infatti, la stessa logica degli interessi aziendali è proprio quella che conduce all'accentuarsi di quegli squilibri che, viceversa, le esigenze generali dello sviluppo del paese impongono di superare e risolvere, sicché “armonizzare” o mediare gli uni c gli altri può voler dire soltanto ridurre la programmazione o alla mera registrazione delle decisioni aziendali o alla vacua esercitazione oratoria.

Il problema non è quello di “armonizzare” obiettivi della programrnazione e interessi aziendali nell'ambito del sistema di convenienze date. Il problema è, viceversa, quellodi modificare dalle radici l'attuale sistema di convenienze in funzione del quale le aziende, pubbliche e private, oggi agiscono; utilizzando a tal fine tutti gli strumenti di cui la mano pubblica dispone (e non sono pochi, nè di scarso rilievo), e “armonizzando” in tal modo, senza ambigue contrattazioni più o meno “programmate”, le politiche aziendali. Il problema, insomma, è stabilire che cosa deve essere prodotto, per chi e dove; e alle tre domande deve essere data una risposta unitaria e coerente. Chi potrà mai ragionevolmente impedire alla Fiat di ampliare i suoi impianti a Torino, finchè la Fiat produrrà per la motorizzazione privata? Che senso avrebbe produrre a Cosenza o a Trapani o a Nuoro automobili, se il mercato è essenzialmente nel triangolo industriale e nei “poli” maggiori? Una diversa politica di localizzazioni pretende la formazione di un mercato diverso da quello omogeneo alla spontaneità ciel sistema.

Risponde la Fiat: ragazzino, lasciami lavorare.

Di fronte al nullismo del ministro programmatore, di fronte alle proteste necessarie, ma in definitiva superficiali, delle sinistre la Fiat non ha avuto un gioco difficile. II monopolio dell'automobile ha replicato infatti, il 24 marzo, che “le assunzioni attualmente in corso non presentano alcun aspetto di eccezionalità”, poiché esse in parte corrispondono ad “un naturale avvicendamento delle maestranze occupate”, e in parte sono dovute «alla normale espansione della produzione”. Facciamo quello che abbiamo sempre fatto, risponde in sostanza la Fiat, e non intendiamo dar conto a nessuno.

Nè d'altronde, prosegue la nota dell'azienda torinese, “è stato predisposto alcun reclutamento specifico e diretto dimaestranzenel Sudd'Italia”: le “maestranze meridionali, i figli dei contadini immiseriti delle campagne del Mezzogiorno, dei pastori sardi o abruzzesi, i terremotati della Sicilia e i disoccupati cronici di Napoli o Palermo, saranno reclutati in modo “generico e indiretto”; affluiranno a Torino senza che nessuno debba spingersi a Foggia o a Crotone per ingaggiarli, come al solito; come al solito, caricheranno sui drammatici treni del Sud le loro famiglie, le loro masserizie, la loro miseria. Quanti hanno già racimolato i soldi per il biglietto, quanti hanno già venduto la casa e la terra, appena i giornali hanno scritto dei 15mila nuovi assunti a Torino?

Il Ministro è sodddisfatto, i torinesi meno

Le precisazioni della Fiat sono valse comunque a tranquillizzare il ministro cui è affidata la programmazione economica. Egli infatti, in una nuova dichiarazione del 27marzo, prende atto con soddisfazione delle opportune precisazioni della Fiat, e non aggiunge nulla di nuovo alle precedenti dichiarazioni.

Meno soddisfatta, e assai più attenta interprete delle “precisazioni della Fiat”, è invece la stampa moderata torinese. Questa comprende infatti che la Fiat non smentisce nulla, e si preoccupa del fatto che il governo, una volta di più tende ad assumere un atteggiamento neutrale (per non dire pilatesco). Così la Gazzetta del Popolo (27 marzo) chiede un intervento governativo; non nel senso. beninteso, di opporsi all'iniziativa del monopolio torinese, perchè “nessuno può essere contrario alle assunzioni e neppure a nuove iniziative industriali nell'area torinese, perchè in un'economia industriale ad alta tecnologia e produttività é antistorico pensare al blocco dello sviluppo. Nel senso, invece, di richiedere che vengano realizzali gli altri poli di sviluppo previsti nella regione piemontese, e che vengano compiuti quegli investimenti pubblici in strade, trasporti. infrastrutture, e abitazioni che sono necessarie a un tempo. per aumentare le “economie esterne per le aziende industriali nell'area torinese” e per prepararsi alla “nuova ondata di immigrati meridionali”.

Lungi dal considerare l'episodio dei 15mila nuovi addetti come il frutto di unequivoco, la stampa più vicina agli industriali torinesi rilancia la palla e gioca al rialzo. Essa così svela lucidamente la logica dei processi cumulativi, che invece. evidentemente sfugge al novello Candide che è il Ministro Preti.

Una programmazione che segue la spontaneità del mercato

E' facile comprendere, in conclusione, che l'episodio della Fiat è perfettamente coerente con la logica della programmazione, del centro-sinistra; più di un commentatore lo ha rilevato.

Tale programmazione, infatti. siriduce indubbiamente (secondo la definizione che ne ha dato Claudio Napoleoni su la Rivista Trimestrale. nell'ormai lontano 1962) a “un complesso di politiche le quali non soltanto non hanno lo scopo di porre il processo di sviluppo sotto una regola diversa da quella fornita dal puro meccanismo di mercato, ma hanno anzi il fine di accompagnare tale meccanismo (...) senza mutarne le caratteristiche essenziali”.

Se è così, poco vale evidentemente minacciare la Fiat col bau-bau della “contrattazione programmata”. Ne basta protestare, come fa Marcello Ferrara su L'Unità (5 aprile), perchè “Roma propone, Agnelli dispone”. o affermare soltanto che “la via è quella della lotta e che occorre passare decisamente al contrattacco”: bisogna sapere anche per che cosa lottare, quale programmazione sostituire a quella di Preti e del centro-sinistra, bisogna decidere che cosa la Fiat deve fare, e non solo che cosa non deve fare.

e.s.

Nota

L’articolo, siglato e.s., è stato scruitto per la rivista Polis, pubblicato sul n. 1, agosto 1969 (Napoli, tipografia Napoletana). La rivista era redatta da Giuseppe Basile, Alessandro Dal Piaz, Edoardo Del Gado, Vezio De Lucia, Raffaele Molino, Antonio Oliva, Edoardo Salzano (responsabile), Lucio Scandizzo.Della rivista uscirono due numeri.

L’episodio descritto aprì una stagione di vertenze sindacali che sfociarono nel grande sciopero generale nazionale del 19 novembre 1969 per la casa, i trasporti, i servizi sociali e la lotta agli squilibri territoriali. Fu la prima volta che in Italia le organizzazioni sindacali dei lavoratori scendevano in campo per affrontare i temi della città e del territorio. Il movimento per la riforma urbanistica, già in moto dall’inizio degli anni 60, ebbe un forte impulso sebbene si concentrasse su temi più limitati: in particolare, quello della casa, che però trascinava con se la questione degli espropri e della realizzazione dei quartieri per l’edilizia economica e popolare (il rafforzamento degli istituti e delle procedure avviate con la legge 167 del 1962). Al tentativo di attuare una politica della casa che limitasse il peso della rendita immobiliare er desse ai poteri pubblici gli strumenti necessari corrispose una stagione di attentati dinamitardi e di tentativi di colpi di stato. Sull’argomento vedi, in particolare, i libri di Vezio De Lucia, Se questa è una città, Donzelli, ed Edoardo Salzano, Fondamenti di urbanistica, Laterza.

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