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INGREDIENTI

farina, 700 gr

lievito di birra disidratato, 1 bustina

olio, 1-2 decilitri

sale q.b.

scarola, 1,5-2,0 kg

aglio, 2 spicchi

olive nere di Gaeta, un buon pugno

capperi salati, due cucchiai

pinoli, un cucchiaio

uva passa, un cucchiaio

peperoncino, secondo gusti

uova, 1 tuorlo

PREPARAZIONE DELLA PASTA

Far sciogliere il lievito in acqua tiepida

Disporre la farina a fontana e versare nel cavo il lievito e l'olio

Mescolare con una forchetta

Aggiungere acqua tiepida poco a poco sempre mescolando, ora con le mani, finché non si è formata una pasta consistente ma morbida

Lavorare con energia per almeno un quarto d'ora, poi lasciar riposare qualche minuto (il dettaglio qui sotto)

PREPARAZIONE DEL RIPIENO

Lavare e scolare la scarola, e lessare in poca acqua bollente, meglio se a vapore: strizzate bene, tagliate con 4-5 colpi di coltello

Disossate le olive e lavate i capperi

Soffriggete in una padella l'aglio e il peperoncino

Aggiungete le olive, i capperi, i pinoli e l'uva passa

Dopo pochi minuti aggiungete la scarola a lasciate soffriggere per 5-10 minuti

Se c'è troppo liquido, eliminatelo

CONFEZIONE DELLA PIZZA

Ungete una teglia di circa 24 cm di diametro

Dividete la pasta in due parti diseguali

Stendete la parte più grande e foderate la teglia, portando via la parte che esce dal bordo

Rapidamente stendete la parte più grande, formate un disco del medesimo diametro della teglia e con esso coprite la scarola, rivoltando i bordi in modo da saldare le due parti della pasta

Con un pennellino passate sulla superficie il tuorlo

Infornate a circa 200 °C e lasciate cuocere finché non è bella dorata in superficie

SERVIRE

Tiepida o riscaldata o fredda, se è ben fatta è sempre buona


Gli ingredienti (a meno della farina). Non confondete la scarola (a foglie liscie) con analoghe verdure. E cercate le olive di Gaeta (di Itri), sono del tutto particolari. Basta poco spazio per impastare e per stendere la pasta

Ecco la pizza completata e adornata, chiusa… …e aperta

Come si fa la pasta

Un’amica mi ha chiesto di spiegarle nel dettaglio il modo in cui faccio la pasta. Ecco, la pasta la faccio così.

Prendo un vassoio bianco grandicello col bordo rialzato, verso al centro la farina (tra 600 e 1000 grammi), foggiandola a fontana

A parte ho fatto sciogliere un cubetto di lievito di birra o, più spesso, una bustina di lievito in polvere in un bicchiere grande d'acqua tiepida.

Al centro della farina metto un pizzico di sale, un cucchiaio d'olio (a occhio, dalla bottiglia), magari un goccio d'aceto che la fa venire più croccante; piano piano verso l'acqua tiepida con il lievito, mescolando con la forchetta.

Quando è diventata una melma abbastanza solida comincio a metterci dentro le mani cercando di fare una palla. Ma ti sfugge da tutte le parti. Si attacca e si stacca, si appiccica alle mani e tra le dita e non ne vuole sapere di assumere una forma autonoma. Devi capire quando vuole un po' d'acqua (te ne è rimasta un po' nel bicchiere, e ce la versi) o quando vuole un po’ di farina (se hai qualcuno che ti aiuta è meglio, se no impiastri il pacchetto della farina con le mani infangate ma chi se ne frega).

A un certo punto comincia a rassodarsi e compattarsi: hai vinto! Continui a lavorarla, togliendo il vassoio (se non l'hai già fatto) e premendo direttamente sul piano (meglio se di legno, io ho solo un pianetto di plastica). Lavorala per una quindicina di minuti, in tutte le direzioni, soprattutto col sottopalmo (è quella parte del palmo che si avvicina al polso). Quando diventa bella elastica (la comprimi e si riallarga) E’ fatta.

Io non la lascio riposare. La divido subito in due parti diseguali. Spolvero sul piano un po' di farina, e infarino il mattarello. Sul piano stendo la palla più grande, la schiaccio e la lavoro col mattarello, girando ogni tre-quattro colpi soprattutto per evitare che s'appiccichi al piano o al mattarello.

Prendo la teglia, la ungo e ci deposito dentro la sfoglia, che è tanto grande da sporgere dal bordo da tutte le parti. Appoggio la teglia così foderata da una parte e lavoro analogamente l'altra palla più piccola. Quando anche questa fatta, riempio la teglia foderata del suo contenuto (la scarola imbottita), appoggio sopra la seconda sfoglia e, cominciando da un lato e girando via via, unisco i due lembi (sopra e sotto), taglio l'eccedenza, li avvoltolo un po' e comprimo, aggiustandoli alla fine con i rebbi di una forchetta.

Con la parte che avanza a volte faccio cuoricini e stelline per decorarla, a volte faccio una pizzetta, a volte la butto per impazienza.

INGREDIENTI

Sei pomodori belli grandi, regolari e maturi

Riso a chicchi grandi che non scuociono, 9 cucchiai

Prezzemolo, un bel mazzo

Menta o mentuccia, qualche foglia

Aglio, due spicchi

Olio, sale, pepe quanto basta

PREPARAZIONE dei pomodori

Lavate i pomodori, tagliate la calotta con un coltello affilato e svuotatelo, facendo attenzione a non rompere la pelle

versate nei pomodori svuotati una goccia d’olio e un po’ di sale

Passate il sugo, buttate i semi e conservate l’acqua

PREPARAZIONE del riso

Fare un battuto con l’aglio, il prezzemolo, la menta, un pochino d’olio, sale e pepe

Mescolare il riso con il battuto aggiungendo un po’ dell’acqua dei pomodori

CONFEZIONE

Collocate i pomodori in una teglia di dimensioni adeguate, lasciando un po’ di spazio

Riempite ogni pomodoro con il ripieno, badando che resti vuoto un quarto del cavo

Aggiungete l’acqua dei pomodori

Coprite ogni pomodoro con la sua calotta

Tagliate a pezzetti un paio di patate e riempite con i pezzetti gli spazi tra i pomodori

Versate sul tutto un filo d’olio e una spolverata di sale

Mettere in forno e lasciate cuocere a fuoco medio per circa 30-40 minuti

SERVIRE

Tiepidi o, meglio, freddi

FONTE

Variazioni personali su base Talismano della felicità

INGREDIENTI

patate, 1 kg

pomodori, 500 gr

cipolle, 3 belle grosse

origano

sale, pepe, olio

PREPARAZIONE

Tagliare le patate, dopo averle ovviamente pelate e lavate, a fette abbastanza sottili

Disporle in un ruoto (teglia) di circa 25-30 cm di diametro, alternando a uno strato di patate uno strato di cipolle tagliate a fette e qualche pomodoro anch’esso tagliato

Cospargere ogni strato di origano, sale e pepe

Alla fine cospargere di abbondante olio

COTTURA

Infornare a temperatuira di circa 170 °C e lasciar cuocere finchè le patate di sotto sono belle abbrustolite (circa 2 ore)

Servire caldo , tiepido o freddo

FONTE

Ricordi d’infanzia rinfrescati da: Jeanne Carola Francesconi, La cucina napoletana, Newton Compton Editori, 1993

Conversazione realmente registrata sulla frequenza di emergenza marittima sul canale 106 a largo della costa di Finisterra (Galicia), tra galiziani e americani, il 16 ottobre 1997.

Spagnoli: (rumore di fondo) ... vi parla l'A-853, per favore, virate 15 gradi sud per evitare di entrare in collisione con noi. Vi state dirigendo esattamente contro di noi, distanza 25 miglia nautiche.

Americani: (rumore di fondo) ... vi suggeriamo di virare 15 gradi nord per evitare la collisione

Spagnoli: Negativo. Ripetiamo, virate 15 gradi sud per evitare la collisione

Americani: (un'altra voce) Vi parla il Capitano di una nave degli Stati Uniti d'America. Vi intimiamo di virare 15 gradi nord per evitare la collisione.

Spagnoli: Non lo consideriamo fattibile, nè conveniente, vi suggeriamodi virare di 15 gradi per evitare di scontrarvi con noi.

Americani: (tono accalorato) VI PARLA IL CAPITANO RICHARD JAMES HOWARD, AL COMANDO DELLA PORTAEREI U.S.S. LINCOLN, DELLA MARINA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA, LA SECONDA NAVE DA GUERRA PIÙ GRANDE DELLA FLOTTA AMERICANA. CI SCORTANO 2 CORAZZATE, 6 DISTRUTTORI, 5 INCROCIATORI, 4 SOTTOMARINI E NUMEROSE ALTRE NAVI D'APPOGGIO. NON VI "SUGGERISCO" VI "ORDINO" DI CAMBIARELA VOSTRA ROTTA DI 15 GRADI NORD. IN CASO CONTRARIO CI VEDREMO COSTRETTI A PRENDERE LE MISURE NECESSARIE PER GARANTIRE LA SICUREZZA DI QUESTA NAVE.PER FAVORE OBBEDITE IMMEDIATAMENTE E TOGLIETEVI DALLA NOSTRA ROTTA!!!

Spagnoli: Vi parla Juan Manuel Salas Alcantara. Siamo 2 persone. Ci scortano il nostro cane, il cibo, 2 birre, e un canarino che adesso sta dormendo.Abbiamo l'appoggio della stazione radio "Cadena Dial de La Coruña" e il canale 106 di emergenza marittima. Non ci dirigiamo da nessuna parte, visto che parliamo dalla terra ferma, siamo nel faro A-853 di Finisterra sulla costa Galiziana. Non abbiamo la più pallida idea di che posto abbiamo nella classifica dei fari spagnoli. Potete prendere le misure che considerate opportune e fare quel cazzo vi pare per garantire la sicurezza della vostra nave di merda che si sfracellerà sulla roccia. Pertanto insistiamo di nuovo e vi suggeriamo di fare la cosa più sensata e di cambiare la vostra rotta di 15 gradi sud per evitare la collisione.

Americani: Bene, ricevuto, grazie.

Titolo originale: Remarks of the Commissioners for Laying Out Streets and Roads in the City of New York, Under the Act of April 3, 1807 – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

I Commissari alle Vie e Strade della Città di New York nominati da una legge relativa alle questioni del miglioramento delle vie e strade di New York, e per altri scopi, il terzo giorno di aprile dell’anno del Signore milleottocentosette hanno approvato secondo forme ed effetti della suddetta legge, le proprie considerazioni sulla mappa qui allegata.

Non appena hanno potuto incontrarsi e prestare il dovuto giuramento, sono entrati nelle cariche del proprio ufficio, e hanno cercato persone di fiducia per effettuare indagini sull’isola di Manhattan, ed acquisire così le informazioni necessarie a proseguire il proprio lavoro, che è stato di molto ritardato dalla difficoltà di reperire personale competente entro i limiti economici che si erano autoimposti, oltre che da altre circostanze sfavorevoli.

Uno dei primi problemi ad attrarre la loro attenzione è stata la forma e maniera di eseguire il compito; ovvero, se ci si dovesse limitare alle strade rettilinee e ad angolo retto, oppure se si dovesse adottare alcuni dei miglioramenti quali circoli, ovali, stelle, che di certo rendono più bella una pianta, qualunque possa esserne l’effetto riguardo alla convenienza e utilità. Nel considerare questo soggetto, non hanno potuto non tenere in considerazione il fatto che una città deve essere composta principalmente dalle abitazioni degli uomini, e che le case con lati dritti e angoli retti sono le più economiche da costruirsi, e convenienti da viverci. L’effetto di queste lineari e semplici riflessioni fu decisivo.

Avendo quindi determinato che l’impianto in generale dovesse essere ad angoli retti, un’altra – a loro parere importante – considerazione fu quella di omogeneizzarsi ai progetti già adottati da singoli, e non indurre grandi trasformazioni nella loro organizzazione.

Ciò, se possibile coerentemente col massimo interesse pubblico, era desiderabile, non solo perché avrebbe reso il lavoro più accettabile in generale, ma anche perché avrebbe potuto essere un modo di limitare le spese. Fu dunque un aspetto di particolare attenzione da parte dei Commissari, perseguito sin quando vari tentativi falliti ne provarono l’estrema difficoltà, e che fu abbandonato infine solo per necessità. Raccontare gli ostacoli che frustrarono ogni sforzo non sarebbe di nessuna utilità. Sarà forse di maggior giovamento per chi possa sentirsi colpito, chiedersi se non si sarebbe sentito anche peggio se i propri progetti fossero stati sacrificati a favore di un vicino più fortunato. Se dovesse essere chiesto perché sia stato adottato il presente piano, preferendolo ad altri, la risposta è perché, dopo aver preso in considerazione tutte le opzioni possibili, sembrava il migliore, o, in altri e più precisi termini più, era quello che presentava meno inconvenienti.

Può essere per molti una ragione di sorpresa, il fatto che siano stati lasciato così pochi spazi vuoti, e tanto piccoli, per i benefici dell’aria aperta e la relativa tutela della salute. Certo, se la città di New York avesse avuto come destino quello di stare sulle rive di un piccolo corso d’acqua come la Senna o il Tamigi, ci sarebbe stato bisogno di molti ampi spazi. Ma i grandi bracci di mare che circondano l’isola di Manhattan ne rendono la condizione, riguardo alla salute così come alla gradevolezza e comodità per il commercio, particolarmente felice. E dunque quando per gli stessi motivi i prezzi dei terreni sono tanto particolarmente alti, appare adeguato conferire ai principi dell’economia un peso maggiore di quello che avrebbero avuto, in circostanze differenti, i dettami della prudenza e il senso del dovere. Sembra adeguato, ad ogni modo, scegliere e conservare spazi sufficienti in posizione elevata a costituire un’ampia riserva, per quando si giudicherà necessario fornire la città, attraverso un acquedotto o macchinari idraulici, di copiose quantità di acqua pura e salubre. Nel frattempo, e anche in seguito, lo stesso spazio può essere consacrato agli scopi della scienza, quando lo spirito pubblico suggerirà la costruzione di un osservatorio. Non sembrava giusto, solo sentito come indispensabile, destinare spazi più ampi per le esercitazioni militari, o per radunare in caso di bisogno le forze destinate e difendere la città. Il problema quindi non era se ci dovesse essere un grande spazio da parata, ma dove dovesse collocarsi e quali dimensioni dovesse avere; e qui ancora va lamentato che ora è tardi perché quello spazio da parata possa essere spostato più a sud ed essere più grande, senza incorrere in una spesa spaventosa. Il luogo che è stato possibile individuare più vicino alla parte di città già edificata considerando l’economia, è ai piedi delle alture chiamate Inklingberg, nelle vicinanze di Kip’s Bay. Non si può negare che sia troppo lontano e troppo piccolo, ma si presume che chi è incline alla critica su questo punto possa in qualche modo ammorbidirsi quando l’esattore chiederà loro la quota della grossa e immediata tassa richiesta anche da questo piccolo e lontano spazio da parata.

Un altro ampio spazio, quasi necessario come il precedente, è quello che in un tempo non lontano sarà richiesto per il pubblico mercato. La città del New York contiene già una popolazione sufficiente a collocarla nei ranghi delle città di secondo ordine, e sta rapidamente avanzando verso il livello del primo. Quindi è forse previsione non irragionevole che in mezzo secolo la città verrà edificata fittamente sino ai margini nord dello spazio da parata, a contenere quattrocentomila anime. Il solo potere della necessità avrà da tempo insegnato, allora, ai suoi abitanti i vantaggi di acquistare le proprie provviste di carne macellata, pollame, pesce, cacciagione, verdura e frutta da commercianti dei paraggi. Chi tratta questi articoli troverà pure conveniente, come chi compera, incontrarsi in un mercato generale. Ciò tende a fissare e rendere equi i prezzi per l’intera città. Il macellaio all’ingrosso, l’orticoltore, il fattore ecc., potranno calcolare con una certa cura le quote a cui cedere le proprie provviste; aggiunto il ragionevole profitto del dettagliante il prezzo per il consumatore varierà più per la qualità dei prodotti che per qualunque altra circostanza. Non è una considerazione marginale il fatto che con questo metodo di approvvigionamento per i bisogni di una grande città c’è un gran risparmio di tempo e di prodotti consumati. Per una persona impegnata in un’attività profittevole un’ora trascorsa al mercato spesso vale più di quanto acquisti; e talvolta è obbligata a comprare una quantità maggiore di quanto non abbia occasione di, e l’eccesso viene sprecato. In più, il tempo speso da chi trasporta articoli di scarso valore dalla campagna per rivenderli al dettaglio pesa in così gran quota sugli stessi prodotti, da aumentarne il prezzo oltre quanto dovrebbe essere.

In breve, dato che l’esperienza mostra i vantaggi di questo tipo di organizzazione per ogni grande aggregazione di umanità, è ragionevole concludere che in futuro verrà adottata, e dunque è adeguato provvedere ad essa da ora. Né è del tutto priva di valore la considerazione secondo cui l’istituzione di un grande mercato generale lascerà disponibili spazi ora usati per questo scopo in parti della città più fittamente edificate di quanto sia perfettamente coerente con salute e pulizia.

Lo spazio scelto per questo scopo è un acquitrino salmastro e, per questo motivo, di prezzo inferiore – anche se di grande valore per la destinazione – ad altri terreni. Il materiale escavato da un largo canale posto nel mezzo, per l’accesso delle imbarcazioni da carico, darà la dovuta elevazione e solidità alle sponde; e in uno spazio lungo un chilometro e largo trecento metri ci sarà, si presume, anche dopo aver tolto quello necessario al canale e al mercato stesso, spazio sufficiente per carri e convogli senza scomodità a chi lo voglia frequentare, per affari o curiosità.

Sarà per molti motivo di sorpresa il fatto che non si sia destinata l’intera isola alla città. Per altri potrà essere motivo di divertimento, che i Commissari abbiano destinato spazio sufficiente ad una popolazione maggiore a quella che si può trovare in qualunque luogo da qui alla Cina. Da questo punto di vista, essi sono stati guidati dalla forma del terreno. Non è improbabile che un consistente numero di persone possa concentrarsi ad Harlem prima che le alte colline a sud vengano contruite in forma di città; ed è improbabile che (per secoli a venire) i terreni a nord di Harlem Flat vengano ricoperti da case. Un’estensione inferiore quindi avrebbe deluso giuste aspettative; e una superiore avrebbe potuto offrire materia al pernicioso spirito della speculazione.

[...]

Nota: la versione integrale e originale di questo famoso documento, al ricchissimo sito di documenti storici dell’urbanistica curato da John Reps alla Cornell University (f.b.)

La via Macelli di Soziglia - zona porto - è nota a Genova per un'apprezzato locale. Consigliati da una guida, stavamo cercando giusto quello, quando siamo stati attratti da un'altra situazione. Da un capo, la via cambia nome e diventa Vico Inferiore del ferro. E all'altezza del civico 9 ci siamo fermati dinanzi a un ibrido: un po' ristorante, un po' macelleria. A un rapido approfondimento, la situazione si è rivelata la seguente: il locale si chiama "Maxelâ" (dove la X si pronuncia come la J in francese). Sembra una macelleria, ma in realtà è un ottimo ristorante... di carne naturalmente...

La presentazione su un sito Internet che ho letto successivamente pecca di inutile timidezza, là dove precisa che sì, è tutta carne, però c'è anche una grigliata vegetariana. La mia impressione è che lì dentro un vegetariano si troverebbe come Sirchia e Veronesi alla mostra mercato della pipa. Filetto, costato, spezzatino, trippe, lingue, frattaglie, sanguinacci, arrosti classici o farciti, “carrè” di bolliti conditi con salse gustose, quaglie e porchetta, presenti nel menu, ma soprattutto visibili sul banco, tagliano in un certo modo la clientela.

Ci sono stato ed ecco cosa ho potuto assaggiare per poi entusiasticamente testimoniare.

Antipastino con salame, formaggio, tortina salata tipo focaccia ligure, fave fresche.

Ravioli con un ragù che i superficiali chiamerebbero alla bolognese, ignorando bellamente che in Emilia il pomodoro è in funzione della carne, mentre lì è la carne in funzione del sugo. La mia compagna ha preso una zuppa di cannellini e spinaci che ha molto gradito.

Due belle e squisite braciolone di cinta senese. Si tratta di un tipo di maiale allevato allo stato brado o semibrado, come descritto qui: http://www.enotime.it/zoom/default_body.aspx?ID=807.

L'esperienza è di quelle che si raccontano in giro per parecchio tempo!

Il vino era un rosso della Lunigiana a base Sangiovese, morbido, trascinante ma non traditore. Non ho preso il dolce perché a quel punto mi è parso fuori luogo. Simpatico il personale che non rifiuta la chiacchierata a chi chiede lumi e ragguagli sul locale e sui piatti. Abbiamo speso 70 euro in due; ma pare ci sia la possibilità di spendere meno, scegliendo altri piatti. Tel. 010/2474209.

La foto l'abbiamo fatta noi con un telefonino. Quindi nessun artificio pubblicitario

I migliori spaghetti alla carbonara che ho mangiato li ha preparati Katrin Melcher, bravissima violinista, la quale sostiene che la bontà dipende dalle freschezza delle uova e dalla qualità della pancetta (nella fattispecie, comprata a Sorano, Maremma, Toscana, Italia). Secondo me anche le dosi sono importanti. Ecco quelle che mi ha indicato Katrin

Ingredienti

1 uovo a persona, più un tuorlo (freschissime)

50 gr di pancetta a persona

30 gr di parmigiano reggiano a persona

2 cucchiai di latte per 4-6 persone

pepe

eventualmente uno spicchio d’aglio

spaghetti, o tagliatelle

Preparazione

Mescolare, con una frusta o, in assenza, con una forchetta, le uova, il latte e il parmigiano, in un contenitore di sufficiente ampiezza da poter contenere gli spaghetti

Tagliare la pancetta a pezzi molto piccoli e regolari, e farla rosolare in padella

Versare la pasta lessata nel contenitore del miscuglio, e aggiungere la pancetta e un po’ di pepe macinato fresco

Servire subito

Postilla

Secondo me il formaggio da usare è il pecorino romano. Se è vero che l'origine del frugale piatto è nella vita quotidiana dei carbonai delle foreste appenniniche dell'Italia centrale

[...]

DIFESA E VALORIZZAZIONE DELL’AMBIENTE FISICO E CULTURALE

80. Sono già stati rilevati i danni inferti dall’intenso sviluppo di questi decenni all’ambiente naturale e alle condizioni di vita del nostro paese ed è stato chiarito come la creazione di un rapporto equilibrato tra l’uomo e il suo ambiente costituisca una finalità della programmazione.

Di seguito sono indicate nelle linee generali le direttive di una politica di vasto respiro e di lungo periodo che consenta, attraverso un attivo intervento dello stato e della regione, di riparare i danni più vistosi, di contrastare le tendenze al deterioramento dell’ambiente, di creare le condizioni di una nuova civiltà del territorio, nella quale siano armoniosamente composte le esigenze della tecnica, della cultura, della natura.

Il primo gruppo di problemi riguarda l’ambiente fisico e culturale: difesa del suolo. tutela e valorizzazione delle risorse naturali, tutela del paesaggio, preservazione del patrimonio storico-artistico.

Difesa del suolo

81. L’impostazione data alla difesa del suolo dal programma economico nazionale 1966-70 - di cui si conferma la validità - richiede l’unitarietà dell’azione pubblica, resa difficile dalla ripartizione delle competenze oggi esistenti. Si profila l’esigenza di istituire un’agenzia per la difesa del suolo, capace di formulare e gestire un piano generale di interventi e di coordinare - d’intesa con le regioni - gli organismi pubblici operanti in questo campo.

La necessità di ampliare e di migliorare la manutenzione delle superfici boschive richiede inoltre un allargamento del demanio forestale. A questo scopo dovrà essere conferita all’azienda di stato la possibilità di acquisire superfici appartenenti ai demani comunali, di acquistare terreni di proprietà privata e, nei casi più emergenti, di sottoporre a vincoli di miglioria i terreni minacciati, sotto pena di espropriazione in caso di inadempienza.

L’azione di rimboschimento dovrà essere affiancata da un’azione preventiva, intesa alla conservazione degli ambienti silvo-pastorali, al recupero forestale di ampi territori, alla prevenzione dei gravissimi danni recati dal fuoco alla superficie forestale.

Sarà opportuno estendere la soluzione adottata per il regime idrografico del Po ad altri bacini idrografici istituendo magistrature responsabili della gestione di tutti gli interventi a monte e a valle, sulla base di piani regolatori dei bacini idrografici.

Tutela delle risorse naturali

82. Nel recente passato la utilizzazione delle risorse naturali, con riferimento oltre che al suolo ad alcune grandi categorie di beni ad utilizzazione collettiva - l’acqua, l’aria, la flora, la fauna - ha assunto caratteristiche di sfruttamento distruttivo, anziché di gestione razionale ed efficiente. In questo modo si sono depauperate - per fini economici di breve periodo e di interesse strettamente locale o settoriale - risorse insostituibili, di inestimabile valore per la collettività.

La politica di tutela delle risorse naturali si baserà sul riconoscimento pieno ed effettivo del carattere di beni collettivi di tali risorse. Il riconoscimento della funzione sociale della natura implicherà il rispetto del principio secondo il quale ogni deterioramento delle risorse naturali può essere in ogni caso orientata e contenuta, entro precisi limiti, utilizzando varie forme di azione pubblica, di prevenzione, di riparazione e di compensazione.

83. Le risorse idriche sono minacciate dal depauperamento e dall’inquinamento. Un bilancio nazionale delle risorse e dei fabbisogni idrici dovrà prevedere le esigenze di consumo e di produzione di acqua in relazione alle risorse, ivi comprese quelle ottenibili attraverso processi di desalinazione. Quanto all’inquinamento, è necessario predisporre una legge sulla disciplina generale delle acque, che contenga norme di conservazione, regolamento e distribuzione delle risorse idriche e di tutela contro l’inquinamento delle acque marine e delle acque interne.

84. La difesa contro l’inquinamento dell’aria va condotta con altrettanta energia. Occorre evitare la costruzione di impianti industriali che comportino particolari effetti di inquinamento in aree prossime a centri abitati, e curare che le zone destinate a nuovi insediamenti industriali vengano parzialmente urbanizzate. Occorre inoltre un più rigoroso controllo e una severa disciplina relativa all’impiego dei combustibili negli impianti termici e dei carburanti nelle auto; come pure una disciplina in materia di biocidi, di scorie radioattive, di inquinamento degli ambienti chiusi (locali pubblici e mezzi di trasporto).

85. Anche il depauperamento della flora e della fauna richiede provvedimenti di difesa, intesi a ristabilire l’equilibrio biologico. A questa esigenza dovrà ispirarsi una revisione della disciplina di caccia e pesca. Un apposito servizio per la protezione della natura dovrebbe sovraintendere alle attività di tutela e di conservazione del patrimonio floro-faunistico.

86. La difesa dell’ambiente naturale richiede una “politica del verde” basata su iniziative di grande respiro. Una nuova disciplina dovrà consentire di vincolare, nell’ambito dei grandi sistemi territoriali metropolitani dei quali si tratta più oltre, vaste unità ambientali da adibire a parco naturale, i parchi saranno di interesse nazionale, regionale o locale secondo la loro estensione, funzione e caratteristiche specifiche. La disciplina urbanistica dei parchi sarà differenziata secondo le esigenze specifiche che ciascuno di essi presenta: dal massimo della tutela in zone di riserva naturale assoluta al massimo di utilizzazione in zone atte a costituire parchi metropolitani attrezzati. È opportuno che le unità maggiori, di interesse nazionale, siano disciplinate in enti autonomi, opportunamente coordinati al centro. Le altre unità saranno disciplinate nell’ambito dell’ordinamento regionale.

La formazione dei parchi implicherà un’azione intesa all’espansione e al coordinamento della proprietà pubblica nelle zone agricole povere di collina e di montagna, ad eminente vocazione silvo-pastorale, Questa azione dovrà essere condotta attraverso una coordinata politica di acquisti, espropriazioni, cessioni e trasferimenti di terreni, che consenta di valorizzare come parchi e riserve naturali ampie superfici di boschi e di parchi, oggi praticamente abbandonate.

In appendice I sono indicate, sulla base di studi preliminari, le zone suscettibili di essere organizzate come parchi e riserve di preminente interesse nazionale.

Tutela delle bellezze naturali

87. La tutela delle bellezze naturali e del paesaggio rende necessaria la predisposizione di una “carta nazionale” dei luoghi da salvaguardare o da ripristinare, come base di riferimento per gli opportuni interventi.

Preservazione del patrimonio storico e artistico

88. L’immenso patrimonio storico, artistico, archeologico e monumentale di cui dispone l’Italia è oggi sottoposto a un grave rischio di deterioramento e di perdita, La comunità nazionale deve al riguardo assumere una precisa responsabilità, anche nei confronti della cultura mondiale.

Gli interventi si ispireranno alla preoccupazione di salvaguardare il primato dei valori e delle tradizioni della cultura nel processo di sviluppo, senza sottovalutare la funzione che i beni culturali svolgono anche a fini economici. A questo scopo sarà necessario, anzitutto, formulare un inventario completo di tutto il patrimonio storico, artistico e monumentale, attuare una revisione delle leggi e disposizioni esistenti, per definire con precisione i vincoli nella destinazione e nell’uso dei vari beni e le misure necessarie ad impedire il saccheggio del patrimonio stesso, che si sta compiendo da parte di privati e di mercanti; provvedere di mezzi finanziari adeguati, di mezzi tecnici moderni e di procedure di intervento agili e rapide le sovrintendenze; ampliare la proprietà pubblica nelle zone suscettibili di ritrovamenti archeologici.

89. Particolare rilievo dovranno assumere iniziative dirette alla protezione e alla valorizzazione dei centri storici. A un’azione di emergenza intesa ad arginare il deterioramento con opere di consolidamento, restauro e ripristino, si accompagneranno iniziative rivolte a promuovere la vitalità economica e sociale là ove i centri versino in condizioni di abbandono e di progressivo degradamento. Data la vastità del patrimonio rappresentato dai centri storici, occorrerà scegliere e definire un insieme di concrete operazioni che tengano conto della natura e dell’urgenza dei problemi da risolvere (particolarmente evidenti nel caso della città di Venezia). In alcuni casi queste operazioni dovranno costituire elemento di più complessi progetti, rivolti a dare un ordinato assetto metropolitano allo sviluppo di grandi città (con speciale riferimento a quelle indicate nel prospetto successivamente esposto).

Un forte impegno dovrà essere rivolto alla valorizzazione turistica dei centri stessi. Nuovi circuiti turistici, opportunamente predisposti dal punto di vista sia della “offerta” di attrezzature adeguate sia della promozione della “domanda”, dovranno consentire di diffondere su vaste parti del territorio nazionale, soprattutto nell’Italia centro-meridionale, i flussi turistici che oggi si concentrano in un limitato numero di aree, sovraccaricandole e congestionandole.

90. Va infine posto in rilievo - accanto all’azione di difesa e di valorizzazione - il debito che ogni generazione ha di arricchire il patrimonio estetico delle città.

Per un paese come l’Italia, dove ogni secolo ha lasciato un segno di arte e di bellezza, questa è una responsabilità particolarmente impegnativa. Una maggiore attenzione alle esigenze architettoniche, nel campo dell’edilizia pubblica, potrà evitare soluzioni dozzinali e sgradevoli e incoraggiare nuove espressioni artistiche.

ORIENTAMENTO DELLO SVILUPPO URBANO

91. Lo sviluppo urbano sarà forse l’aspetto dominante degli anni settanta. In Italia l’evoluzione verso grandi aggregati metropolitani è cominciata in ritardo rispetto ad altri paesi, ma sta procedendo con grande rapidità.

È in corso un processo di gravitazione urbana verso un ristretto numero di aree. Questo processo tende a svuotare e a impoverire il tessuto cittadino e la vita economica e sociale di vaste zone, e a creare condizioni di sovraccarico e di congestione nelle aree di afflusso.

Se si proiettano nel futuro le attuali tendenze, si può prevedere che nel 1980 il 37%della popolazione italiana sarà concentrata in otto aree metropolitane (Milano, Napoli, Roma, Torino, Genova, Firenze, Palermo, Bologna) che rappresentano il 4% della superficie, e che nel 2000 tale percentuale salirà al 45%.

È necessario contrastare questo movimento centripeto attraverso un’attiva politica che si proponga di realizzare un nuovo tipo di civiltà urbana. Essa si fonderà su due premesse. La prima è il riconoscimento della necessità dell’evoluzione urbana verso dimensioni “metropolitane”. Soltanto a certe dimensioni è possibile infatti assicurare ai cittadini i beni e i servizi propri di una società evoluta. La seconda è l’esigenza che tale processo si verifichi in modo equilibrato, all’interno di ogni area urbanizzata e nei rapporti tra le varie aree.

92. Queste due esigenze possono essere soddisfatte con un nuovo modello di sviluppo urbano che preveda la realizzazione - nel lungo periodo - di una serie di “sistemi di città” (o “metropolitani”) i quali dovrebbero: presentare proporzioni e dimensioni non molto diverse l’uno dall’altro; coprire l’intera area urbanizzata del territorio nazionale; assicurare al loro interno una ripartizione e organizzazione dello spazio e dei servizi tali da consentire a tutti i cittadini facili e rapidi accessi alle attività di lavoro e di tempo libero; rispettare e valorizzare le caratteristiche differenziali -storiche, tradizionali e culturali - del territorio.

93. I sistemi metropolitani non devono essere quindi intesi come aree urbanizzate compatte, disposte attorno ad un unico centro, ma come strutture articolate e policentriche. Ciascuno di essi sarà naturalmente configurato in modo diverso: alcuni sistemi si fonderanno su un centro urbano di maggiori dimensioni, collegato a centri minori; altri su una rete di centri equivalenti, variamente collegati e integrati tra loro. Ciascun sistema dovrà comunque presentare certi requisiti e misure fondamentali, riguardanti: la consistenza demografica minima; i tempi di percorrenza massimi all’interno di ciascun sistema; la presenza di una organizzazione economica complessa e differenziata, capace di offrire possibilità di lavoro in un’ampia gamma di attività produttive; la presenza di un minimo di istituzioni e attrezzature e servizi civili, sociali e culturali; le disponibilità di spazio per il tempo libero.

Di tali misure e requisiti si forniscono alcune indicazioni orientative nell’appendice.

94. La compiuta attuazione di una rete nazionale di sistemi metropolitani costituisce naturalmente un problema di lungo periodo, che si porrà per varie decine di anni. Ciò non significa che la sua realizzazione non imponga misure urgenti. Al contrario, la forza delle attuali tendenze centripete è tale che soltanto un’azione vasta e vigorosa, da intraprendere nei prossimi anni, potrà arrestarne il corso e porre le premesse per la progressiva attuazione dei nuovi indirizzi. Questo impegno richiede la determinazione di orientamenti precisi quanto al “disegno” generale dei sistemi, e la predisposizione di politiche e di interventi urbanistici.

95. Nell’appendice I si presenta un disegno dei sistemi metropolitani, quale può essere fin d’ora configurato - in forma ancora approssimativa - sulla base di una prima indagine. Tale disegno servirà come base per le consultazioni che si svolgeranno nella fase di predisposizione del programma economico nazionale 1971-75, che determinerà i contorni geografici dei vari sistemi. Fin d’ora è possibile definire alcuni criteri essenziali.

96. Sarà opportuno distinguere i sistemi fondati sulla base delle attuali principali aree metropolitane, dai sistemi di riequilibrio e dai sistemi alternativi. Nei riguardi dei primi l’intervento dovrà essere rivolto principalmente alla decongestione e al decentramento interno, contrastando le tendenze all’ulteriore concentrazione.

Sistemi di riequilibrio saranno considerati quelli adiacenti alle attuali aree metropolitane, che presentano condizioni atte a un rapido sviluppo metropolitano, ma che rischiano di essere attratti nell’area di gravitazione delle suddette aree. Nei riguardi di questi sistemi sarà necessario adottare politiche urbanistiche, imprenditoriali e di trasporto che ne rafforzino le tendenze alla coesione e indeboliscano l’attrazione esercitata dai sistemi del primo tipo.

I sistemi del terzo tipo comprendono zone più lontane dalle attuali aree di gravitazione. La progressiva realizzazione di tali sistemi costituisce una vera e propria alternativa rispetto alle attuali tendenze centripete. Naturalmente una politica di realizzazione di sistemi alternativi comporta l’adozione di determinati ordini di priorità. In una prima fase, corrispondente grosso modo al prossimo decennio, sarà necessario concentrare l’azione pubblica sulla realizzazione di un primo gruppo di sistemi, che riveste particolare importanza ai fini dell’ordinamento policentrico dell’assetto territoriale nazionale e che presenta al tempo stesso tutte le condizioni per uno sviluppo economico e urbanistico intensivo. Nell’appendice I questo gruppo è individuato nei sistemi friulano-giuliano al nord, toscano inferiore e umbro-laziale al centro e nei sistemi del territorio pugliese, della Sicilia occidentale e della Sardegna meridionale al sud.

97. La progressiva realizzazione di sistemi metropolitani secondo i criteri generali indicati, comporta la destinazione alle infrastrutture urbane di risorse molto più ampie di quella finora rese disponibili e l’attuazione di politiche urbanistiche, di trasporti metropolitani e di infrastrutture coordinate, sia nell’ambito nazionale sia con le regioni.

98. Quanto alle politiche necessarie per realizzare concretamente la rete dei sistemi metropolitani, sarà opportuno che per ogni sistema urbano si elabori un progetto specifico e che nell’ambito di ciascun progetto siano definite le responsabilità degli organi nazionali e di quelli regionali.

I progetti metropolitani dovranno, sulla base di una rigorosa ricognizione delle caratteristiche di ciascun sistema e dei fattori limitativi del suo sviluppo, definire le esigenze di intervento nel campo delle infrastrutture e dei servizi sociali e culturali, in quello economico-produttivo, in quello residenziale, in quello dei trasporti e delle comunicazioni.

Dovranno in particolare essere definite, nell’ambito dei territori compresi in ogni sistema: le nuove aree residenziali; le aree destinate ad accogliere i servizi urbani di ordine superiore (istruzione superiore, università, ricerca, centri direzionali); le aree produttive; le aree di salvaguardia naturalistica e artistica; le aree destinate al tempo libero (parchi, aree archeologiche e monumentali, riserve naturalistiche, itinerari panoramici); le aree destinate alla saldatura dei differenti sistemi di trasporto, metropolitani e nazionali.

RIASSETTO DELLE ZONE POVERE

99. Le direttive più oltre delineate sulla politica agricola pongono in evidenza il problema di un’azione a favore del mondo rurale, non circoscritta nell’ambito del settore agricolo ma rivolta a una più ampia promozione della vita rurale e basata su molteplici forme d’intervento in vari settori. Per quanto riguarda l’assetto del territorio, questa direttiva implica una precisa delimitazione delle “zone povere” e di progetti specifici di intervento in ciascuna zona. Tali progetti, elaborati in sede regionale nell’ambito degli schemi di sviluppo economico e di assetto territoriale, dovranno essere inseriti nel piano e successivamente attuati secondo la ripartizione delle competenze tra stato e regioni, in modo coordinato.

SISTEMA DEI TRASPORTI E DELLE COMUNICAZIONI

100. I grandi spostamenti di popolazione e il ritmo dello sviluppo economico a livelli di reddito via via più elevati intensificheranno fortemente la “mobilità geografica” nell’ambito del sistema economico italiano e tra questo e gli altri sistemi, Si può stimare per il 1980 un raddoppio del volume di merci trasportate, una quadruplicazione del traffico dei passeggeri, un raddoppio del traffico internazionale.

Le infrastrutture di trasporto dovranno adeguarsi a questo volume di domanda. Ciò richiederà anzitutto la destinazione di risorse finanziarie che si possono calcolare dell’ordine di quattro volte quelle attualmente disponibili.

101. La politica dei trasporti si proporrà, come obiettivi essenziali, il profondo inserimento dell’Italia nella rete dei flussi di traffico internazionale e la realizzazione di eguali possibilità di accesso a tutti i punti del territorio per tutti i cittadini. La scelta tra i vari mezzi di trasporto dovrà essere effettuata in modo che siano utilizzate al massimo le capacità e le caratteristiche di ogni mezzo; che sia minimizzato l’ingombro; che sia massimizzata - attraverso l’integrazione dei mezzi - la rapidità e l’economia totale dei flussi di trasporto.

Tali scelte dovranno essere compiute, per quanto possibile, sulla base di analisi di costi e di benefici, nell’ambito di progetti raggruppabili nelle seguenti principali categorie: collegamenti internazionali; collegamenti tra i sistemi metropolitani (rete primaria); collegamenti interni ai sistemi metropolitani (rete metropolitana).

102. Per quanto riguarda tipi di infrastrutture di trasporto (valichi, trafori, porti, aereoporti, strade, ferrovie) si forniscono in appendice alcune indicazioni specifiche, che potranno - dopo la fase di consultazione - costituire la base dei progetti inseriti nel piano.

Una volta completata la rete autostradale e il sistema dei collegamenti stradali e ferroviari internazionali attraverso le Alpi, l’impegno dovrà essere concentrato:

a) sulle infrastrutture portuali, opportunamente differenziate secondo le funzioni specifiche (grandi sistemi portuali continentali dell’alto Tirreno e dell’alto Adriatico; grandi sistemi portuali peninsulari del basso Tirreno e del basso Adriatico; porti di cabotaggio; porti pescherecci; porti turistici, porti industriali e petroliferi) e modernamente attrezzate, specie per quanto riguarda le nuove tecniche di trasporto attraverso contenitori;

b) nel sistema degli aeroporti intercontinentali e regionali;

c) nel sistema ferroviario, sia per quanto riguarda il traffico di lunga distanza, specie di merci, sia per quanto riguarda la più fitta trama dei trasporti metropolitani.

Un’importante funzione dovrà inoltre essere assolta, nell’ambito della viabilità, dalle autostrade urbane e dai collegamenti tra sistemi metropolitani intesi a correggere le attuali tendenze centripete dell’assetto territoriale.

103. Importanza crescente dovrà assumere, in relazione all’esigenza generale di una più stretta integrazione tra i vari sistemi di trasporto, la costituzione di centri interregionali di raccolta e smistamento delle merci, in corrispondenza di grandi terminali di trasporto, specialmente marittimo.

ISTITUZIONI DELLA POLITICA TERRITORIALE

104. Le direttive generali delineate in merito alla politica territoriale nei suoi vari aspetti implicano la soluzione di importanti problemi istituzionali. Il primo riguarda la definizione e la distinzione delle responsabilità e delle competenze attribuite allo stato e alle regioni.

Le soluzioni che si adotteranno nell’applicazione del dettato costituzionale dovranno tener presente l’esigenza di mantenere, pur nella distinzione delle diverse sfere di autonomia e di responsabilità, il carattere unitario degli interventi. A tal fine sembra necessario che ogni soluzione concreta si ispiri non tanto alla preoccupazione di ripartire le competenze per materie o per settori secondo linee di demarcazione astratte ed arbitrarie, quanto al criterio di individuare - per ogni materia o settore di intervento - i progetti specifici, nell’ambito dei quali possano essere individuate le rispettive zone di autonomia e di responsabilità. Una programmazione concepita come una serie di operazioni concrete e organiche non si adatta a ripartizioni di competenze troppo rigide e astratte.

105. Nell’ambito delle responsabilità di politica territoriale dovranno essere anche considerati i numerosi strumenti di intervento oggi esistenti, come il piano di coordinamento degli interventi ordinari e straordinari nel Mezzogiorno, il piano di coordinamento degli interventi nelle zone depresse e nei territori montani dell’Italia settentrionale e centrale, il piano di coordinamento degli interventi in agricoltura, i piani generali degli acquedotti e dei metanodotti, i piani per la costruzione di autostrade, il piano di rinnovamento delle ferrovie dello stato, i programmi per l’edilizia scolastica e ospedaliera, il programma per la difesa del suolo.

Ciascuno di questi programmi implica interventi sul territorio che non possono essere concepiti indipendentemente l’uno dall’altro, secondo una logica “dipartimentale”. La programmazione per progetti dovrà consentire di impostare i vari interventi sulla base di una visione unitaria. Essa richiede quindi l’esistenza, all’interno del governo, di un centro di responsabilità unitario per l’assetto del territorio.

106. Infine, le direttive delineate nei precedenti paragrafi richiedono, per essere attuate, un’estensione dell’area della proprietà pubblica dei terreni, soprattulto nei territori destinati a pascoli e riserve naturali o interessali da intensi processi di urbanizzazione, con le forme di acquisizione che si riveleranno più opportune nei singoli casi.

Titolo originale: Community development in wartime - Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

I problemi sociali e industriali che devono essere fronteggiati a causa delle condizioni di guerra non hanno caratteristiche diverse da quelli che si affrontano in tempi di pace. Ma la loro urgenza e intensità locale, dovuta allo stimolo artificiale dato alle industrie belliche in alcuni luoghi, unita al fatto che l’attenzione pubblica è focalizzata su di essi in relazione alla difesa nazionale, dà loro apparenza di problemi nuovi. Da qui, il grande bisogno di una cultura di governo costruttiva per misurasi con essi. Le cose che si chiedono ai leaders pubblici al giorno d’oggi sono coraggio, decisioni rapide, e immaginazione, invece dei metodi timidi, indecisi, dilatori della mentalità legale che controlla la nostra politica in condizioni normali. Dobbiamo prenderci dei rischi, che lo vogliamo o no. Dobbiamo smetterla di rastrellare nelle ceneri dei precedenti ( alla ricerca di soluzioni n.d.t.). Dobbiamo pensare in termini di grandi idee, e di grandi somme di denaro.

Questa guerra si sta combattendo, come è stato detto, non solo per rendere il mondo più sicuro per la democrazia, ma anche per rendere la democrazia più sicura per il mondo. Ma per rendere la democrazia più sicura noi dobbiamo sconfiggere i suoi nemici in patria così come all’estero; dobbiamo trovare i mezzi per diminuire l’ignoranza e l’imprudenza che crescono dalla mancanza di istruzione e da condizioni di vita insalubri. A fondamento di tutte le democrazie c’è il carattere del popolo: istruito o non istruito, sano o non sano, contento o scontento. Un popolo istruito sa che la vera educazione è più una faccenda di ambiente, che di istruzione in senso stretto. Le condizioni sociali insalubri non solo abbassano la vitalità e diminuiscono l’efficienza, ma costituiscono una delle principali cause di irrequietezza nel mondo industriale (con riferimento alle condizioni del Sud Galles, Mr. Thomas Richards, Segretario della Miners’ Federation, dichiara che il socialismo e il sindacalismo hanno fatto progressi a causa della monotonia e squallore delle condizioni abitative e dell’ambiente circostante).

Per rendere la democrazia forte e duratura, per renderla degna di combattere e morire per essa, tutte le nazioni democratiche devono adottare per il futuro misure più aggressive per migliorare il carattere e il fisico dei propri cittadini. Negli ultimi anni abbiamo visto una fuorviata autocrazia distruggere il benessere monetario accumulato di intere generazioni. Un giorno, una democrazia male alloggiata, sovra-urbanizzata, impoverita, potrebbe fare lo stesso con il benessere edificato a partire dalla riduzione in schiavitù dentro la povertà e i quartieri degradati. L’istruzione pubblica nelle scuole mette in pericolo, anziché salvaguardare, una democrazia, quando il popolo soffre cattive condizioni sociali. Su questo continente ( l’America, n.d.t) abbiamo la maggiore, e non la minore, responsabilità, perché dobbiamo preparare e migliorare una popolazione mista, inclusi i molti che sono privi di tradizioni di libertà politica, dei vantaggi dell’istruzione, o di ambizioni verso un migliore standard e comodità nelle abitazioni.

La schiavitù non sarà morta, finché esisteranno gli slums. Ogni sforzo fatto per rimuovere le cattive condizioni abitative in America va nella direzione di dare realtà alla Dichiarazione di Indipendenza. In Germania, le cattive abitazioni non contano così tanto, visto che lo Stato è gestito per il popolo, non dal popolo; ma negli Stati Uniti e in Canada, il progresso futuro dipende dalla crescita in intelligenza della massa delle persone. La povertà e il sovraffollamento nelle grandi città da un lato, e la povertà e isolamento dei remoti distretti rurali dall’altro, stanno entrambi distruggendo intelligenza, e causando degenerazione fisica e morale. È una questione aperta, se i progressi della scienza moderna nei campi connessi alla salute pubblica, con i costosi miglioramenti municipali, la pubblica istruzione nelle scuole, non siano più che controbilanciati dalle perdite dovute alle condizioni insalubri, alla distribuzione casuale della popolazione, e al fallimento delle nazioni moderne nell’alloggiare in modo proprio i loro lavoratori industriali.

Il problema dell’abitazione come parte del problema urbano

Il problema dell’abitazione non può essere risolto semplicemente demolendo case malsane e costruendo salubri piccionaie, né rimpiazzando gradualmente tutti i cattivi alloggi con altri buoni. Il problema dell’abitazione è solo parte di un più ampio problema sociale, connesso alla vita della comunità in tutte le sue fasi. È in larga parte un problema di corretta o scorretta urbanizzazione dei terreni a scopi industriali e di alloggio, e in larga parte un problema di corretta o scorretta organizzazione delle forze sociali dell’industria. La stretta connessione fra urbanistica e realizzazione di case, fra produzione agricola e realizzazione di case, e fra efficienza bellica e realizzazione di case, non è ancora stata afferrata in questo continente. Quando le nazioni occidentali avranno speciali divisioni dei governi statali e federali, che dedichino tutta la loro attenzione ai problemi della costruzione urbana e dell’abitazione, avranno iniziato a mostrare adeguato riconoscimento dell’importanza di questi problemi.

Uno sviluppo urbano con caratteristiche artificiali

Una delle cause principali della passata indifferenza per un cattivo sviluppo urbano, è stata l’erronea assunzione che esso consistesse di, o dovesse essere lasciato a, una “crescita naturale”. Di sicuro, se c’è qualcosa di artificiale, questo è la moderna città o cittadina. Se qualcosa ha bisogno che vi venga applicata la scienza, e una salutare ed esperta mano di governo a promuovere forme salubri di sviluppo e a prevenirne delle malsane, questa è la città industriale di oggi.

Non abbiamo sbagliato a costruire intere comunità industriali; non abbiamo nemmeno tentato, di costruirle. Abbiamo lasciato che la loro costruzione procedesse, non solo senza pianificazione o orientamento, ma incoraggiando la speculazione fondiaria e sistemi di edificazione dispersivi, proteggendo chi affermava artificiali diritti di proprietà, anche quando ne è risultato che le vite e la salute del popolo sono state ferite.

Noi non vogliamo riformare il nostro sistema di urbanizzazione e realizzazione di case; noi vogliamo iniziare ad impiegare un sistema. Noi non vogliamo mettere in pericolo gli interessi proprietari legittimi, ma stabilirli. Noi non vogliamo inaugurare estremismi socialisti, ma prevenirli. Noi non vogliamo diminuire la libertà, ma renderla più diffusa. E, riconoscendo che la vita è più importante della proprietà, che il fine di tutta la produzione è la vita e non il denaro, e che la ricchezza nazionale deve essere misurata dalla salute del popolo, dobbiamo o esercitare un controllo sul diritto di proprietà in modo che non danneggi la convivenza nell’insieme degli insediamenti, oppure affrontare l’inevitabile decadenza. Così, le alternative pratiche che le nazioni civili moderne devono apparentemente fronteggiare sono: o l’applicazione di metodi scientifici di controllo e orientamento della loro vita comunitaria, senza interferenze con l’eguaglianza di opportunità per tutti i cittadini, oppure che le attuali forme parassite e disordinate di sviluppo industriale continuino come prima, vanificando qualunque sforzo fatto per migliorare le condizioni sociali del popolo.

L’opportunità Americana

I paesi in guerra vedono queste cose sotto una luce più forte che durante i tempi di pace, e ora viene all’America una speciale opportunità di applicare metodo e organizzazione a pianificare e costruire nuove città, che aiuteranno a mostrare le linee sane e pratiche lungo cui si può orientare la crescita sia dei vecchi che dei nuovi centri, quando la guerra sarà finita.

Non serve essere ciechi al fatto che le cattive abitazioni e condizioni industriali non sono state create dalla guerra, ma esistevano, in larga misura, sia negli Stati Uniti che in Canada, da prima della guerra. Allora, come ora, anche se in grado minore, avevamo il problema di una urbanizzazione eccessiva della popolazione, mezzi di distribuzione difettosi, e incrementi nel costo della vita; avevamo il costante e casuale spostamento di popolazione a seguire la tendenza dell’industria a cercare nuovi campi; avevamo i mali della speculazione sui terreni che si avvantaggiava di ogni nuovo crescente concentrazione di persone e dirottava gli incrementi di valore creati dalla crescita delle comunità nelle tasche di non-produttori. Questi problemi sono vecchi, ma ultimamente sono stati resi più acuti e più visibili allo sguardo pubblico. La domanda dell’Europa per il surplus di cibo dall’America e la sottrazione di un grande numero di lavoratori rurali per scopi militari ha ulteriormente incrementato il costo della vita; la diversione di ingenti risorse finanziarie entro canali governativi e la sua redistribuzione ha creato false prosperità, che hanno dato alla gente più ampie capacità di spesa e ancora aumentato il costo della vita come risultato di una domanda gonfiata; la creazione di industrie di guerra su larga scala in vaste aree ha causato un inusuale rapido movimento di popolazione da un distretto all’altro, e rivelato l’impotenza dell’imprenditoria privata a provvedere sistemazioni abitative soddisfacenti in queste condizioni; l’assorbimento da parte del Governo di capitali altrimenti disponibili per lavori di costruzione ha ulteriormente indebolito la capacità dell’impresa privata di impegnarsi in queste operazioni, anche su basi pre-belliche; infine l’alto costo dei terreni a ragionevole distanza da strutture sociali e di trasporto mostra come la speculazione fondiaria intralci la fornitura di strutture abitative in situazioni salubri.

Gli unici fattori realmente nuovi in questa situazione sono, primo, che la necessità di rapida produzione ha condotto gli industriali manifatturieri e navali a comprendere che una buona abitazione, accompagnata da una organizzazione sociale, è essenziale ad assicurare efficienza e soddisfazione sul versante dei lavoratori; in secondo luogo, i governi statali e federale hanno iniziato a riconoscere di avere una distinta responsabilità nel provvedere le strutture necessarie ad ottenere questa efficienza e soddisfazione. Il primo di questi nuovi fattori non è del tutto nuovo, visto che nell’ultima decade o anche più, grandi gruppi industriali come la Steel Corporation, hanno mostrato di riconoscere che l’organizzazione sociale e delle abitazioni per i propri lavoratori era essenziale ad ottenere efficienza industriale. Riguardo al secondo aspetto, sembra essere vero negli Stati Uniti che l’aiuto federale per l’abitazione è erogato puramente come misura da tempo di guerra, e non perché il Governo ha qualunque convinzione circa la propria responsabilità in materia. Nondimeno, una volta che il Governo entri nel campo dell’abitazione e dello sviluppo urbano, sarà difficile tornare al vecchio ordine di cose; e con tutti i vantaggi che possiede nell’ottenere competenze esperte e impiegare una grande organizzazione, sarà in grado di influenzare enormemente direzione e caratteri dell’industria edilizia residenziale del futuro.

Molto del lavoro dei dipartimenti governativi che affronteranno l’abitazione di guerra deve essere diretto ad alloggiare piccoli gruppi di lavoratori in numerose località, e alla costruzione di nuovi accrescimenti suburbani a città e cittadine esistenti. I problemi sorgeranno in connessione a tutti i tipi di progetto, grandi e piccoli, sui migliori metodi di pianificazione, i relativi meriti dell’abitazione temporanea o permanente, la ripartizione dei costi e delle responsabilità fra i governi federale e locale, e fra i governi e i dirigenti industriali. Queste e molte altre questioni non possono essere affrontate in questo articolo. L’obiettivo dello scritto è di indicare le grandi questioni aperte e le opportunità che si presentano nelle presenti condizioni, di impegnare con qualche sistema e sano metodo organizzativo lo sviluppo urbano di questo continente.

Perché non creare Nuove Città?

Si assume che almeno in alcuni casi, come nella zona di Philadelphia dove si sta realizzando un vasto insediamento cantieristico navale, ci sarà l’opportunità di realizzare una o più città completamente nuove, auto-centrate e auto-contenute, con tutte le strutture e attrattive sociali necessarie a soddisfare i bisogni della popolazione. In questi casi, la separazione dalla grande città è desiderabile, ma l’accessibilità ad essa con mezzi di trasporto rapido sarà probabilmente un vantaggio, in particolare durante i primi stadi di crescita. Avrà il Governo lungimiranza e saggezza sufficiente per creare nove città o provvederà semplicemente il denaro per perpetuare i metodi disordinati e a-scientifici che hanno prevalso sinora? Possiamo accettare come salda dottrina il fatto che, se è praticabile l’incoraggiare la costruzione di nuove città di moderata dimensione, con un circondario agricolo, preferendola all’incoraggiare ulteriore crescita di ingovernabili città, con il concomitante isolamento agricolo, esso sarà di beneficio alla nazione. Quali sono dunque gli elementi che lo rendono, o no, praticabile?

Lo schema della Città Giardino come esempio di saldo sviluppo urbano

Il migliore esempio di applicazione dei principi di fondazione di una nuova città si può trovare in Inghilterra, nel caso della Città Giardino di Letchworth. Sfortunatamente, non è l’esempio che avrebbe potuto essere se le circostanze in cui si iniziò fossero state tali da farne un successo finanziario più rapido. Per motivi perfettamente ovvi, è stata lenta la realizzazione delle aspettative finanziarie dei fondatori, ma, come mi sforzerò di dimostrare, queste ragioni non devono necessariamente applicarsi nel caso di un esperimento simile portato avanti sotto auspici Governativi e con capitale sufficiente, ed esse non viziano in alcun modo la saldezza dei principi che sostengono lo schema.

Gli obiettivi generali dello schema possono essere riassunti come segue:

  1. acquisto di un vasto appezzamento agricolo su cui stabilire una cittadina industriale e residenziale, in primo luogo per assicurare un concordato movimento di lavoratori dell’industria dai centri affollati.
    2 - contenimento dell’area destinata allo sviluppo urbano, e vincolo permanente della maggiore porzione dell’appezzamento a scopi agricoli.
    3 - pianificazione dell’intera area allo scopo di assicurare salute, bellezza, funzionalità ed efficienza.
    4 - limitazione dei dividendi degli azionisti a, diciamo, il 5 per cento annuo, con il resto dei profitti da usarsi a beneficio della città e dei suoi abitanti.

Si noterà che il successo di un simile schema dipende dall’attrattività che può essere offerta ai lavoratori per migrare verso il sito. Muovere lavoratori industriali verso un territorio puramente rurale, a 34 miglia da una città, significa che essi dovevano avere offerti dei vantaggi, uguali o migliori di quelli ottenibili in centri di popolazione esistenti. Nella Città Giardino il terreno, avendo solo valore agricolo, tanto per cominciare era a buon prezzo, ma questa era solo una delle considerazioni. C’erano anche i desideri di strutture di trasporto, energia, posti di lavoro, luce, acqua, strade, a costi ragionevoli. Tutto questo ha dovuto essere creato, e creato in anticipo. Ha dovuto essere messo a disposizione ad un prezzo che non superasse quello che avrebbero pagato altrove, e ancora produrre adeguati ritorni per gli investitori. Nei primi tempi dell’impresa, tutto era puramente teorico. Non si poteva ottenere lavoro senza abitazioni, e così le case dovettero essere realizzate prima, e non dopo, che si creasse una domanda. Quanto ai risultati, nonostante queste difficili condizioni, è sufficiente ricordare, per quanto ci interessa ora, che circa trenta fabbriche si sono stabilite in città; che c’è una popolazione di circa 13.000 persone, su un’area che nel 1903 consisteva di soli campi coltivati. Per questa popolazione sono state realizzate reti idriche, fognature, gas, un impianto per la produzione di energia elettrica, una nuova stazione ferroviaria, edifici pubblici, alberghi, parchi, un campo da golf, dieci miglia di strada in aggiunta alle molte miglia esistenti quando fu acquistato il terreno, 15 miglia di condutture del gas, 14 miglia di fogne, e altri servizi.

Il finanziamento di una Città Giardino

Ho qui davanti a me il bilancio del 30 Settembre 1917. Mostra che anche oggi, il capitale totale in titoli ordinari ammonta a meno di $ 1.000.000, e che le azioni privilegiate, obbligazioni, ipoteche e mutui ammonta a meno di $ 1.600.000. Dunque con un capitale totale di $ 2.600.000, una larga porzione del quale è investita in beni immobili, è stata costruita una città di più di 13.000 abitanti, ovvero $ 2.000 pro capite. In alcune città del Canada occidentale il valore stimato del solo terreno ammonta a circa questa cifra pro capite, e in una città di 15.000 abitanti il valore del terreno è di $ 1.150. Per questi 2.000 dollari la Garden City Company, e indirettamente gli abitanti della città per cui la Compagnia agisce come Trust, possiedono un terzo di acro di terreno a testa, oltre a valutabili reti elettriche e di gas, alberghi, strade, acquedotti, fogne, ecc. come già elencato. Una considerevole porzione del capitale della Compagnia è stato usato anche per finanziare operazioni edilizie. La Compagnia non ha diviso con nessuno la proprietà, e l’intero incremento di valore va a suo beneficio. Dopo che è stato pagato il dividendo – ristretto al 5 per cento – agli azionisti, il resto dell’incremento ritorna agli abitanti.

Il valore lordo del terreno e dei summenzionati servizi ammonta a circa $ 3.000.000. Se gli interessi della Garden City Company potessero essere venduti correntemente, senza dubbio se ne potrebbe ricavare un prezzo tale da dare un largo profitto dopo aver pagato capitale e interessi. Se la Compagnia avesse potuto far partire il progetto con un capitale di $ 3.000.000 anziché di soli $ 1.000.000, sarebbe stato un successo più rapido, e forse ci sarebbe già il doppio dell’attuale popolazione in città. Così come stanno le cose, gli interessi sono stati regolarmente pagati sulle azioni privilegiate e sui mutui, e si è iniziato col pagamento degli interessi sui titoli ordinari. Durante lo scorso anno i ricavi ammontano a $ 145.420, inclusi $ 70.000 di profitti su gas, acqua, elettricità (salvo deprezzamento), vendita di materiali in sovrappiù, lavori eseguiti, ecc. Il terreno è affittato a novantanove anni per edificazione a quanto è conosciuto come “ ground-rents” e queste, ammontanti a circa $ 35.000, capitalizzate a venti anni, hanno un valore di $ 700.000. Non sono permesse più di venti case da edificarsi su ogni ettaro, prevenendo così la possibilità di sovraffollamento del suolo.

Si noterà che i profitti annuali dai servizi pubblici (gas, elettricità ecc.) ammontano al doppio dell’incremento in valore fondiario rappresentato dagli affitti dei suoli, un fatto che indica uno dei principali vantaggi della formula Città Giardino come strumento per produrre reddito. Creare sobborghi dove ci sono già strutture esistenti di fornitura gas, elettricità e acqua (invece di creare nuove città), non solo fa pagare un prezzo più alto per i terreni a causa dell’esistenza di servizi pubblici, ma si perde una sorgente di reddito, che potrebbe anche eccedere quella ottenuta dall’incremento di valore dei suoli.

Il pericolo principale nel mettere in pratica uno schema di città giardino è che, quando si poggia su risorse private come capitale, la somma raccolta per finanziarla sia insufficiente per sostenere l’impresa oltre il periodo preliminare, e che la popolazione non arrivi abbastanza rapidamente da produrre i ritorni necessari. Il piano di Letchworth non è mai stato sostenuto adeguatamente dal capitale, e se lo fosse stato, le operazioni della Compagnia avrebbero potuto essere condotte più economicamente, e la popolazione sarebbe aumentata con maggior rapidità. Al momento presente, centinaia di case si rendono necessarie, per rispondere alla domanda creata dalle crescenti industrie locali, e ogni nuova casa significa accresciuti affitti del terreno, e profitti aggiuntivi per i servizi pubblici. Ma è difficile ottenere capitale, oggi, e l’intero progetto è quindi ostacolato. Questa spiegazione non è un modo di scusarsi per un fallimento, visto che esiste ogni evidenza di come il completo successo arriverà. Serve a mostrare che ci sono buone ragioni per realizzare lentamente le grandi aspettative dei promotori, che avevano buone basi teoriche per stimare una dimensione e rapidità di successo che avrebbe dimostrato la grande superiorità della forma di sviluppo urbano della Città Giardino, sulle non-scientifiche e casuali forme prevalenti.

Nel creare una città giardino fondata sui principi già elencati, da parte dell’impresa privata, ci sono naturalmente altre difficoltà oltre a quelle riferite, che devono essere affrontate. La scelta della località in Inghilterra, con il suo sistema terriero feudale e le sue aree residenziali ampiamente sparse, a un prezzo ragionevole e pure con i requisiti richiesti per uno sviluppo industriale, non è stata cosa facile. La terra doveva essere comperata a un prezzo basso per mettere la Compagnia in grado di offrirla a prezzi tali, dopo aver costruito strade e provveduto acqua e fognature, da indurre gli industriali a spostarsi dai centri esistenti. Doveva anche essere comprata a buon mercato, abbastanza da consentire alla Compagnia di portare avanti il principio di riservare due terzi dell’area a cintura agricola permanente.

Una volta scelta l’area, non solo doveva essere creato tutto, ma dovevano essere superate le solite obiezioni a un progetto innovativo. La compagnia ferroviaria non voleva costruire una nuova stazione finché la gente non si fosse stabilita, e la gente non sarebbe venuta prima che fossero provvedute le strutture di trasporto. Gli industriali volevano essere sicuri di trovare lavoratori, e i lavoratori dovevano ricevere assicurazioni anticipate riguardo ai posti di lavoro. Queste difficoltà furono tutte superate da un gruppo di uomini che non avevano avuto esperienze precedenti di imprese simili, e il fatto che fossero sopraffatti dal capitale inadeguato non fu un fatto importante per la semplice ragione che i vantaggi di questo modo di costruire una comunità sono così tanti, e così grandi.

I vantaggi dello sviluppo urbano secondo i principi della Città Giardino

Ho lo spazio solo per enumerare brevemente uno o due dei vantaggi, dato un sito adatto acquisito a valore agricolo, un’attenta gestione, e qualche grado di sicurezza riguardo all’attirare industrie e popolazione. C’è, in primo luogo, l’incremento nel valore del suolo dovuto alla sua trasformazione da uso agricolo a uso edilizio. Qualche idea di quanto grande s possa essere questo valore, si può cogliere dalla seguente dichiarazione, del Dr. Murray Haig riguardo all’incremento nei valori del suolo di Gary come risultato dell’insediamento di una nuova città industriale. Dopo aver svolto un’indagine, il Dr. Murray Haig condensa i risultati della sua analisi come segue:

“Il valore di mercato del terreno di Gary nel 1906, esclusa la parte occupata dagli impianti dell’acciaieria, è stimato a $ 6.414.455, e al presente valutato a $ 33.445.900. L’incremento nel periodo di dieci anni, dunque, ammonta a $ 27.031.445. L’esame dei valori dei servizi forniti da coloro che sono entrati in possesso di questo incremento indica che è stata resa necessaria una disponibilità di, forse, $ 200.000 per necessarie spese amministrative, che non più di $ 1.000.000 possono essere accreditati a causa di tasse su terreni non utilizzati, e che $ 4.025.712,70 devono essere calcolati come pagamento da parte di proprietari per miglioramenti locali. Il valore monetario totale dei servizi di questi beneficiari dell’incremento ammonta quindi a $ 5.225.712,70. L’ammontare dell’incremento che può essere ragionevolmente calcolato quindi è di $ 21.805.732,30”.

L’autore di questa dichiarazione ammette la possibilità di aver trascurato alcuni fattori, ma considera conservatrice la sua stima di incremento di valore. Ma anche se il valore fosse la metà di quello stimato, sarebbe un profitto consistente, ricavato dalla creazione di una città in un periodo di dieci anni. Le indagini condotte dal Dr. Murray Haig e da altri negli Stati Uniti, mostrano che una buona stima dell’incremento di valori del suolo prodotto dalla realizzazione di città, dopo aver dedotto il valore che è da attribuire a tutte le spese per miglioramenti locali ecc. va da $ 400 a $ 450 pro capite. Le valutazioni complessive per le città Canadesi confermano queste cifre. Se si prende il valore più basso, può essere stimato che la creazione di una città nuova di 50.000 persone può creare un incremento aggregato di valore di $ 20.000.000. A questo devono essere aggiunti i profitti realizzabili dai comuni servizi municipali, inclusi trasporti, acqua, energia, luce, avendo riguardo di tener conto delle grandi economie che si possono realizzare costruendo servizi a larga scala per rispondere a una domanda che si conosce in anticipo, e ai risparmi sui pesanti costi in terreno e promozione.

Dove si può contare su una rapida crescita di popolazione, e col sito ottenibile a prezzi agricoli, è evidente che si possano fare enormi profitti con la creazione di nuove città. Non è sorprendente dunque che le grandi imprese industriali stiano rivolgendo attenzione a questa forma di investimento.

Ci sono anche le opportunità offerte dal terreno a buon mercato per ampie aree da adibire a costruzioni industriali di progettazione moderna, con luce e grandi spazi per l’espansione. Tutte le fabbriche possono essere raggruppate insieme per diminuire i costi di distribuzione dell’energia. Luce, acqua, e assicurare comodo accesso ai mezzi di trasporto. I costi di trasporto possono essere ridotti al minimo con una pianificazione corretta, e con enormi risparmi per gli industriali. Le residenze per i lavoratori possono essere raggruppate vicino ai luoghi di lavoro, e grandi risparmi realizzati nella costruzione di strade azzonando la città a residenza, fabbriche, uffici, e simili. Si possono provvedere spazi aperti dove il terreno è meno valutabile per l’edificazione, e a prezzi agricoli. Una cintura di terreni agricoli può essere riservata in modo perenne per consentire colture intensive da realizzarsi nelle immediate vicinanze della città e dunque assicurare cibo per la comunità al costo più basso. L’esempio di Letchworth mostra la flessibilità di tutto questo realizzato in pratica, e le cifre dei valori fondiari in America mostrano che i profitti di questo tipo di intrapresa sarebbero immensamente più grandi che in Inghilterra.

Un’opportunità di impresa per il Governo

Perché il Governo degli Stati Uniti non dovrebbe usare l’attuale opportunità per creare almeno un oggetto-esempio di questo tipo in America? Nessuna delle difficoltà che ho menzionato gli sbarrerebbero la strada. Ha ampi capitali e ha deciso di spendere da $ 50.000.000 a $ 100.000.000 in imprese di costruzione residenziale. Sta già creando industrie di dimensione e scopo sufficiente per impiegare una grande quantità di lavoro e renderla indipendente dalla difficoltà di attirare gli industriali privati verso nuovi siti. Non ha bisogno di speculare sull’arrivo di nuove industrie e popolazione nei distretti in cui, in ogni caso, stabilirà industrie e attirerà lavoratori. Tutto quello che il Governo ha bisogno di fare è di essere attento nella selezione del luogo, pianificare correttamente l’area che ha intenzione di urbanizzare, stabilire principi simili a quelli che sottostanno allo schema della Città Giardino, e costruire una organizzazione per provvedere buone condizioni sociali e servizi aggiornati di trasporto e di comunità. Ha stabilito una politica nazionale per l’abitazione. Queste abitazioni devono realizzarsi completamente in base ai metodi miopi e non-scientifici di costruire piccoli accrescimenti ai centri esistenti, dove i valori del suolo sono già alti e non c’è l’opportunità di far partire ex-novo e pianificare secondo saldi principi scientifici ed economici?

Quale può essere l’obiezione a creare nuove città? Non può essere che si tratta di un’idea non sperimentata, visto che è stato mostrato come sia risultata pratica a fronte di circostanze immensamente più difficili di quelle che un governo può incontrare. Non può essere che il metodo sia socialista, dato che la questione è semplicemente di selezionare una forma scientifica di organizzazione nella costruzione della comunità, in un caso dove il Governo ha già deciso di adottare una politica di creazione di nuova comunità. Non può essere perché non ci sono cervelli per costruire nuove città in una terra dove c’è così tanta capacità di organizzare gli affari, e non può essere per la novità della proposta in una nazione che è stata costruita dall’iniziativa e dalla ricchezza di risorse dei suoi cittadini.

Prendiamo un possibile caso per una azione organizzativa da parte del Governo. Assumiamo che nelle vicinanze di una dei grandi cantieri navali si preveda che ci sarà richiesta per una sistemazione residenziale permanente di 10.000 lavoratori ben pagati. Questi uomini, le loro famiglie, e le persone richieste per rispondere ai loro vari bisogni sociali, significano che occorrerà provvedere per una popolazione di 50.000 abitanti. In un caso come questo la cosa più corretta non è di costruire un accrescimento suburbano a città e cittadine esistenti, per passare l’incremento di valore del suolo agli speculatori, affollare le case l’una sull’altra per pagare gli alti costi dei terreni, creare profitti per le esistenti e altamente sovvenzionate imprese di pubblici servizi, ma adottare una audace e più efficiente politica di creazione di una nuova città, proprio come ha fatto la Steel Corporation.

Un’area da 12 a 15 miglia quadrate di terreno agricolo dovrebbe essere acquistata entro un raggio di 3 o 5 miglia dagli impianti, vicino a una linea principale ferroviaria. Dovrebbe essere messa a disposizione una struttura di trasporto rapido per consentire ai lavoratori di raggiungere gli stabilimenti in quindici o venti minuti, la città dovrebbe essere pianificata, le reti dell’acqua potabile e gli altri impianti installati, costruite le strade e le fogne, i teatri, negozi, e gli edifici pubblici eretti. Dovrebbero provvedersi e incoraggiarsi industrie ausiliarie. L’impresa privata dovrebbe essere invitata a partecipare allo sviluppo strutturale. Il capitale impiegato non ha bisogno di essere maggiore di quanto sarebbe necessario per qualunque altro tipo di progetto, visto che i risparmi nel costo dei suoli saranno sufficienti a pagare i costi di fornitura per infrastrutture pubbliche e servizi sociali. Dopo aver pagato, diciamo, il 5 o 6 per cento sul capitale impiegato, tutti i profitti dovrebbero essere girati alla comunità per il beneficio della città Una larga porzione del terreno dovrebbe essere permanentemente adibita a appezzamenti agricoli.

Sui vantaggi di portare avanti almeno un esempio di costruzione scientifica della città secondo le linee indicate, c’è poco da dire. È ovvio, almeno, che nessuna quantità di teoria avrà mai un valore uguale a quello della dimostrazione pratica nell’educare il popolo riguardo ai migliori metodi di realizzazione delle abitazioni e costruzione della città. Può darsi che nel realizzare questo progetto ci sia molto da imparare riguardo a quanto debba essere evitato, così come riguardo a cosa debba essere fatto, relativamente a futuri sviluppi; ma questo aggiungerà valore al progetto, anziché sottrarne. Non si suggerisce di tentare un esperimento nel mezzo di una guerra; l’esperimento è stato fatto, e i vantaggi del metodo provati.

Il periodo della ricostruzione si stende davanti alle nazioni belligeranti. Questa ricostruzione consisterà di un mero riaggiustamento del vecchio insieme di condizioni, con i loro fallimenti nel soddisfare i bisogni sociali, nel provvedere ripari decenti e ambienti sani per le masse popolari, con la relativa minaccia a tutte le istituzioni democratiche? Oppure sarà una vera ricostruzione, attraverso la quale sarà fatto uno sforzo per costruire gradualmente una più sana vita di comunità, integrata nel suo ambiente in città e campagna, liberata dai falsi standards economici, ed efficiente nell’organizzazione civica così come nell’impresa privata?

Le condizioni economiche del giorno d’oggi ci insegnano che alle domande del lavoro non si può mai rispondere con il mero incremento degli stipendi. Si risponde a questi bisogni solo con l’organizzazione scientifica e l’equa distribuzione delle risorse nazionali, e con un più serio sforzo per innalzare lo standard di vita e conservare la vita ed energia umana ora sprecate negli slums delle grandi città, e nelle isolate catapecchie della campagna. Quello con cui c’è più bisogno di misurarsi nella riforma delle condizioni urbane è la promozione di nuovi metodi di pianificazione e organizzazione della crescita e sviluppo delle comunità, con l’obiettivo di assicurare a ciascuna, per quanto possibile, i vantaggi combinati della città e della campagna. La creazione di una città giardino non può fare di più, che indicare la strada, ma questo è precisamente quello di cui c’è bisogno; perché, in materia di ricostruzione industriale e sociale, stiamo ad un crocicchio,a chiederci da che parte andare per andare davvero avanti.

Nota: il testo in originale è disponibile anche online sul bellissimo sito di John Reps alla Cornell University; di Thomas Adams, autore poco conosciuto e tradotto in Italia, anche l'introduzione allo studio originario sulla Unità di Vicinato di Clarence Perry, del 1930 (f.b.)

O MATRIMONIO D’O GUARRACINO

Rielaborazione di Roberto De Simone

Della famosa favola del “Guarracino” esistono tuttora moltissimi episodi nella tradizione viva della Campania. E’ questo il racconto di questo eroe marino attraverso il quale si può vedere quanto siano diversi il testo e la melodia autentica dalla ottocentesca versione riportata dalle stampe. (Tratto dal booklet del CD «Nascette mmiez’o mare» di Concetta Barra, registrato nel 1974)

Lo guarracino che jeva p’o mare

jeva truvanno ‘e se nzorà

e se facette nu bello vestito

‘e squame ‘e pesce pulito pulito

visitanno fosse e pertose

se ncuntraje c’a zia vavosa

là pe là le facette ‘a mmasciata

e ‘o matrimonio fuje cumbinato

P’o spusalizio ce fuje mmitato

‘o scuorfano ‘o ciefalo e ‘o pesce spada

alici e sarde a meliune

anguille murene e capitune

merluzze spinule e purpetielle

treglie mazzune e cecenielle

aurate dentece e calamare

e ‘o delfino facette ‘o cumpare

Nu pesce bannera tutto aparato

l’ha beneritto cu l’acqua salata

e ‘o guarracino dicette allero

“Finalmente me sì mugliera”

“Evviva ‘e spuse” abbajaje ‘o pescecane

e tutte ‘e pisce sbattettero ‘e mmane

tra vase e squase abbracciamente

accuminciaje ‘o festeggiamento

Ascette mmiez la guaguiglia

ca cumannava na bella quadriglia

aropp’ascettero li seccetelle

cu ‘e tammorre e ‘e castagnelle

e accussì nzieme a li spuse nu uallo

s’abballaje la tarantella

accumpagnato d’o pesce salmone

ca sunava lo calascione

La sardella se sente ind’a panza

comme si fosse na cuntrattanza

“Aiuto aiuto” alluccaje n’alice

“Priesto chiammate na levatrice”

“E’ cos’’e niente” dicette ‘a murena

“Chella ‘a sposa già eva prena”

“A chi è figlio” strillaje ‘o guarracino

“M’ha fatto curnuto ‘e Santu Martino”

“O ssaccio” alluccaje ‘o sparaglione

“stu mbruoglio l’ha fatto c’o capitone”

allucche strille nu parapiglia

tra pisce estranei e la famiglia

venettero mmiezz amice e pariente

e subbeto ascettero a pisce fetiente

a tutt chest li pisce mmitate

s’appicicavano ll’une cu ll’ate

Chianette ponie e secossune

pacchere cavece e scerevicchiune

e succerette proprio na uerra

nu fuja fuja e nu serra serra

cinquanta muorte duicento ferite

e n’ati vinte m’periculo ‘e vita

e ll’ate jettero add’o speziale

pe piglià ll’acqua turriacale

E la sposa pe la paura

se sgravaje na criatura

e fuje na granda maraviglia

pecchè facette lu scunciglio

e accussì se facette ‘o festino

d’o spusalizio d’o guarracino

e accussì se facette ‘o festino

d’o spusalizio d’o guarracino

Altre versioni e supporti sul Guarracino

Luca Signorelli, La Resurrezione della carne, 1499-1502

dettaglio dall'affresco

Cappella di San Brizio, Duomo, Orvieto

http://gallery.euroweb.hu/art/s/signorel/brizio/2/3resurr1.jpg

"Donna de Paradiso,

lo tuo figliolo è preso

Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide

che la gente l'allide;

credo che lo s'osside,

tanto l'ò flagellato".

Como essere porria,

che non fece follia,

Cristo, la spene mia,

om l'avesse pigliato?".

"Madonna, ello è traduto,

Iuda sì ll'à venduto;

trenta denar' n'à auto,

fatto n'à gra mercato".

"Soccurri, Madalena,

ionta m'è adosso piena!

Cristo figlio se mena,

como è annunziato".

"Soccurre, donna, adiuta,

cà 'l tuo figlio se sputa

e la gente lo muta;

òlo dato a Pilato".

"O Pilato, non fare

el figlio meo tormentare,

ch'eo te pòzzo mustrare

como a ttorto è accusato".

"Crucifige, crucifige!

Omo che se fa rege,

secondo nostra lege

contradice al senato".

"Prego che mm'entennate,

nel meo dolor pensate!

Forse mo vo mutate

de que avete pensato".

"Traiàn for li latruni,

che sian soi compagnuni;

de spine s'encoroni,

ché rege ss'è clamato!".

"O figlio, figlio, figlio,

figlio, amoroso giglio!

Figlio, chi dà consiglio

al cor me' angustiato?

Figlio occhi iocundi,

figlio, co' non respundi?

Figlio, perché t'ascundi

al petto o' sì lattato?".

"Madonna, ecco la croce,

che la gente l'aduce,

ove la vera luce

déi essere levato".

"O croce, e que farai?

El figlio meo torrai?

E que ci aponerai,

che no n'à en sé peccato?".

"Soccurri, plena de doglia,

cà 'l tuo figliol se spoglia;

la gente par che voglia

che sia martirizzato".

"Se i tollit'el vestire,

lassatelme vedere,

com'en crudel firire

tutto l'ò ensanguenato".

"Donna, la man li è presa,

ennella croc'è stesa;

con un bollon l'ò fesa,

tanto lo 'n cci ò ficcato.

L'altra mano se prende,

ennella croce se stende

e lo dolor s'accende,

ch'è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènno

e clavellanse al lenno;

onne iontur'aprenno,

tutto l'ò sdenodato".

"Et eo comenzo el corrotto;

figlio, lo meo deporto,

figlio, chi me tt'à morto,

figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fatto

Ch'el cor m'avesser tratto,

ch'ennella croce è tratto,

stace desciliato!".

"O mamma, o' n'èi venuta?

Mortal me dà feruta,

cà 'l tuo plagner me stuta,

ché 'l veio sì afferato".

"Figlio, ch'eo m'aio anvito,

figlio, pat'e mmarito!

Figlio, chi tt'à firito?

Figlio, chi tt'à spogliato?".

"Mamma, perché te lagni?

Voglio che tu remagni,

che serve mei compagni,

ch'èl mondo aio acquistato".

"Figlio, questo non dire!

Voglio teco morire,

non me voglio partire

fin che mo 'n m'esc' el fiato.

C'una aiàn sepultura,

figlio de mamma scura

trovarse en afrantura

mat'e figlio affocato!".

"Mamma col core afflitto,

entro 'n le man' te metto

de Ioanni, meo eletto;

sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate;

tollila en caritate,

àginne pietate,

cà 'l core sì à furato".

"Figlio, l'alma t'è 'scita,

figlio de la smarrita,

figlio de la sparita,

figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,

figlio senza simiglio,

figlio, e a ccui m'apiglio?

Figlio, pur m'ai lassato

Figlio bianco e biondo,

figlio volto iocondo,

figlio, perché t'à el mondo,

figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc'e placente,

figlio de la dolente,

figlio àte la gente

mala mente trattato.

Ioanni, figlio novello,

morto s'è 'l tuo fratello.

Ora sento 'l coltello

Che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate

D'una morte afferrate,

trovarse abraccecate

mat'e figlio impiccato!".

Rogier van der Weyden, Deposizione (1435)

Museo del Prado, Madrid

"...il corpo della madre, esausto dal dolore, assume lo stesso andamento di quello del figlio, le mani si sfiorano. Sulla destra, una Maddalena che si contorce nello spasimo e sulla sinistra una Maria con il nasone rosso per il troppo pianto...e queste braccia che sostengono senza poter allievare il dolore, queste mani che non sanno più stringere."

L’Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale e del territorio del Fucino è stato istituito con Decreto del Presidente della Repubblica del 7 febbraio 1951, n. 66, con lo scopo, previsto dalla legge del 12 maggio 1950, n. 230, di esercitare nel suo vasto comprensorio, delineato dall’Agro Romano, dalle colline del Viterbese, dal Monte Amiata, dal Volterrano e dal mare, nonché nel bacino del Fucino, le funzioni relative alla espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini.

L’Ente è amministrato dal Presidente, attualmente il Sen. Giuseppe Medici, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Agricoltura e Foreste. Il Presidente dell’ Ente è assistito da un Consiglio di dodici membri, dei quali sette scelti fra persone specialmente esperte dei problemi inerenti alla trasformazione fondiaria ed alla colonizzazione o rappresentanti delle categorie agricole e cinque in rappresentanza, rispettivamente, dei Ministeri delle Finanze, del Tesoro, dell’Agricoltura e delle Foreste, dei LL. PP. e del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Dal Presidente dipendono direttamente i due settori fondamentali dell’Ente, quello dei Servizi Tecnici (alle dipendenze del Direttore Generale) e quello dei Servizi Sociali ( diretto dal Capo Servizio Assistenza e Cooperazione). Ai servizi tecnici fanno capo: la Direzione delle Aziende di Colonizzazione, la Direzione dei Centri di colonizzazione, la Direzione Amministrativa. I Servizi a loro volta si suddividono in: Servizio Assistenza, Servizio Cooperazione, Servizio Stampa, Informazione e Cinema. Nelle quattro principali provincie del comprensorio maremmano (Pisa, Grosseto, Viterbo, Roma) sono stati costituiti altrettanti Centri provinciali di colonizzazione e corrispondenti Uffici Provinciali di Assistenza e Cooperazione. Per il comprensorio del Fucino è stata costituita un’Azienda Autonoma, la quale comprende anche un Ufficio del Servizio Assistenza e Cooperazione.

Premessa

Nell’impostare il problema urbanistico di una determinata regione, è evidente che occorrerebbe premettere un vasto e attento studio di tutte le condizioni non solo fisiche, ma economiche e sociali, con particolare riferimento al settore demografico.

Tanto più necessaria una simile indagine e precisazione, quando trattasi di territori in via di attiva trasformazione evolutiva determinata, come è il caso nostro, da particolari provvidenze bonificatorie e riformatrici.

È evidente che l’attuazione di un simile disegno, richiederebbe assai lungo studio, e minute analisi, da condurre in equipe tra tecnici, economisti, sociologi, ingegneri e architetti-urbanisti, raccogliendo, coordinando ed elaborando tutti gli studi specifici già esistenti sulle regioni considerate, aggiornandoli. adeguatamente e correlandoli ai disposti piani di bonifica e riforma. Compito, come si vede, di grandissimo impegno e di notevole difficoltà.

Nel caso che ci riguarda, e cioè per quanto concerne i territori ai quali è interessato l’Ente di Riforma per la Maremma e per il Fucino, è evidentemente pacifica la impossibilità di poter oggi impostare un simile discorso, sulla base cioè di una compiuta ed organica visione come sopra accennata.

Senza contare che, anche in ben altre condizioni di già avvenute rivelazioni ed elaborazioni similari, non potrebbe mai pensarsi a pianificazioni urbanistiche “definitive”, ma solo graduate nel tempo e nello spazio.

Si tenga inoltre presente che, nel nostro caso, si tratta di un Ente che opera necessariamente per zone distaccate, a sé stanti, disperse nel vasto comprensorio maremmano e che nel loro complesso non costituiscono che una modesta parte del tutto. Questo, è il dato di fatto che più deve far meditare in quanto rende impensabile in partenza, una impostazione urbanistica inquadrata in una visione organica e integrale delle necessità regionali ; che sarebbe disegno quanto mai ardito e inopportunamente ambizioso, nelle condizioni in cui l’Ente deve attualmente operare.

E si consideri che devesi precisamente operare in una regione che se ha in linea generale una base, dirò così un plafond, di caratteristiche comuni, si risolve tuttavia in notevoli differenziazioni da circoscrizione a circoscrizione e da zona a zona. È il tipico caso di una regione, nella quale un piano generale urbanistico dovrebbe necessariamente articolarsi nei tre specifici e distinti indirizzi cui fa cenno il dr. Sebregondi nella sua Relazione e cioè: urbanistica di trasformazione, urbanistica di evoluzione, e urbanistica di sistemazione; piano d’altronde dominato, come in nessun altro caso forse, dai limiti e dai modi dei predisposti interventi finanziari dello Stato.

Sguardo sommario all’ambiente

Basti accennare qui ad alcuni fondamentali elementi fisico-economici del vasto territorio in questione. Si tratta, prescindendo per ora dalla zona del Fucino, di una intera regione: la “maremma tosco-laziale”, della complessiva superficie di circa 1 milione di ettari, dei quali quasi due terzi in Toscana (provincie di Grosseto, Pisa, Livorno, Siena) e oltre un terzo nel Lazio (provincie di Viterbo e Roma); e dove l’Ente. opererà qua e là, dispersamente, sopra appena un quinto, in complesso, della detta estensione territoriale. Caratterizzata, tutta la regione, da una delle più basse densità demografiche del Paese: 57 abitanti per kmq. (di fronte alla media nazionale di 116) ; da una agricoltura generalmente di tipo estensivo, con terreni destinati per quasi la metà a seminativo, per quasi un terzo a bosco e quasi un quarto a pascolo, con particolare allevamento bovino brado e ovino stanziale e transumante da una struttura fondiaria con alta prevalenza della grande proprietà (il 73%), e assai scarsa rappresentanza della media (16%) e della piccola (11%) (struttura che testimonia la propria anormalità con le sue sole 800 grandi e grandissime ditte, e le polverizzate 80.000 piccole proprietà); da due essenziali tipi di conduzione nettamente prevalenti, la mezzadria nella parte toscana, e il salariato in quella laziale; da un assorbimento di lavoro rurale che raggiunge in media appena 0,15 unità lavorative ad ettaro (cioè 7 ettari per unità lavorativa) pur salendo a 0,28 nella piccola proprietà coltivatrice (3,5 ettari per unità lavorativa).

Indubbiamente, già questi dati sommari e sintetici, danno un’idea generale dell’ambiente in mezzo al quale deve operare l’Ente; ma che non possono essere lontanamente sufficienti ad una sia pur approssimata pianificazione urbanistica, che richiederebbe ben altre precisazioni e localizzazioni, almeno zonali. E bastino a convincere i due esposti estremi della vasta e della minuscola proprietà. Dove sono esse localizzate? E con quale continuità o dispersione? E come e perchè correlate agli attuali tipi di insediamento ? E via e via dicendo.

Necessità pertanto di rinunciare, almeno in primo tempo - da parte di un Ente che deve agire con la massima sollecitudine, spintovi dalle istanze sociali che urgono - ad ambiziose impostazioni di piani urbanistici regionali, per raccogliersi invece nella più modesta e circoscritta, ma concreta, azione progettuale relativa alle singole e precisate zone di intervento. Il che si potrà e dovrà pure attuare con una intelligente capacità coordinativa in rapporto alle peculiari condizioni fisico-economico-demografiche che caratterizzano l’ambiente entro il quale insiste ciascuna di quelle specifiche zone.

Certo, anche questa necessariamente ristretta e disunita programmazione, pur si aggancia ad una preliminare constatazione generale e cioè che - almeno per la più gran parte del territorio nel quale l’Ente è destinato ad operare - una caratteristica dominante da tener presente è quella del prevalente tipo degli insediamenti accentrati e distanziati tra loro, di una notevole scarsità di comunicazioni e di collegati servizi, di una scarsa percentuale di dimore sparse e comunque di un assai ridotto numero assoluto di dimore rurali (nell’indagine statistica diretta da uno degli scriventi nel 1933 sulle case rurali in Italia, la minima densità di esse venne proprio registrata dalla, provincia di Grosseto).

Orientamenti d’azione

Per concludere, Sembra chiara la forzata necessità di limitare per ora, da parte dell’Ente sia le programmazioni che le realizzazioni urbanistiche, ai soli e singoli territori di sua pertinenza, sia pure con il rispetto delle sopra accennate correlazioni. Dal che intanto consegue una opportunità evidente: quella di orientarsi sempre verso soluzioni le più elastiche possibili e le più facilmente capaci di modifiche e integrazioni future, Solo quando debbasi operare in ristrettissime zone a sé stanti, adatte ad organizzazioni di piccoli gruppi aziendali o di singole aziende, ci si potrà orientare, come ci si è orientati, verso più precise e più rigide soluzioni.

Ma ciò ammesso, sembra anche logico premettere a quelle più determinate progettazioni - delle quali si riportano più avanti i tipici casi considerati - qualche considerazione orientativa, a guida e chiarimento dei motivi che a quelle progettazioni di massima condussero.

Alcuni anni addietro, in una conferenza tenuta a Foggia in occasione di un convegno tecnico per la trasformazione fondiaria del Tavoliere, uno dei sottoscritti riepilogava in 4 tipi le molteplici e spesso commiste forme del dimorare contadino nei territori ad economia latifondistica in via di trasformazione. Riassuntivamente i 4 tipi venivano così schematizzati:

a) zone ad insediamento rurale sparso più o meno intenso: zone mezzadrili a fattorie o a poderi autonomi; piccole proprietà coltivatrici con case proprie, e simili;

b) zone ad insediamento rurale accentrato: masserie; corti; compartecipazioni collettive unite e singole; con dimore dei lavoratori in luogo;

c) zone a proprietà frazionata divisa, con salariati non dimoranti in luogo, zone di latifondo contadino esimili;

d) zone a latifondo accentrato: masserie; corti, più o meno trasformate, con partecipazione collettiva unita, senza o con scarsa dimora in luogo dei lavoratori.

E chiariva, l’autore, come ai fini dell’organizzazione civile delle popolazioni rurali a quei modi insediate, fosse logico provvedere, urbanisticamente, nei primi due casi a) e b) alla edificazione di “borghi di servizio”, e negli altri due casi c) e d) di “borghi residenziali”.

Ora, sta di fatto che nelle svariate condizioni d’ambiente nelle quali l’Ente per la Maremma e per il Fucino deve operare, tutti i 4 tipi sopra schematizzati, hanno un proprio loro luogo di opportunità.

Si tratterà pertanto, da parte dell’Ente, della consapevole scelta del più rispondente tipo da adottare, caso per caso.

Già, infatti, nella prima visione programmatica dell’attività urbanistica dell’Ente, fu prevista la necessità di orientarsi sui due essenziali tipi di insediamento, sparso e accentrato. E venne valutato a circa il 60% di tutta la superficie interessata, quella da ordinarsi in forme poderali, con borghi di servizio; e a circa il 40% quella da attuarsi in forme di minuta quotizzazione e richiedente il tipo di insediamento accentrato, a borghi residenziali. Tanto nel primo che nel secondo caso, si prospettava la necessità di realizzare alcune “aziende di colonizzamento” a tipica organizzazione a sé stante, e alcuni subordinati “nuclei demografici” ; le une e gli altri, organicamente collegati ai previsti scherni urbanistici pei due tipi di trasformazione.

Non potendosi qui individuare ancora la localizzazione esatta dei vari tipi urbanistici programmati (la progettazione esecutiva è già attuata per talune zone, ed è tuttora in corso per altre), pensiamo essere opportuno ed utile limitarci, intanto, ad esporre i fondamentali concetti che si ritiene necessario porre a base di ognuno dei tipi considerati; soffermandoci partitamente sui tipi di colonizzazione ad insediamento raggruppato, su quello ad insediamento decentrato con particolare considerazione sui problemi dell’edilizia popolare, ed infine con un cenno su un particolare tipo di azienda cooperativa agro-pastorale.

I centri di gestione

Premettiamo brevi cenni illustrativi sulle cosi dette “aziende di colonizzazione” o “centri di gestione”.

Abbiamo già accennato come, in ogni caso, sia da pensare alla costituzione di centri di gestione o aziende di colonizzazione (o di riforma, o primigenie), questa, una esigenza assoluta che giustamente è stata posta a base dell’azione degli enti riformatori, sia per la indispensabile assistenza tecnico-economica e morale alle aziende contadine per il loro funzionamento e consolidamento, sia per la opportunità di una gestione associata di taluni servizi, quali per esempio la lavorazione meccanica dei terreni, la trebbiatura, la trasformazione di alcuni prodotti e la conservazione di altri, l’acquisto, deposito e distribuzione mangimi, concimi, anticrittogamici, nonché i servizi di trasporto ecc.

È evidente che l’organizzazione tecnica generale e dei singoli servizi, dovrà avere una sede nella indicata azienda di colonizzazione, che dovrà: curare lo sviluppo della cooperazione, l’assistenza e il rifornimento di mezzi produttivi; il che è condizione imperativa affinché la riforma fondiaria non si risolva in atomistica formazione di piccole proprietà disperse e a sé stanti, con i singoli, miseri e inattrezzati contadini, incapaci di provvedere alla propria organizzazione aziendale, nella scarsa preparazione tecnica e deficienza di capitali che li caratterizza; il che impedirebbe ogni progresso agricolo e, in definitiva, vanificherebbe le ragioni e le finalità della voluta riforma.

Solo con l’organizzazione degli accennati “centri di gestione”, i contadini, che come scrive il Medici, “sono i veri protagonisti della riforma, troveranno chi li assista, li consigli, li guidi, li aiuti, nel momento del bisogno”.

Si pensa che l’ampiezza della “azienda di colonizzazione”, che potrà essere preferibilmente unita, o formata di più appezzamenti situati in un raggio di azione ragionevole; possa variare dai 2.000 agli 8.000 ettari, almeno in un primo tempo.

Quanto all’ubicazione della sede di detta azienda, un concetto di opportunità suggerisce di sfruttare il più possibile preesistenti insediamenti accentrati, affiancandola o inserendola nel borgo di servizio se trattasi di zona ad insediamento sparso, o ubicandola in posizione eccentrica nel caso di favorevole condizione di servizi già offerti da esistenti centri demografici, o anche quando possano essere utilizzati per essa preesistenti gruppi di fabbricati aziendali accentrati, che ne rendessero più economica e confacente la realizzazione. Spesso sarà conveniente non accentrare presso la sede dell’azienda di colonizzazione tutti i servizi ad essa inerenti, e ciò per evidenti ragioni tecniche e spaziali. Così, ad esempio, le stazioni di monta bovina (naturale e artificiale) e suina, sarà opportuno dislocarle entro determinati raggi di influenza (per esempio, per ogni 1000 ettari di superficie) presso aziende contadine, gestite da coloni proprietari che ne cureranno il funzionamento e ai quali verrà fatto obbligo di giovarsi dell’opera di sanitari specialisti. Così, ancora, sarà opportuno che i trattori per i normali lavori agricoli abbiano la propria sede stagionale, od anche permanente, in ricoveri-tettoia ogni 400-500 ettari di superficie, mentre quelli adatti ai lavori speciali dovranno essere raccolti nell’officina-rimessa della cooperativa presso la sede aziendale. Così, per citare un ultimo esempio, i magazzini di deposito temporaneo per somministrazione e ritiro dei prodotti, sarà opportuno dislocarli (sia pure presso le corti di aziende contadine per facilitarne la sorveglianza) in modo che ognuno possa facilmente servire una prestabilita zona, la cui ampiezza potrebbe valutarsi intorno ai 2.000 ettari. Con tali criteri ed in tal senso, si riporta uno schema di zonizzazione, di “azienda di colonizzamento” secondo un piano di massima di trasformazione di primo tempo. Naturalmente, lo schema potrà variare successivamente, quando il ritmo produttivo avrà raggiunto una intensità maggiore di quella prevista.

Quanto al modo di articolare i vari fabbricati e locali del centro di colonizzazione secondo la loro specifica funzione, sembrano potersi schematizzare, nel seguente elenco, gli edifici indispensabili ed utili:

a) come indispensabili: una abitazione per il direttore di azienda, idem per uno o più assistenti tecnici; idem per il contabile; qualche stanza per l’ufficio tecnico-amministrativo; una rimessa-tettoia per le varie macchine; una officina attrezzata per la riparazione e manutenzione; un magazzino per il deposito e rifornimento dei prodotti; una stazione di selezione sementi ; un mulino frangitutto;

b) come utili: una cantina sociale, un caseificio, o centro di raccolta; una porcilaia; una stazione di monta equina; un oleificio; una segheria o falegnameria, ecc.

Voci

Le voci dei ramarri sono rare

vengono per dolore

in quelle dei piccioni

rode il mal d’amore.

A cantare i pavoni

incrinano i tramonti…

Dicono tempesta

Dicono tempesta

dicono tifone

ma questa rabbia d’acqua e di vento

mi pare una voglia di aprirci i pugni

curiosità del buio

che ci portiamo dentro.

Dopo il temporale

Dopo il temporale

la farfalla sembra nuova

tenta una lumaca la sua strada

e la zucca un altro fiore.

Tra un po’ lei dice:

”Ecco, vedi, adesso come adesso

ti amo molto”.

Lo so dai passi.

Roccolo

Il capanno per spiare

una finestra sul cielo

e zitti.

Che vengano

che cantino

che si credano a casa loro

nella calma dei morti.

Soffiatina

Ali che abattono

becco ostinato

zampine che graffiano

a sgarbugliare i passeri.

e sul capino spaventato

una soffiatina leggera

come lo schiaffettino del vescovo.

Fiati

Arare.

Fiati d’uomini

e di cavalli

sulla nudità

dei lombrichi.

Talpa

Talpa

bestia sorella

soglia di luce

attraverso la terra.

Semafori

Tot morti? Tot feriti?

Ora si comincia a ragionare.

Gli incroci

caro signore

i semafori se li devono guadagnare.

Metrò

Marocchini cinesi persiani

algerini tailandesi

turchi indiani senegalesi.

E in mezzo noi

facce di figli di ladri d’obelischi.

Posto

Alle volte cambiamo passo

fino quasi a correre

come per tener posto

in una fila.

Fretta

Dove vado

così di fretta?

Cerco uno specchio.

Tre persone di fila

mi hanno sorriso.

Ritratti

Delle case che buttano giù

tengono alle volte un muro

colori prima nascosti

si vedono senza i luoghi.

Così i ritratti

di quelli che abbiamo conosciuto.

Altre poesie di Giancarlo Consonni

Terremoto

Quanto ai mali fisici, essi sono inevitabili in qualunque sistema di cui l'uomo faccia parte: la maggior parte dei nostri mali fisici sono ancora opera nostra. Senza abbandonare l'argomento di Lisbona, converrete, per esempio, che non fu la natura ad accostare ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella grande città si fossero distribuiti in modo più equilibrato e alloggiati in modo più leggero, le perdite sarebbero state di molto minori, e forse nulle. Quanti sventurati sono defunti in questo disastro, per aver voluto recuperare l'uno gli abiti, l'altro dei documenti, l'altro ancora del denaro?

Jean-Jacques Rousseau, Lettera a Voltaire, 18 agosto 1756

Avversario

Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni: lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po' o molto di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire

Antonio Gramsci

Donna

La donna dei nostri paesi, la donna che ha una storia, la donna della famiglia borghese, rimane come prima la schiava senza profondità di vita morale, senza bisogni spirituali, sottomessa anche quando sembra ribelle, pi schiava ancora quando ritrova l'unica libertà che le è consentita, la libertà della galanteria. (…) L'ipocrisia del sacrificio benefico è un'altra delle apparenze di questa inferiorità interiore del nostro costume. (…) Ma accanto ad esso vi è un altro costume in formazione, quello che è più nostro, perché è della classe cui apparteniamo noi. Costume nuovo? Semplicemente costume che aderisce tanto alla morale universale, tale perché è profondamente umana, perché è fatta di spiritualità più che di animalità, di anima più che di economia o di nervi e di muscoli.

Antonio Gramsci

Società

La società non è, come comunemente si crede, lo sviluppo della natura, ma la sua decomposizione e la sua intera rifusione. È un secondo edificio, costruito con le macerie del primo.

La société n'est pas, comme on le croit d'ordinaire, le développement de la nature, mais bien sa décomposition et sa refonte entière. C'est un second édifice, bâti avec les décombres du premier.

Sébastien-Roch-Nicolas Chamfort

Strade

La speranza è come una strada. All'inizio del mondo le strade non esistevano. Le strade nascono quando tanti esseri umani si ritrovano e camminano insieme nella stessa direzione

Lu Xun

Sinistra italiana

È quasi incredibile ripensare allo scempio volontario delle proprie radici che la sinistra italiana ha perpetrato. Nell’ansia di emendarsi dei suoi vizi ideologici, si è vergognata del meglio di sé, della cultura e dell’umanità, della probità intellettuale di gente che conosceva l´Italia e gli italiani molto meglio dei patetici "staff" di managerini dei quali si sono circondati i nuovi leader.

Michele Serra, (ricordando Michele Straniero), da Repubblica, 15 aprile 2003

Architetti

Gli spiriti inquieti che tendono al nuovo per il nuovo, allo strano e al mirabolante non servono all'architettura e, quando per caso si dedicano a questo mestiere che è tutto reale e concreto, raramente giovano. E danno non piccolo fanno anche gli ingegni copiatori, quelli che per mancanza di forza inventiva e di spirito critico si attaccano alla moda e seguono solo questa, accettandola tal quale anche se allogena ed estranea affatto al loro tema, al loro clima, ai loro mezzi economici e tecnici.

[...] Guai a lasciar prendere la mano ai praticoni od ai cosiddetti uomini d'azione, che credono di fare la civiltà d'oggi perché costruiscono case o producono beni industriali o commerciano le merci od il denaro e lo fanno sempre con furia gloriandosi della velocità della loro azione e del loro successo, ma sciupando la civiltà del domani, l'industria del domani, la ricchezza del domani. E questi realizzatori noi sappiamo sin d'ora che balzeranno alla ribalta alla prima occasione a bandire programmi mirabolanti e semplicistici, a chiedere libero campo per le loro imprese, a battersi per il sistema del fare pur di fare perché il tempo stringe e la necessità è grande.

Conviene dunque precederli e cercar di fissare qualche concetto fondamentale per lo sviluppo della città, che valga anche a difenderla dagli improvvisatori.'

Occorre, quindi, chiedersi se oggi, nell'attuale fase di incontrollata trasformazione che le città sta subendo, quegli ammonimenti non abbiano di nuovo quanto mai valore.

Giuseppe De Finetti, in "La ricostruzione delle città. Per la città del 2000", serie di articoli inediti per Il Sole, 17 aprile 1943; ora in Milano. Costruzione di una città, Hoepli, Mílano 2002, pp. 322-23

Legittimità

E' vero che l'etica della politica è la forza, ma è altrettanto vero che l'etica della forza deriva dalla sua legittimità. Alcuni pensatori liberali che hanno mandato in vacanza il proprio pensiero, ammesso che ne abbiano mai avuto uno, si affannano a teorizzare che la legittimità della forza sta nella legittima difesa e che ogni soggetto - individuale e collettivo - stabilisce da solo dove comincia e dove finisce la propria legittima difesa.

Questa visione equivale all'abolizione sia del diritto pubblico internazionale sia dei codici penali vigenti negli Stati nazionali. E' il trionfo del self-service nei rapporti individuali e collettivi ed equivale più semplicemente ad affermare che chi è più forte ha sempre ragione.

L'aspetto comico di questo modo di sragionare è l'etichetta liberale che si pretende di applicargli addosso. (In Italia ci sono tre o quattro di questi "cretinetti" che non destano quindi soverchia preoccupazione se non fosse che sono invece molti gli italiani che mettono in pratica queste aberrazioni. Poi ci stupiamo che il nostro paese sia in declino. E vorreste anche che fosse in ascesa?).

Eugenio Scalfari, Repubblica, 6 aprile 2003

Democrazia

La vera democrazia scaturisce da molte impercettibili battaglie umane individuali combattute per decenni e alla fine per secoli, battaglie che riescono a costruire tradizioni. L’unica difesa della democrazia, in fin dei conti, sono le tradizioni di democrazia. Se si inizia ad ignorare questi valori, si mette in gioco una nobile e delicata struttura. Non esiste nulla di più bello della democrazia. Ma non è una cosa con cui giocare. Non si può avere la presunzione di andare a far vedere agli altri che magnifico sistema possediamo. Questa è mostruosa arroganza.

Poiché la democrazia è nobile, è sempre messa a rischio. La nobiltà in effetti è sempre in pericolo. La democrazia è effimera. Personalmente sono dell’opinione che la forma di governo naturale per gran parte delle persone, dati gli abissi di abiezione della natura umana, sia il fascismo. Il fascismo è una condizione più naturale della democrazia. Dare allegramente per scontato che possiamo esportare la democrazia in qualunque paese vogliamo può servire paradossalmente ad incoraggiare un maggior fascismo in patria e all’estero. La democrazia è uno stato di grazia ottenuto solo da quei paesi che dispongono di un gran numero di individui pronti non solo a godere della libertà ma a sottoporsi al pesante onere di mantenerla.

Norman Mailer, Repubblica, 6 marzo 2003

Uomo

Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. Se una Zolla viene portata dall’onda del Mare, l’Europa ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una Magione amica, o la tua stessa Casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità e così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te.

John Donne, a distico in: E. Hemingway, Per chi suona la campana

Accademia

L’accademia trova il suo senso compiuto e la sua piena legittimazione non in quanto dia risposta a delle domande, ma in quanto fornisca i saperi che mettono in grado di formularle.

Franco Rella, alla prolusione all’Anno accademico 2000-2001 dell’IUAV

L’Ippogrifo

Volando talor s’alza nelle stelle

e così quasi talor la terra rade

Ludovico Ariosto, La Gerusalemme liberata

Parole

Non sappiamo più leggere i libri importanti, gli alberi, l’acqua, un campo di grano. Usiamo le parole, ma hanno perso il significato delle cose. E abbiamo perso il senso delle parole perché non conviviamo più con l’oggetto che le ha determinate.

Ermanno Olmi

Tutto

Il tutto è più importante delle sue parti

Eugenio Montale

Demagoghi

Il trionfo dei demagoghi è passeggero, ma le rovine che lasciano sono eterne

Charles Peguy

Ipocrisia

L’ipocrisia è l’estremo omaggio che il vizio rende alla virtù.

François-René Chateaubriand

Storia

Natura di cose altro non è che nascimento di esse, in certi tempi e con certe guise, le quali, sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose

Giambattista Vico, La Nuova Scienza

Pianificazione

La pianificazione urbanistica è un’operazione di interesse collettivo, che mira a impedire che il vantaggio dei pochi si trasformi in danno ai molti, in condizioni di vita faticosa e malsana per la comunità. Si impone quindi la pianificazione coercitiva, contro le insensate pretese dei vandali che hanno strappato da tempo l’iniziativa ai rappresentanti della collettività, che intimidiscono e corrompono le autorità, manovrano la stampa e istupidiscono l’opinione pubblica. Guerra ai vandali significa guerra contro il privilegio e lo spirito di violenza, contro lo sfruttamento dei pochi sui molti, contro tutto un malcostume sociale e politico: significa restituire dignità alla legge, prestigio allo Stato, dignità a una cultura. Nell’urbanistica, cioè nella vita delle nostre città, si misura oggi la civiltà di un Paese.

Antonio Cederna

da http://www.retecivica.novi-ligure.al.it/scuole/scircolo/primavera.jpg

L'antica città italica, benché gelosamente racchiusa dentro il vallo, o le mura, ebbe innata la intuizione dei rapporti intercorrenti fra nucleo urbano e zona rurale circostante. Il pomerium sacro agli dei tutelari e la zona dei mille passus, che fu sempre considerata come parte integrante della città murata, erano la fascia di protezione, sulla quale, colla tutela del vincolo religioso o della potestà militare o civile, la città sentiva il bisogno di estendere il suo controllo.

Nei tempi moderni, quando sotto la spinta del crescente inurbamento, le nostre città, superate le vecchie cinte murarie, saturata la zona interna ed invasa l'esterna,, colle loro propaggini raggiunsero il limiti amministrativi del loro territorio,, penetrando prepotentemente nei Comuni contermini, la prima preoccupazione delle Amministrazioni fu di nuovo prevalentemente territoriale: ampliare i confini del Comune per procurare una conveniente estensione alla espansione urbana con indirizzo amministrativo accentrato e non federativo.

Si ebbero allora le graduali rettifiche di confini, il progressivo arrotondamento del territorio colla annessione di zone confinanti, finché, dal 1923 in poi, si addivenne a grandiosi provvedimenti di incorporamento di interi Comuni rurali nel Comune urbano, fra i quali, primi in ordine di tempo e di importanza, quelli per Milano, Genova, Napoli.

Ma, risolto il problema territoriale, si impose alla attenzione dei pubblici poteri il problema demografico. Il fenomeno dell'inurbamento, pur non raggiungendo ancora da noi - per particolari ragioni di ambiente e di tradizione - i paurosi aspetti di altri paesi, comincia tuttavia a farsi sensibile. Il Governo fascista, rendendosene chiaro conto, corse ai ripari con una collana di organici provvedimenti. Il decr. del Novembre 1927, che assoggetta a determinate condizioni l'impianto dei nuovi stabilimenti nelle grandi città, le nuove leggi che promuovono il ritorno alla terra, ed il recentissimo provvedimento che dà particolari facoltà ai Prefetti per limitare l'immigrazione nella città, sono le prime tangibili prove di questa vigile cura.

Il problema dello sviluppo dei quartieri periferici della città assume oggi per noi fra tutti i problemi urbani una posizione di primo piano, in diretto rapporto colle attuali direttive demografiche del Governo Nazionale.

E' ai margini appunto delle città che si svolge la lotta giornaliera fra i due elementi antagonistici: la «città» e la «campagna». Nei sistemi di estensione che si adottano per le nostre città è il più efficace mezzo tecnico per affiancare l'opera del Governo nella lotta contro l'urbanesimo.

E' bene chiarire che colla parola «sistema» non si intende qui di fare riferimento ai minuti particolari di tracciamento interno di un piano. Il problema in esame non può confinarsi nella ristretta discussione fra schemi classici o romantici, rettilineo o curva, simmetria spontanea o artificiose asimmetrie.. Esso è ben più vasto ed investe la intera costituzione somatica cittadina.

Il processo di accrescimento tipico dei nostri centri urbani nell'ultimo secolo - ove non esistevano particolari cause perturbatrici - è quella a «macchia d'olio» e cioè isotropo, uniforme, senza soluzioni di continuità.

Pure adattandosi a schemi strutturali diversi esso si ripete da Torino a Napoli, da Palermo a Bologna. Non ne restano purtroppo del tutto immuni neppure Firenze e Roma, quantunque meglio difese dalla loro tradizione artistica, dalla loro postura e da qualche indovinato provvedimento.

A questa legge «monocentrica» di accrescimento si tende oggi a sostituire quella «policentrica» nel senso cioè di limitare volutamente lo sviluppo dell'agglomerato principale cittadino per dare vita ad un'organizzazione periferica di «unità suburbane» nettamente disegnate, sufficientemente organizzate in ogni loro servizio, capaci di una vita relativamente autonoma, cinte da spazi liberi e convenientemente collegate da poche buone arterie col centro principale e fra di loro. E' il primo passo verso la necessaria concezione «regionale» del problema urbano.

Siamo per il momento ancora in una fase ancora tendenziale di applicazione di questo indirizzo. Se ne hanno però chiari accenni nei nuovi piani di Roma e di Napoli e nelle direttive enunciate fin dal 1924 dalla Amministrazione Comunale di Milano quando, ampliato il territorio colla aggregazione di undici Comuni contermini, si iniziarono gli studi del nuovo Piano di ampliamento. La tendenza venne riconfermata al Congresso di Urbanismo di Torino (1926) e ricompare adattata alle particolari circostanze negli studi e nei concorsi per altri recentissimi Piani di nostre città.

L'aggregato urbano non può crescere indefinitamente. Oltre un certo limite - che sarà necessariamente diverso da caso a caso - esso deve dare luogo ad un processo di differenziazione, arrestando il proprio sviluppo per dare vita intorno a se ad unità minori che, pure nel quadro generale di una comune organizzazione, conservino spiccate caratteristiche proprie.

Questa tendenza che si è venuta nettamente delineando fra gli studiosi negli ultimi anni trova perfetta aderenza ai recentissimi programmi governativi, assumendo con ciò una sanzione ufficiale.

Il criterio di differenziazione sarà naturalmente diverso da caso a caso.

La grande città deve creare ai suoi margini dei nuovi «centri civici» nei quali realmente si decentrino le sue funzioni industriali, commerciali, amministrative. Intorno a questi, entro un perimetro ben disegnato, può concentrarsi, con sicura economia di mezzi, lo sviluppo della rete stradale e dei servizi pubblici ed intensificarsi la fabbricazione per la creazione di nuove zone industriali o residenziali, di villaggi o sobborghi satelliti, ecc., invece di disperdere i mezzi privati e pubblici sopra una maglia troppo vasta di sviluppo periferico isotropo.

Per le città minori, di impronta prevalentemente agricola, gli elementi periferici ai quali può appoggiarsi il piano di sviluppo assumeranno invece sopratutto le caratteristiche di «borgate rurali». I provvedimenti legislativi del 7 Febbraio 1926 e del 27 febbraio 1927 favoriscono particolarmente lo sviluppo di queste borgate [1]. La città di Foggia nel suo recentissimo concorso per lo studio del Piano di Ampliamento (previsto per una comunità di 200.000 ab.) pose come condizione ai concorrenti lo studio di un gruppo di borgate rurali periferiche, a conveniente distanza dall'aggregato urbano, capaci di accogliere complessivamente 2000 Famiglie.

L'esempio merita di essere segnalato perchè indica una notevole tappa nei criteri urbanistici del Mezzogiorno d'Italia, dove l'addensamento della popolazione nelle città e la non residenza del contadino presso i suoi campi erano una triste conseguenza delle vicende storiche passate, disastrosa per il progresso agricolo.

Il sistema di sviluppo per «unità periferiche» ben individuate, anziché per anelli isotropi intorno al vecchio nucleo urbano, ha particolare interesse per le città italiane anche perchè permette di meglio conservare le caratteristiche storiche ed ambientali del loro suburbio invece di affogarle nell'uniforme assorbimento entro le maglie della espansione edilizia.

Può porsi a questo punto la domanda se, per le maggiori città, gli esistenti nuclei fabbricati suburbani e gli antichi villaggi della zona circostante possono utilmente costituire le cellule dei nuovi centri in espansione. In linea generale, pure costituendo questi nuclei per evidenti ragioni topografiche e demografiche dei punti inevitabili di richiamo, è da evitarsi assolutamente l'errore di applicare ad essi la pratica dei rimaneggiamenti e degli sventramenti per tentare di renderli atti a nuovi scopi. Meglio conservare ad essi fin dove è possibile la loro personalità, talora simpatica, senza costose manomissioni di dubbio risultato, e cercare invece nei terreni adiacenti od in zone vergini i luoghi più convenienti alla nuova espansione edilizia.

La voluta limitazione dello sviluppo urbano «a macchia d'olio» e l'adozione del sistema di espansione per enti periferici ben circoscritti ed individuati possono effettivamente realizzarsi solo a patto di conseguire la reale separazione dei futuri aggregati fabbricati con «zone libere» permanentemente conservate alla loro funzione agricola.

Indipendentemente dalla creazione di parchi o di giardini - nostalgici ricordi del divino Pincio, dell'impareggiabile viale dei Colli, delle Cascine o del Valentino - si tratta in primo luogo di «ruralizzare» la città, di spezzare la infinita successione di muri e di tetti, incuneando fra le propaggini suburbane ampie «riserve» di terreni agricoli permanentemente sottratti ad ogni forma di fabbricazione, che non sia quella strettamente necessaria ai particolari usi agricoli, o sportivi, o di ricreazione.

Assicurate, coi mezzi legali di cui parleremo più avanti, queste riserve, il problema dei parchi e dei giardini pubblici veri e propri può trovare nel suburbio elementi per la sua soluzione in quel patrimonio di antiche ville o di giardini patrizi che, perdendo gradatamente, coll'estendersi della città, la loro primitiva funzione, devono trasferirsi a beneficio della collettività.

Un piano di ampliamento a nuclei frazionati intramezzati da spazi liberi per la sua scioltezza ed adattabilità al terreno si presta meglio di quanto non lo potessero i poderosi e meccanici piani di vecchio stile alla valorizzazione di tutte queste note artistiche ed ambientali, talune delle quali, pur non costituendo monumenti d'arte o bellezze naturali «ufficialmente» protetti dalle speciali leggi di difesa delle Belle arti o del paesaggio, meritano tuttavia l'attenzione dell'urbanista.

Nella ricerca di queste note caratteristiche della geografia urbana viene oggi offerto un prezioso aiuto dai nuovi metodi di rilevamento fotografico aereo, che fanno rivivere il terreno in tutte le più minute particolarità che sfuggirebbero anche al più diligente topografo.

Parecchie città italiane se ne sono valse: Milano aveva iniziato nel 1925 un rilevamento sistematico della sua zona esterna, Foggia predispose per il bando del suo Concorso un completo rilievo fotografico.

La disposizione più conveniente da darsi a queste zone libere è in generale quella radiale penetrante a cuneo verso la città. Essa permette, colla maggiore economia, la massima penetrazione verso l'interno ed una progressiva espansione superficiale man mano che si procede verso la periferia.

Fra i settori contigui di zone libere potranno in qualche punto utilmente stabilirsi dei collegamenti trasversali costituenti dei tratti di corona anulare intorno alla vecchia città interposti fra questa e taluni dei nuovi nuclei fabbricati suburbani.

Non crediamo però in generale praticamente possibile la creazione di una intera fascia anulare di protezione intorno al vecchio centro principale a completa separazione di questo dai nuclei suburbani a meno che la zona libera non si riduca ad un semplice nastro verde, quali ne esistono intorno alle mura di qualche nostra città (vedasi ad esempio il nuovo Piano Regolatore di Grosseto) ma per ragioni soprattutto decorative e non come elemento formativo dello sviluppo cittadino.

Ai nuovi criteri di espansione edilizia corrispondono pure nuovi criteri ordinativi delle vie e dei mezzi di trasporto.

Conseguenza dei vecchi Piani regolatori isotropi troppo vasti e troppo simmetrici è una rete stradale onerosissima quasi sempre inadeguatamente sfruttata dalla fabbricazione sporadica e disordinata. I bilanci comunali ne danno la esauriente documentazione.

Non è economicamente possibile procedere con questi criteri anche per le nuove estensioni dei piani ed occorre concentrare i mezzi pubblici e privati entro limiti molto più ristretti.

Non quindi ragnatele amorfe di strade indifferenziate ma una chiara previsione delle funzioni da attribuire a ciascuna arteria; regolandone il tracciato e la sezione alle caratteristiche della zona da servire, alla natura ed intensità del traffico, con una netta differenziazione da caso a caso.

Da una buona soluzione periferica dei problemi del traffico restano enormemente facilitate anche le difficili condizioni della città interna.

Delle tre funzioni tipiche di collegamento - radiale, anulare e trasversale - affidate alle grandi arterie, la prima merita particolare attenzione per evitare il ripetersi di inconvenienti che oggi riscontriamo in molte delle nostre città.

Le grandi vie di comunicazione regionale costituite dalle antiche strade provinciali o nazionali non rispondono affatto, almeno nei loro tronchi più prossimi alla città, alle necessità del traffico per la loro ristretta sezione, per la ingombrante presenza di linee tramviarie e perchè vincolate dalla fabbricazione che si è lasciata sorgere - in applicazione agli antichi Codici della strada - troppo prossima ai loro cigli. Cosicché quando si vollero creare più rapide comunicazioni automobilistiche fra i grandi centri si dovette anche per ciò rinunciare a valersi di queste arterie e si ricorse a nuove concezioni quali le Autostrade.

Fra i problemi più urgenti della sistemazione periferica della città è quindi lo studio delle vie di allacciamento colla Regione sussidiarie delle insufficienti strade provinciali e nazionali e studiate in modo da permettere, col frazionamento delle carreggiate secondo la natura e la rapidità dei veicoli e colla indipendenza delle sedi tramviarie, il più comodo accesso alla città di tutti i moderni mezzi di trasporto stradali o tramviari. Il collocamento di bande verdi e di alberate conferirà all'estetica di queste grandi arterie suburbane e la assegnazione di larghe zone private di rispetto ai lati della via sarà la valvola di sicurezza per possibili ampliamenti futuri.

E merita pure accenno la tendenza che sull'esempio delle Autostrade altri vorrebbe applicata anche alle strade suburbane, di una netta separazione delle arterie radiali di grande comunicazione regionale dalle radiali di collegamento locale fra il centro ed i suoi sobborghi o nelle unità satelliti suburbane. Le prime dovrebbero possibilmente disporsi entro i settori agricoli penetranti a cuneo nella città ed essere perciò completamente libere dalla fabbricazione lungo i loro cigli e da confluenze ed incagli di traffico locale. Le seconde invece raccoglierebbero appunto il traffico locale da e per la città delle zone fabbricate che le fiancheggiano od a cui fanno capo.

Ove non sia possibile addivenire a questo netto sdoppiamento di funzioni, la separazione delle carreggiate potrà sempre dare buoni risultati.

L'argomento delle grandi vie esterne radiali ci porta a considerare anche il problema dei mezzi di comunicazione che collegando il centro coi sobborghi e colla regione circostante interessano specialmente le zone periferiche urbane.

In generale le nostre città ebbero nel passato una spiccata tendenza ad escludere dal proprio centro le teste delle linee tramviarie di comunicazione col contado, nella preoccupazione che esse servissero a sottrarre alla popolazione stabile - e quindi contribuente - notevoli masse che dalla città godevano giornalmente i benefici, sottraendosi ogni giorno agli obblighi fiscali con periodico riflusso serale alle campagne.

Oggi invece il fenomeno viene considerato con tutt'altro spirito e con più chiara comprensione del poderoso aiuto che da una rete di facili comunicazioni extra urbane deriva dalla lotta contro l'urbanesimo.

L'autore ebbe occasione di dimostrare in un suo recente scritto [2] che ogni nuovo cittadino immigrato in Milano grava sull'economia generale per una spesa di «impianto» (occorrente per fornirgli in città l'alloggio ed i più elementari servizi annessi) di L. 18.000. Questa cifra richiama l'attenzione sulla convenienza economica, oltre che demografica e morale, di arginare con tutti i mezzi - e fra questi importantissimi i trasporti -la tendenza all'inurbamento.

Va quindi favorita a questo scopo la penetrazione delle linee foresi nell'interno della città. Ciò non deve voler dire però confusione di attribuzioni fra i diversi mezzi di trasporto urbano.

Una netta separazione va fatta fra linee urbane, linee suburbane e linee regionali e sarebbe, a nostro modesto avviso, un grave errore, ad esempio, la inserzione di linee esterne a lungo percorso sulla rete di una linea metropolitana sotterranea destinata all'intenso servizio della zona più centrale. Le differenze di caratteristiche, di prestazioni, di orari, di velocità dei diversi mezzi richiedono linee indipendenti.

I problemi edilizi di ordine puramente estetico costituiscono un elemento - per quanto di primaria importanza - troppo particolare e locale per trovare posto in una trattazione di carattere generale.

Riaffermata la inscindibilità dei rapporti fra edilizia e piano regolatore, più che ai particolari architettonici esecutivi giova soffermarsi ai grandi problemi distributivi dell'edilizia.

La indisciplina delle costruzioni è il difetto più grave dei nuovi quartieri a combattere il quale non giovano i Regolamenti edilizi. Rispettati i capisaldi stradali, i vincoli di massima altezza, ed un minimo di sopportabile decenza esteriore, il proprietario è libero di utilizzare il terreno come meglio crede. Da ciò le caotiche promiscuità di danno particolare e collettivo.

Il male era troppo evidente per non richiamare l'attenzione. Fin dal 1910 in uno studio per la città di Napoli il concetto della «specializzazione edilizia delle zone» fa la sua apparizione. Parziali applicazioni esso trova nei piani di Milano (1912) e di Roma, più coraggiose in quello di Fiume, di Trieste (1925) e di Napoli (1927). Esso appare infine unanimemente accettato in tutti gli studi per i Concorsi per piani di Milano e di Brescia (1926), di Grosseto (1927), di Foggia (1928), e del nuovo piano di Salsomaggiore (1928).

Occorre però che la applicazione pratica del principio sia fatta con grande discernimento e con opportuna limitazione della casistica.

La «specializzazione» può considerarsi da un doppio punto di vista e cioè secondo la destinazione e secondo la densità. I due criteri si intrecciano e si sovrappongono, ma mentre il secondo è suscettibile di una precisa regolamentazione, il primo non può che avere un carattere tendenziale.

Negli esempi più sopra citati il primo criterio ha trovato nei quartieri periferici la sua applicazione nella suddivisione in zone residenziali e zone industriali, il secondo nella suddivisione in zone a fabbricazione intensiva od a fabbricazione estensiva, nella quale suddivisione il graduale spontaneo decrescere della intensità di fabbricazione col procedere verso la periferia deve trovare la sua espressione.

Le esigenze della vita industriale hanno particolare incidenza sullo sviluppo dei quartieri periferici. Se vi sono industrie che tendono a lasciare definitivamente la città, altre non possono rinunciare al mercato della mano d'opera urbana e denotano solo una tendenza al decentramento locale, ad un ordinamento periferico ai margini della città valorizzati dai nuovi mezzi di trasporto. Il loro collocamento è vincolato alle condizioni di accessibilità per lo spostamento giornaliero delle masse operaie che per la loro instabilità non sono necessariamente residenti nelle adiacenze dell'officina.

La massima dislocazione delle zone industriali è quella dei capilinea dei mezzi di trasporto suburbani. Se buoni mezzi di trasporto mancano gli stabilimenti si collocheranno più vicini al centro soffocandolo, e ciò tanto più quanto maggiore è il temporaneo bisogno di maestranze.

Assegnata in tal modo la più conveniente dislocazione delle zone industriali, tenendo conto di tutti gli altri elementi influenti - stazioni, raccordi, vie d'acqua, ecc. - occorre per conseguire effettivamente un ordinato sviluppo delle città richiamare verso queste i nuovi impianti industriali. La molla di richiamo può trovarsi nel giuoco combinato di speciali agevolazioni nella applicazione dei regolamenti edilizi in relazione alle necessità dell'industria ed in una opportuna politica fiscale esclusivamente riservata alle zone prescelte.

Le questioni ora accennate ci richiamano all'argomento più generale dei mezzi legali ed economici coi quali si possono praticamente applicare le direttive illustrate per la sistemazione dei nuovi quartieri nei piani di ampliamento.

Dal punto di vista economico l'elemento più influente sullo sviluppo dei piani di ampliamento è il regime della proprietà fondiaria.

Disgraziatamente in Italia la proprietà dei terreni intorno alle città non è che in minima parte di pertinenza comunale. Le leggi fondamentali del 1865 e del 1896 non incoraggiano la creazione di un demanio fondiario comunale. Poche città hanno seguito una politica fondiaria attiva. Fa eccezione Milano che fin dal 1906 faceva larghi acquisti di aree nelle zone suburbane e che anche in seguito proseguiva colle stesse direttive. Ma siamo ad ogni modo ben lontani dalle fortunate situazioni di molte città dell'estero grandi proprietarie di terreni suburbani. Per le altre città italiane - Roma compresa - le condizioni sono ancor meno favorevoli.

La trattazione già fatta di questo argomento al precedente Congresso di Vienna ci esonera dal parlarne ora. Passiamo piuttosto a considerare gli aspetti legali del problema.

La necessità da tempo sentita di un aggiornamento del nostro diritto in relazione alle nuove necessità urbanistiche ha dato origine ad un poderoso studio di riforma della legge fondamentale del 1865. Il nuovo testo proposto, ma non ancora discusso dal Parlamento, pur contenendo utili disposizioni non assurge però ancora al valore di una vera e propria «Legge edile».

Sono tuttavia notevoli fra le nuove disposizioni, oltre alla obbligatorietà dei piani per tutti i Centri con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, la facoltà concessa ai Comuni di regolare la fabbricazione in genere anche nelle zone esterne al piano e la distanza delle costruzioni delle strade esterne vicine alle zone comprese nei piani e di addivenire, attraverso la fusione delle preesistenti piccole proprietà private, alla formazione dei cosiddetti «comparti» ossia di convenienti unità da fabbricarsi con speciali norme.

Gli scopi che la nuova legge si propone sarebbero però meglio assicurati se si rendesse assoluto il divieto di fabbricazione all'infuori dei limiti predisposti dal piano, dando al Comune o ad una superiore Autorità la facoltà di esercitare questo vincolo su una zona di convenienti dimensioni intorno alla città e superando le difficoltà che nascono dai limiti di competenza territoriale. L'istituto dei «comparti» dovrebbe pure trovare il suo logico complemento in quello della «rifusione dei confini» che permetterebbe di arrivare ad una migliore sistemazione edificatoria del terreno anche senza ricorrere alla integrale fusione di parecchie proprietà in un unico comparto che potrebbe costituire una unità edilizia troppo estesa ed economicamente conveniente.

Nello studio del piano per la città di Salsomaggiore (1928) che scrive ha voluto tentare una applicazione di questi concetti, domandando che essi fossero accolti nella legge speciale colla quale sarà approvato il piano. Se la domanda avrà favorevole accoglienza si avrà una anticipazione legislativa di principi che necessariamente devono presto o tardi trovare accoglienza nel nostro diritto pubblico.

Anche nella disciplina cronologica della esecuzione del piano sarebbe convincente dare ai Comuni qualche arma per diminuire i disturbi della saltuaria e caotica utilizzazione edilizia che i privati fanno delle loro aree, costringendo il Comune a seguire coi suoi servizi i capricci dell'edilizia senza compenso adeguato all'onere.

Merita pure di essere ricordato un difetto - per quanto mi consta comune a tutte le legislazioni: quello di non adeguare l'abito legale alla statura dell'organismo al quale si applica.

Le leggi in generale considerano l'entità astratta «Comune» senza distinguere se esso abbia poche migliaia od un milione di abitanti, se caratteristiche industriali od agricole ecc.

Ben diverse sono invece - particolarmente nei riguardi dei problemi di sviluppo che qui appunto esaminiamo - le condizioni, le necessità, le difficoltà da caso a caso e giustamente il Legislatore ne deve tener conto per rendere meglio aderente il diritto alla realtà e per foggiare nelle nuove leggi l'arma veramente utile alla disciplina dello sviluppo urbano.

Nota: in questa stessa cartella, sono disponibili altri testi dello stesso Autore, e più o meno contemporanei sullo stesso tema (f.b.)

[1] Il R.D. 7 Febbraio 1926 (art.32) ed il D.M. 27 Febbraio 1927 (art.1) per facilitare la formazione e lo sviluppo di borgate rurali nel Mezzogiorno assegnano una dotazione di L. 25.000.000, - da erogarsi in premi ai costruttori di nuove case in zone rurali distanti almeno 3 km. dal più vicino centro urbano.

[2] Cesare Chiodi, «Aspetti demografici ed economici del Piano Regolatore di Milano» - Giornale Il Politecnico - 1929 - Vallardi Editore.

PREMESSE

LA RICOSTRUZIONE, ANCHE DAL PUNTO DI VISTA URBANISTICO DEVE INCOMINCIARE DALLA CAMPAGNA

La ricostruzione, è da augurarsi, si volgerà innanzi tutto a restituire la casa a chi l’ha perduta, cominciando dalle classi meno abbienti. Ma sarà irrimediabile errore, urbanistico e sociale, se tale ricostruzione avrà inizio nella città, anche se colà la guerra ha portato le maggiori distruzioni e, rovine. Se nella città esistono individui che hanno perduto la casa, nelle campagne vi sono intere categorie che una casa vera e propria non l’hanno avuta mai, cioè non hanno mai goduto di un’istituzione civile di vita e di lavoro.

La metodologia del procedimento, nella ricostruzione, sarà quella di partire dalle r a di ci della città, che si diramano fino alle più lontane località rurali le quali arrivano vicendevolmente per notevole sviluppo urbanistico alla città: è la campagna che arriva alla città, non viceversa.

Partire con la ricostruzione dalla città si. rivela quindi un fenomeno antinaturale e rappresenta un assurdo, anche se il ritorno alla città o la corsa alla città è una forza in atto, travolgente ma folle che costituisce il maggior pericolo per la ricostruzione e la renderà senz’altro convulsa e caotica.

Facendo arrivare allo spasimo, al suo eccesso il ragionamento, si potrà asserire: costruiamo in maniera meravigliosa anzitutto le campagne e lasciamo per ora le rovine nella città; rallentandone il rifacimento, porteremo un contributo essenziale al disurbamento ed all’urbanistica.

Fino a che i paesi rurali saranno peggiori dei quartieri operai, e così le case, e le condizioni di vita del contadino peggiori di quelle dell’operaio, parlare di disurbamento o di antinurbamento sarà pura follia.

Il problema rurale quindi è urbanisticamente collegato a quello delle città e non li si può considerare indipendenti.

Ciò abbiamo premesso perchè ci serva di monito e guida nel redigere le pagine di questo volume che si rivolgono particolarmente all’avvenire e riguardano la trasformazione dell’edilizia come strumento organizzativo della futura riforma agraria.


cascina in terreni asciutti cascina in terreni irrigui

PER LA CASA DEL CONTADINO.

Ogni attività umana si concreta nell’edilizia che riflette le condizioni di vita dell’uomo e del suo lavoro e ne denuncia il grado di civiltà. Così l’attività rurale, la cui attrezzatura architettonica ed edile si presenta ancora poverissima.

Eppure essa deve considerarsi come fulcro della vita di una nazione, la cui forza sicura e perenne viene pur sempre dalla terra, poiché la terra non muore mai, non tradisce mai. La sua architettura, la sua edilizia sono dell’ordine naturale della vegetazione e si associano intimamente alla spontaneità del processo vegetativo, ripudiano (salvo casi eccezionali) ogni finzione costruttiva, ogni decorazione: tutto in esse è funzionale.

Questo termine, oggi di gran moda, che fa esaltare o rabbrividire i teorici dell’architettura urbana, è da secoli in uso praticamente nell’edilizia, nelle opere e nel lavoro delle campagne, e le sue realizzazioni esulano da qualsiasi senso retorico, del quale in contrapposto troviamo spesso inquinata l’architettura cittadina espressa in un’estetica che fa del funzionalismo soltanto un motivo decorativo, al pari del “floreale” o del “liberty”.

L’architettura rurale che i tempi ci hanno tramandata è nata funzionale perchè la natura imprime al carattere degli uomini che la servono una linearità ed una onestà che sono ben lontane dall’ esibizionismo pseudo-stilistico della città.

Solo, questa architettura, questa edilizia della terra, questa organizzazione dei campi è stata ed è lenta nel rinnovarsi, nell’adeguarsi ai tempi: essa ci è giunta quasi come è nata, cioè funzionale solo rispetto ai sistemi agricoli antichi, di modo che, esatta e definita per altri tempi, non lo è più rispetto alle attuali esigenze del lavoro dell’azienda e della vita del rurale.

La casa è il fulcro delle nostre osservazioni ed intendiamo col nostro studio giungere a risultati pratici e diretti che si colleghino ad un concetto assolutamente realistico, definito, indipendentemente da ogni altra considerazione, riluttante decisamente da ogni atteggiamento di carattere pietistico.

Le nostre osservazioni nella scala del 25.000 (regioni e zone agricole), nella scala del 2.000 (agglomerati rurali), sull’organizzazione cellulare (azienda rurale) che rappresentano i passi del nostro studio saranno sempre in funzione di una riforma del trattamento e delle condizioni di vita del lavoratore, del bracciante salariato in particolare, al fine di dimostrare che le case rurali non debbono sorgere per gesti di carità, ma per una modificata economia nelle spettanze del contadino. Al concetto di carità si sostituisca quello di una solidarietà civile che consideri il contadino su un piano partecipante al consorzio normale della società. Il contadino non deve essere escluso dai benefici del progresso elargiti agli altri lavoratori: egli è un lavoratore e dev’essere considerato e retribuito alla pari di tutti i lavoratori. Poiché è ovvio che sia proprio l’insufficiente retribuzione che non gli consente economicamente un miglior tenore di vita, una casa sufficiente, ci proporremo di indagare quale sia il fenomeno che ritarda oltre l’appagamento delle sue legittime esigenze, e la possibilità di pagarsi il giusto affitto di una casa, sul piano di quella che già è stata destinata - dagli Istituti delle Case Popolari - ai lavoratori delle città.

Allo stato attuale, la rendita dell’organizzazione agricola sembrerebbe non consentire ciò, quindi per ottenere una soluzione del problema non pietistica e transitoria, ma realistica, si dovrà arrivare ad una riforma agraria che si rifaccia a queste considerazioni:

A) potenziare la produzione ed i redditi agricoli con sistemi di coltura razionale ed intensiva attraverso: un equo frazionamento delle proprietà e delle affittanze, un’efficiente meccanizzazione, un più esteso uso del silos per la conservazione del foraggio (specialmente nelle medie e piccole aziende), la regolazione e l’utilizzazione delle acque vecchie e nuove, un sistema di piantagione razionale degli alberi d’alto fusto, e infine l’adeguamento delle colture in base agli scambi internazionali intensificando le produzioni a carattere pregiato.

B) Adottare per ogni zona agricola sistemi di conduzione coerenti con la natura del terreno, con preferenza per le forme imperniate sull’affittanza a diretti lavoratori, sulla mezzadria, sulla compartecipazione, sul sistema delle cooperative e, dove ciò non sia possibile, sulla grande azienda (proprietario od affittuario non diretto lavoratore), dove però il contadino salariato abbia un trattamento pari a quello dell’operaio e la sua abitazione venga finalmente disimpegnata dall’ambito dell’azienda. (il contadino salariato deve vivere in una casa sufficiente, a lui destinata, situata in un paese, in un consorzio collettivo di vita civile: non sperso nella campagna e relegato in un cascinale).

C) Diminuire i prezzi delle costruzioni attraverso una progettistica evoluta della casa rurale, dell’azienda rurale, derivata da ben definite concezioni sociali e tecniche, dallo studio delle condizioni biologiche nella composizione attuale e futura della famiglia rurale.

D) Instaurare un’economia particolare delle case rurali autonoma rispetto al resto dell’azienda.

Può essere difficile stabilire fin d’ora quale sarà il rivoluzionamento delle colture e della produzione in vista di una riforma agraria. Essa dipenderà da condizioni post-belliche, le quali imporranno quell’indirizzo naturale che la contingenza detterà, per la tutela e la salvaguardia degli interessi nazionali in funzione internazionale. Tuttavia però, a priori, valutando la potenzialità produttiva delle diverse nazioni, si potrà intuire, come prima ed approssimata conclusione, che la ricchezza della nostra agricoltura avvenire non sarà legata al predominio delle nostre colture cerealicole, ma risulterà dal suo graduale adattamento a colture nuove per prodotti pregiati (frutta, vite, ecc.) e dall’intensificazione delle colture foraggere per una produzione prevalente di latticini e di carne da macello. Allo scopo occorrerà aumentare l’entità geometrica coltivata, ma occorrerà innanzitutto: primo, instaurare un sistema razionale per la preservazione e la conservazione dei foraggi; secondo, difendere e selezionare gli allevamenti attraverso igienici sistemi di stabulazione; terzo, far dipendere da un perfetto sistema organizzativo il processo produttivo.


cascinali in terreni a risaie paese a funzione solo agricola

I nostri propositi di potenziare le campagne collimano con i concetti fondamentali di conservare, attraverso al maggior utile che ne deriva (e che dovrà spettare al rurale), gli uomini alla terra.

La persistente emigrazione interna, il passaggio cioè di uomini dall’agricoltura all’industria è dovuto alle cattive condizioni di vita del rurale. Attualmente perfino le zone rurali più ricche sono soggette ad esodi considerevoli. In una provincia ruralmente ricchissima come quella di Cremona, la differenza tra emigrati ed immigrati fu per qualche anno di tremila persone, nonostante che quivi il reddito agricolo superi quello industriale, e l’incremento della produzione agricola, per i provvedimenti tecnici intervenuti, sia stato negli stessi anni ingentissimo: per il frumento di 160.000 Ql. (da 670.000 a 830.000), per il granoturco nostrano di 161.000 Ql. (da 1.021.000 a 1.182.000), per quello quarantino di 14.000 (da 37.000 a 51.480), per le barbabietole da zucchero addirittura di 275.000 Ql. (da 90.000 a 365.000), per il prato agricolo di 1 milione di Ql. (da 5.890.000 a 6.809.000). (Confronti tra la produzione del 1913 e quella del 1930).

La causa è quindi solo parzialmente da ricercarsi nell’insufficienza della campagna e nella sua scarsa capacità produttiva, e ciò si comprende se si riflette che con i sistemi salariali in vigore il guadagno del contadino salariato è quasi indipendente dal tenore produttivo della terra. Eccettuata la compartecipazione del granoturco e l’allevamento del baco da seta, il salario per patto colonico è valutato in quantità fisse, indipendentemente dal buono o cattivo raccolto: l’efficienza produttiva non gioca nell’interesse del salariato. Se si vuole che il contadino salariato (che è quello che generalmente emigra) rimanga legato alla terra, occorrerà che buona parte delle risorse economiche, attualmente fuorviate in favore di categorie che alla terra danno solo il nome sui registri della proprietà, venga riconosciuta di sua spettanza ed a lui rimessa; occorrerà farlo partecipare direttamente, in una qualsiasi maniera, ai benefici dell’incremento produttivo, cioè metterlo in condizione che al miglioramento produttivo agricolo, che può ancora verificarsi, corrisponda un miglioramento del suo tenore di vita. Ciò posto ed a questo scopo, in zone dove non si è ancora raggiunta la massima produttività, questa deve essere appunto potenziata e dove (pochi casi) l’efficienza massima è stata raggiunta, essa deve essere assolutamente conservata.

Ancora, la causa dell’emigrazione del rurale va ricercata nelle maggiori possibilità che gli offre la città di impiegare i membri della sua famiglia in industrie: in proposito si deve considerare che se in territori come quelli agricoli della Valle Padana non ci si deve augurare l’intensificarsi travolgente delle attività industriali (che sono da lasciare di preferenza a zone meno dotate in campo agricolo: zone asciutte od ingrate) la giusta ubicazione di qualche industria (specialmente industrie attinenti alla produzione agricola) non svilirebbe l’organismo o la purezza agricola della zona, ma contribuirebbe anzi alla agognata equiparazione della classe rurale con le altre classi lavoratrici.

Evidentemente, a ciò si potrà arrivare solo attraverso l’organizzazione di un piano generale rurale-industriale, che ponga come presupposto l’appagamento delle necessità vitali del lavoratore agricolo e specialmente del salariato, il quale non pensi oltre a disertare per i miraggi più proficui del lavoro industriale della città, e venga legato a questa benedetta terra ed alla campagna non solo dall’amore, ma dal benessere materiale che sarà reso possibile da una sua nuova organizzazione.

Il concetto di bonifica della terra, nella sua semplice espressione di aumentare geometricamente gli ettari coltivabili di una nazione è stato immediatamente capito. Quello della bonifica della vita e della casa del contadino trova la più forte noncuranza, specialmente da parte di quei proprietari (conduttori o non), di quei conduttori non lavoratori che sono numerosi specialmente dove le terre offrono pingui prodotti e disertano dove le terre sono ingrate. In altre parole, esiste la grande azienda con proprietario, fittabile, e salariato dove le terre sono buone: esiste la mezzadria e tutte le forme comportanti i diretti lavoratori dove le terre rendono poco (sono sabbiose, asciutte, acquitrinose, ecc.).

In generale è la mancanza di un capitale, talvolta di un piccolo capitale privato che obbliga e soffoca le forze del lavoro, che le tiene relegate nel loro miserando stato.

Eppure questa categoria di forti lavoratori sana e tenace potrebbe con una migliore educazione dirigersi da sé, senza che si pongano altre inframittenze tra essa e la terra (attualmente due e talvolta tre).

Gente capace di silenziosi e lunghi sacrifici, gente modesta ed onesta in generale, di fondamento morale, religioso, aliena da deviazioni e pervertimenti, questa gente è costretta alla servitù del lavoro obbligato per mancanza di un capitale.

Solo l’intervento legislativo dello Stato, coordinante la situazione sociale di tutte le categorie che producono, può essere risolutivo al riguardo. È lo Stato che deve attendere alla razionalizzazione delle attività in modo che il tornaconto dell’individuo confluisca nel benessere della comunità.

La casa è lo specchio delle condizioni sociali di chi la abita.

Il primo passo per migliorare le condizioni di vita del contadino è la bonifica della sua casa, cioè dargli i mezzi per averla e per conservarla. Occorre però vedere innanzitutto come essa deve essere costituita e costruita.

La casa dell’operaio gode oramai di una sua progettistica nazionale ed internazionale, ed in questo settore si conoscono indiscussi ed esaurienti studi tecnici ed economici.

Cosa si può contrapporre nel campo rurale ? Qualcosa di imponente e di vasta mole è stato promosso per l’abitazione e l’azienda delle bonifiche (Agro Pontino, Volturno, ecc.). Ma noi non intendiamo qui occuparci delle abitazioni di bonifica rurale, ma della bonifica delle abitazioni rurali, che concerne una massa enorme di abitazioni esistenti, interessa una parte preminente della popolazione, per cui la casa è rimasta allo stato primordiale, il che comporta un sistema organizzativo altrettanto primordiale.

L’edilizia attuale, come stato di consistenza e come sviluppo, è diretta discendente dall’antica. Ha raggiunto nelle varie regioni una particolare fisionomia che si collega agli usi di lavoro, ai tipi di coltivazione, ai sistemi di conduzione. Essa si è fissata nel tempo su caratteristiche edili ed organizzative che hanno valori propri, pratici e concretissimi, ma in tema di civiltà e di sviluppi tecnici e sociali da troppo tempo non ha fatto progressi, specialmente in paragone alle costruzioni ed all’organizzazione delle industrie ed alla tecnica costruttiva in generale.

La casa rurale in particolare è un settore di edilizia ancora estraneo ai progressi tecnici e non è adeguata all’andamento produttivo dell’azienda agricola attuale, neanche nella misura nella quale si sono adeguate, in molti casi, le stalle, le attrezzature meccaniche e gli edifici che riguardano direttamente il lavoro. Tutto è fermo, in contrasto stridente con un costume sociale che è in continuo sviluppo e che agisce sullo spirito del contadino.

L’organizzazione famigliare rurale nella sua forma biologica e sociologica ha subito sensibilissime modificazioni. Come considerazione dei sistemi lavorativi in uso: anche se praticamente si allaccia all’ordine antico delle grandi categorie inerenti ai fondamentali tipi di conduzione,

(lavorazione della terra a colonia con organizzazione famigliare delle parentele: la famiglia rappresenta un’unità produttiva completa e chiusa. in seno allo Stato,

lavorazione della terra con l’ausilio di mano d’opera bracciante salariata: l’individuo posto come “unità lavorativa”, indipendente dalla famiglia, rappresenta l’organo sociale),

si tende all’ordine sociale moderno del lavoro libero

(lavorazione della terra in comunità: il gruppo di lavoratori rurali che si erigono ad impresa cooperativa ne rappresentano l’organo sociale,

lavorazione della terra attraverso lo Stato).

Come riflesso spirituale derivante da modificati usi nei rapporti intimi della famiglia:

A) Come riflesso dell’emancipazione e della libertà della donna di città, la donna di campagna si è liberata dalla acuta soggezione all’autorità del padre prima, del marito poi. (il “voi” dalla moglie al marito è quasi scomparso, e così dai figli verso i genitori).

B) Per maggior educazione e cultura nella scuola e nella vita: attraverso la radio, il giornale, i rapporti più frequenti con i centri urbani, il contadino viene gradatamente liberandosi dal concetto tradizionale di lavoro “obbligato”. Egli si ribella all’ingerenza del conduttore nei suoi interessi famigliari, orienta la sua visione politica verso quelle forme di conduzione che pongono come premessa il lavoro della terra in proprio e momentaneamente (intanto che non può arrivare a questo) si orienta verso le forme di conduzione più progressiste. Inoltre procede con un senso nuovo e più libero nell’indirizzare l’attività dei vari componenti la famiglia verso le forme lavorative dell’artigianato e dell’industria. A questo modificato senso si oppone il conduttore, il quale ancor oggi considera come sostanziale privilegio della sua casta il diritto di libertà di cultura e di padronanza, mentre vorrebbe un contadino sottomesso ed allevato solo al senso del lavoro “obbligato”.

C) Per apporto del progresso, attraverso ai mezzi di comunicazione e di trasporto che offrono la possibilità, specialmente ai giovani durante il periodo del servizio militare, di conoscere nuovi mondi e nuovi metodi e li istruisce a nuove invenzioni, a più decenti sistemi igienici.

In questo stato di parziale dualismo contrastante di condizioni materiali (in maggioranza ferme) e spirituali (in progresso) è logico che i migliori, i più audaci sognino di abbandonare il tetto antico per l’appagamento delle loro “migliorate” esigenze in luoghi più rispondenti al loro spirito (città).

I limitati redditi agricoli di certi periodi sembrerebbero essere l’ostacolo maggiore ed il motivo che tiene legato il rurale salariato alla sua miserevole condizione. La terra però ha anche dimostrato che può rendere tanto da permettere a molti conduttori di fondi non diretti lavoratori di diventare essi stessi nel giro di poche generazioni i proprietari dei fondi da loro coltivati ed anche di altri.

A ciò non ha corrisposto generalmente, salvo casi estremamente meritori, un adeguato miglioramento delle condizioni civili di lavoro e di vita dei contadini, ciò per carattere specifico di un’economia privata imperniata sul tornaconto dell’individuo come l’attuale in uso: anzi le costruzioni. che si rinnovano sono limitatissime ed il privilegio del miglioramento avviene solo in quei settori che imprimono al fondo un aumento del reddito dominicale. I fabbricati che si migliorano così sono sempre le stalle, i silos, le case dei conduttori: mai o ultime le case rurali.

Questo stato di fatto viene giustificato con motivi di pregiudizio (i quali non possono essere considerati con serietà) : che il contadino se la gode, che sta fin troppo bene, che è un errore dotare la sua casa di certe comodità, che concedendogliele si creano degli spostati, che chi ha dotato la casa del contadino col bagno l’ha visto poi riempito di terra e seminato di patate, che chi ha rivestito le pareti della casa rurale di piastrelle in ceramica (che in città si usano per i gabinetti di decenza) le ha viste rompere dal contadino che aveva necessità di piantare un chiodo, che il contadino non apprezza, che il contadino non merita. Oggi i veri spostati sono, è vero, i contadini, ma solamente a causa delle loro pessime condizioni che non permettono loro di partecipare attivamente agli sviluppi del clima sociale e civile del mondo moderno. (Si è ben riusciti a superare per le abitazioni operaie questi pregiudizi che pure in un primo tempo avevano, anche in questo settore, frenato le iniziative).

È ovvio che alle condizioni attuali di li ber t à in ti ma dai vincoli medievali dovrà implicitamente corrispondere per i salariati, in un futuro non lontano, una libertà vissuta e riconosciuta. Quali saranno allora le condizioni di abitabilità, le condizioni per una nuova progettistica? Le case rurali anche recenti (ed additate dalle competenti istituzioni quali modelli da imitare) non rispondono allo scopo perchè, ripetendo gli schemi antichi, attribuiscono ad ogni famiglia un alloggio nell’ambito della cascina composto di una cucina e una o due stanze da letto e con gabinetti distanti dall’abitazione.

Il programma funzionale-costruttivo della casa rurale dovrà essere all’opposto dedotto (e non improvvisato) come fabbisogno vitale riferito alle esigenze della vita e del lavoro: fabbisogno concepito per l’interno (casa vera e propria), per “l’intorno” della casa (cortile, giardino, orto, rustici), per l’esterno (paese): elementi che integrano il valore dell’abitazione stessa.

Il paese rurale com’è attualmente (piccolissimo), il cascinale sparso per la campagna contribuiscono ad aggravare la miserevole consistenza della casa, peggiorando sopratutto lo stato educativo, igienico, sanitario degli abitanti.

Come primo fondamento, il caso rurale, quindi, come del resto quello urbano, ha da risolvere il problema della densità costruttiva, o il rapporto tra le parti costruite in relazione agli spazi liberi espressi nei loro valori planimetrici e volumetrici.

Il programma economico-costruttivo del problema rurale in generale non può uniformarsi all’attuale, specialmente per ciò che riguarda la casa rurale, il cui valore risulta conglobato col valore del fondo (il sistema non è redditizio né per l’azienda né per il rurale), ma prenderà una fisionomia di economia a sé, staccata dal resto dell’azienda.

I guadagni del contadino salariato sono quelli di spettanza (se ne vedrà la consistenza in altra parte) e sarebbe assurdo pensare ad un salariato che migliori da sé la propria abitazione e le proprie condizioni di vita.

Egli ha appena il sufficiente per esistere (vedi in proposito in altra parte del volume gli studi di medici che, attraverso le loro esperienze, tendono a dimostrare ancor oggi se il rurale si nutre sufficientemente in relazione al lavoro che compie). Ciò fa cadere qualsiasi presupposto che faccia colpa ad una sua presunta pigrizia, incapacità amministrativa o rassegnazione. Si è dimostrato che quando emigra esprime un atto di reazione contro la sua condizione.

Vogliamo pertanto promuovere (ed è quanto ci sforziamo di raggiungere) con questo volume che riguarda le regioni dell’alta Italia una progettistica approfondita nell’architettura rurale eliminando da essa i dilettanti, gli estetizzanti e coloro che operano sui canoni del passato; determinare e diffondere, regione per regione, zona per zona le norme costruttive per le case, per ogni edificio agricolo; inquadrare ogni cosa in piani generali e particolari: delle aziende, dell’agglomerato rurale riferito e collegato alla città, ai capoluoghi. In conclusione occorre razionalizzare l’attrezzatura edilizia e planimetrica dell’agricoltura; sacrificando dove necessita l’esistente, che quasi sempre si presenta irrazionale e vecchio. Una competenza progettistica deve instaurarsi nelle campagne in luogo dell’attuale competenza tradizionale per l’organizzazione e la razionale distribuzione degli edifici in agglomerati che siano in relazione all’agricoltura, alle abitazioni, alle aziende, ai luoghi di riunione, alla scuola, alla biblioteca, allo sport, ai divertimenti.

Dal momento che l’architettura rurale nel passato non ha rivestito le forme classiche dell’architettura degli stili e del “gusto”, ci potrà essere mossa l’obbiezione se questi esami rientrano nell’ambito dell’architettura e nelle mansioni dell’architetto.

Essi rientrano nell’ambito dell’architettura: 1°) come riflesso politico moderno (liberazione da deprecati sistemi in uso che legano il contadino in uno stato antistorico); 2°) per diritto di azione, rappresentando l’architettura rurale il simbolo dell’architettura organica (essa opera in stretto contatto con la natura e come la natura nasce e vive naturalmente in concomitanza con un organismo sociale rurale che imprime all’ambiente le condizioni utili per un’architettura antidecorativa).

Quindi architettura purissima perchè delle classi povere (non architettura povera) e il benessere che potrà ricavare l’umanità dall’apporto dell’architetto in questo campo sarà infinitamente più grande di quello che egli potrà recare operando per le case dei ricchi. Sarà architettura purissima perchè riflette stadi della vita dell’uomo (considerato il rurale un uomo qualunque) e condizioni sociali che si risolvono in edifici, in agglomerati di edifici organizzati.

Questi edifici stanno all’agricoltura come gli edifici cittadini stanno all’urbanistica. Ecco perchè di questi problemi generali e sociali ci siamo interessati e ci interessiamo appassionatamente. Ed a paragone dell’urbanistica che le è sorella ci è piaciuto foggiare una denominazione affine: RURALISTICA.

La ruralistica quindi deve suscitare il rinnovamento di questa organizzazione edilizia delle campagne pur mantenendosi nei limiti di sua pertinenza perchè, dobbiamo precisare, la ruralistica non rappresenta la disciplina o la tecnica delle colture e della coltivazione, né la tecnica agraria, ma, sul piano analogo col quale l’urbanistica opera per le industrie, deve attendere all’organizzazione edile di tutte le opere in funzione delle colture è quindi del rendimento della terra, in funzione della vita e dello stato sociale di chi, lavorando, la bagna di sudore.

Se la presenza di grandi zone verdi nell’interno della città di Padova ha permesso a questa di accrescersi comodamente sino ad un decennio fa senza aver bisogno di espandersi eccessivamente fuori dalla cinta daziaria, oggi tuttavia la città tende ad invadere il contado spingendosi spontaneamente nella campagna verso Nord-Est e Sud-Est.

Difatti sono queste le due direzioni più favorevoli allo sviluppo soprattutto oggi, per una città che è chiusa a Ovest e a Nord da una quasi insormontabile cinta ferroviaria lungo la quale sono allineati per di più il campo d’aviazione, il Tiro a segno, il Manicomio Provinciale, il Cimitero israelitico, l’Ospedale d’isolamento ed il Cimitero monumentale; impianti questi che costituiscono un impedimento od una ragione negativa allo sviluppo della città in direzione Ovest.

Verso Est invece, cioè verso Venezia, la città ha tutta una magnifica zona libera che ha come direttrici principali la strada provinciale di Venezia, quella di Piove di Sacco e quella di Bovolenta.

Ed è appunto nella direzione di queste strade che la città si è sviluppata nei secoli spostando anche successivamente il proprio centro da Ovest a Est e recentemente, con la creazione della stazione ferroviaria, verso Nord.


In questi successivi spostamenti del centro, da Piazza del Duomo a Piazza Erbe, da questa all’Università, e da questa all’odierna Piazza Garibaldi, una larga zona del quartiere di S. Lucia, è venuta a trovarsi con le sue case caratteristiche ma in parte malsane e con le sue viuzze tortuose proprio accanto al nuovo centro città, ad ovest di Piazza Garibaldi: di qui l’idea di valorizzare e sfruttare le aree centrali di questo vecchio quartiere, demolendolo completamente per trasportarvi un nuovo centro più moderno, idea sulla quale si basa il piano regolatore attualmente in vigore. Il quale piano prevede anche la creazione di una grande piazza al posto dell’attuale Ghetto che verrebbe pure demolito.

Moltissimi e gravissimi sono i difetti di un tale piano e qui si accenna solo a quelli di carattere generale:


a) Spostamento del centro verso Ovest cioè nella direzione opposta a quella verso la quale il centro si è spostato nei secoli e opposta alla direzione dello sviluppo moderno della città, con evidente danno generale dell’organismo di questa.

b) Distruzione inutile e stupida di due caratteristici quartieri della città con la pretesa del risanamento mentre questo necessario scopo si sarebbe dovuto raggiungere non con lo sventramento ma col metodo del diradamento edilizio, obbedendo solo a necessità igieniche e di viabilità, dove queste veramente sussistono.

c) La zona monumentale delle Piazze Erbe, Frutti e Signori verrebbe a trovarsi chiusa fra due centri moderni, per collegare i quali sarà necessario aprire nuove strade distruggendo l’ambiente artistico e storico senza vantaggi pratici.

d) Ridicola e malinconica l’idea di una piazza del mercato al posto del Ghetto con stazione tramviaria delle linee dei colli: i mercati si fanno più modernamente e le tramvie devono essere collegate con le stazioni principali.

e) Difficoltà assoluta di manovra per le comunicazioni in queste condizioni e nessun collegamento con i quartieri periferici ad Est della città.

f) Sperpero inutile di denaro.

Oltre a questo piano dei quartieri centrali esiste un piano di ampliamento.

Di questo è inutile parlare; basta dire che non è altro che una scacchiera malamente tracciata; che lascia la zona industriale dove è oggi, cioè tra la stazione ed il centro; che chiude lo sviluppo di questa zona con un quartiere popolare a Est della città; che non prevede né parchi, né campi sportivi, né piazze degne di tal nome, né scuole, né quartieri ... solo un lottizzazione e nulla più.

Il Gruppo degli Urbanisti non ha preteso risolvere tutti i problemi ma solo indicare la strada da seguire per la loro soluzione.

Premesso che il perfetto collegamento del piano di ampliamento con quello regolatore interno è la prima condizione necessaria perchè un piano possa aver spontanea applicazione pratica, il Gruppo degli Urbanisti si è posto i seguenti obbiettivi:


1. Congiungimento delle strade di Vicenza e dei colli con il centro e la stazione.

2. Congiungimento delle strade di Venezia e di Piove con il centro e la stazione.

3. Congiungimento del quartiere di Vanzo e della strada di Bovolenta con il centro e con la stazione.

4. Trasporto e sviluppo della zona industriale, quindi utilizzazione edilizia dell’area centrale occupata attualmente dalla zona industriale.

5. Creazione e collegamento tra loro, di nuovi veri quartieri periferici.

6. Creazione di un nuovo centro grandioso, in luogo adatto, e risanamento dei quartieri antichi in questione.

Per realizzare il punto 1 cioè il congiungimento con la stazione delle strade dei colli e di Vicenza, si è tratto profitto del vialone di Porta Codalunga (larg.m.60) proseguendolo oltre Piazza Mazzini attraverso il vecchio quartiere di via Savonarola fino all’incrocio di questa con la Riviera S. Benedetto, e da qui, attraverso le grandi zone libere delle caserme, oltre le mura, fino alla periferia dove si congiunge con l’attuale strada dei colli.

Vantaggi: pochissime demolizioni, risanamento del quartiere Savonarola, sfollamento e abbandono di traffico delle vecchie e inadatte via San Giovanni, via Vescovado, Porta San Giovanni. Le tramvie anziché ingombrare Piazza del Duomo o una futura piazza del mercato, sono logicamente incanalate alla stazione.

Da via Savonarola una nuova arteria, oltrepassando il canale, traversa via San Pietro, passa attraverso giardini, senza demolizioni, taglia via R. da Piazzola, via Dante, il quartiere S.Lucia e finisce a Piazza Garibaldi.


Per realizzare il punto 2, cioè congiungimento delle strade di Venezia e di Piove con la stazione e il centro, si è tratto profitto del grande viale Falloppio (larg.m.50) proseguendo questo, da una parte fino alla stazione, oltre il fiume, creando così una grande arteria quasi simmetrica al Viale Codalunga; dall’altra parte fuori delle mura a Sud-Est fino ad incontrare al di là di queste il centro di un grande quartiere periferico di espansione e la strada provinciale Piove di Sacco.

La strada di Venezia che arriva già attualmente al viale Falloppio lungo via G. B. Belzoni, verrebbe portata al centro attraverso una nuova arteria cittadina parallela alla vecchia via Altinate, passante per giardini quasi senza demolizioni fino a Piazza Garibaldi. Questa arteria porterebbe al centro anche il traffico dei Quartieri universitari e della Fiera Campionaria.

Vantaggi: sfollamento di Porta Pontecorvo e quartiere San Francesco, via Altinate, via Zabarella; utilizzazione edilizia dell’attuale zona industriale; creazione di una grandiosa arteria di espansione dalla stazione e dal centro verso Sud-Est; quasi nessuna demolizione.

Quanto al punto 3, il quartiere di Vanzo dovrebbe arrivare al centro lungo la riviera XX Settembre, via Roma, Canton del Gallo.

Via Roma dovrebbe essere porticata nel lato Est per guadagnare la larghezza del marciapiede. Vantaggi: nessun sventramento o demolizione.

La città verrebbe così un sistema di grandi arterie direttrici: una mediana Nord-Sud (Corso del Popolo) che condurrebbe dalla stazione al centro e alla città antica; una laterale Nord, Sud-Ovest dalla stazione ai colli; una laterale Nord, Sud-Est dalla stazione alla parte nuova della città.

Una trasversale da Ovest a Est congiungerebbe queste tre direttrici.

Quanto al centro, questo non è concepito come una piazza, ma, molto più modernamente, come un sistema di strade e piazze; sulle sue arterie di traffico avrebbero modo di sorgere grandi palazzi, negozi, ecc., e le piazze potrebbero nobilitarsi di edifizi pubblici dei quali la città ha bisogno. Il quartiere del Ghetto dovrebbe essere lasciato nel suo carattere, solo diradato con qualche demolizione delle case più infelici, aereato con la creazione di larghi e piazzette, reso più vivace con ritocchi edilizi: risanato insomma.


Le moderne regole vogliono che 1/2 circa dell’area totale della città venga riservato a zone verdi (prati, campi sportivi, giardini ecc.), congiunte in sistema con viali alberati. Padova consente facilmente di ottemperare a questa necessità: un parco situato fuori Porta Venezia, prima della zona industriale, presso le curve pittoresche dei canali, potrebbe essere congiunto, lungo tutta la periferia delle vecchie mura, con altri giardini e con il grande campo polisportivo a Sud-Ovest (attuale Tiro a segno, Canottieri, Soc. nuoto ecc.).

Ogni quartiere periferico (Bassanello, strada Bovolenta, Quartiere Liviano, quartiere operaio presso le industrie, Arcella, quartiere Euganeo) dovrebbe essere provveduto di scuole con ampi campi sportivi e di giuoco.

Tutti questi quartieri dovrebbero poi essere congiunti tra di loro con arterie periferiche, mentre un grande anello finale di circonvallazione chiude tutta la città separandola anche dalla zona industriale.

Padova ha bisogno di un mercato generale: è stato collocato a Nord-Est presso la ferrovia. Di lì si irradia una rete stradale che servirà a portare le derrate in tutti i quartieri centrali e periferici, dotati ciascuno di un mercato locale.

Occorre inoltre un moderno nuovo ospedale: è stato collocato presso l’attuale, ma fuori delle mura, vicino al Parco, in facile comunicazione con le cliniche universitarie.

Quanto alla futura rete tranviaria dieci linee principali, di cui cinque trasversali e cinque anulari, saranno sufficienti a servire a tutto il movimento della città portando le prime dalla periferia al centro, le seconde congiungendo tra di loro i centri periferici.

Quando si presenta il problema della trasformazione e dell’ampliamento di una antica città, si delinea generalmente una corrente di opinioni, comune e volgare, la quale insiste perchè vengano demolite e ricostruite le vecchie zone centrali ormai insufficienti, sovrapponendo quindi un nuovo centro ad uno antico; convinta che questo voglia dire rinnovare, svecchiare, sicura di rappresentare la tendenza giovanile e più libera non si accorge invece di rappresentare il più arretrato conservatorismo.

I sostenitori di questo ordine di idee partono dal presupposto antistorico che il centro di una città è sempre stato e sempre sarà immobile pressappoco nello stesso punto e che allontanarsene sia per lo meno impossibile. Essi concepiscono l’ingrandimento di una città come l’allargarsi concentrico di una macchia d’olio; in cui tutta la periferia deve riferirsi al centro e su questo gravare: concezione ormai medioevale che i mezzi di locomozione, il genere della vita di oggi e la rapidità degli sviluppi edilizi hanno ormai superato nella pratica.

Il centro di una città si è sempre spostato inevitabilmente verso i nuovi centri di attrazione, ed un ritorno al passato non si pu• fare senza la distruzione completa delle bellezze artistiche, il soffocamento delle fonti degli sviluppi ulteriori, l’impedimento del traffico.

Bologna, Milano, Firenze ... hanno già distrutto in parte l’ambiente delle bellezze artistiche del loro passato appunto per non aver saputo vedere con ampiezza e modernità di linee (né dati i tempi avrebbero potuto farlo) quali erano le direzioni e le forze che consentivano la creazione di nuovi centri veramente moderni, accanto agli antichi centri storici; i quali alla loro volta, risanati con modestia e buon senso, sarebbero rimasti preziose cittadelle del nostro patrimonio monumentale che purtroppo, per la inesperienza degli uomini, riceve ogni giorno inutili e dolorose mutilazioni.

Padova fino ad oggi aveva salvato la propria ricchezza: l’attuale piano regolatore in vigore, se sarà attuato, la distruggerà, senza in compenso dare alla città il largo respiro, il ritmo e la quadratura di una città moderna.

È per impedire questo che il Gruppo degli Urbanisti ha voluto recare il proprio modesto contributo di studio e di esperienza con la speranza che l’opera non sia tutta perduta e con la profonda convinzione che, se non si presterà maggiore attenzione in Italia ai problemi dell’urbanesimo, la pienezza della vita delle nostre città, il loro patrimonio artistico e le esigenze del traffico, saranno compromessi dalla imprevidenza degli uomini.

Il Gruppo degli Urbanisti Romani

E. Faludi, E. Fuselli, R. Lavagnino, L. Lenzi, G. Minnucci, L. Piccinato (Relatore), C.Valle.

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Luna di bambù,

mentre carezza il suolo

della prima neve.

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Come in un sogno,

vorrei tenere in mano

la farfalla

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Ho fatto del mio braccio un cuscino,

e amo il mio corpo,

nel vago chiarore lunare.

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L’orchidea, di notte

nasconde nel profumo

lo splendore del fiore.

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Con i sandali

nelle mani felice

guado il fiume.

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Quale freschezza,

il rintocco lasciato

dalla campana.

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Si oscura la montagna,

e ruba il rosso

alle foglie dell'autunno

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Anatre color mandarino

estinguono ogni bellezza:

bosco invernale.

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Fiori di narciso:

una bella donna

ha mal di testa.

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Mentre taglia le risaie

il sole autunnale

splende sull’erba

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Piogge di prima estate:

nel mare azzurro si getta

l'acqua fangosa

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Sugli iris

lento planare

di un nibbio

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Che cosa sono gli Haiku

Come sei bella, amica mia, come sei bella!

Gli occhi tuoi sono colombe,

dietro il tuo velo.

Le tue chiome sono un gregge di capre,

che scendono dalle pendici del Gàlaad.

I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,

che risalgono dal bagno;

tutte procedono appaiate,

e nessuna è senza compagna.

Come un nastro di porpora le tue labbra

e la tua bocca è soffusa di grazia;

come spicchio di melagrana la tua gota

attraverso il tuo velo.

Come la torre di Davide il tuo collo,

costruita a guisa di fortezza.

Mille scudi vi sono appesi,

tutte armature di prodi.

I tuoi seni sono come due cerbiatti,

gemelli di una gazzella,

che pascolano fra i gigli.

Prima che spiri la brezza del giorno

e si allunghino le ombre,

me ne andrò al monte della mirra

e alla collina dell’incenso

.Tutta bella tu sei, amica mia,

in te nessuna macchia.

Vieni con me dal Libano, o sposa,

con me dal Libano, vieni!

Osserva dalla cima dell’Amana,

dalla cima del Senìr e dell’Ermon,

dalle tane dei leoni,

dai monti dei leopardi.

Tu mi hai rapito il cuore,

sorella mia, sposa,

tu mi hai rapito il cuore

con un solo tuo sguardo,

con una perla sola della tua collana!

Quanto sono soavi le tue carezze,

sorella mia, sposa,

quanto più deliziose del vino le tue carezze.

L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.

Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,

c’è miele e latte sotto la tua lingua

e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano.

Giardino chiuso tu sei,

sorella mia, sposa,

giardino chiuso, fontana sigillata.

I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,

con i frutti più squisiti,

alberi di cipro con nardo,

nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo

con ogni specie d’alberi da incenso;

mirra e aloe

con tutti i migliori aromi.

Fontana che irrora i giardini,

pozzo d’acque vive

e ruscelli sgorganti dal Libano.

Nota: le citazioni sono assolutamente testuali, salvo i titoli in corsivo, scelti arbitrariamente dal sottoscritto. In fondo, è disponibile anche una mappa del piano in PDF, di pessima qualità ma leggibile (f.b.)

Municipio di Bologna, Relazione della Giunta al Consiglio circa il Piano Edilizio Regolatore e di Ampliamento della Città [1885], Regia Tipografia, Bologna 1890

Quarant’anni di durata

Restringendo ad un breve periodo le nostre mire, avremmo potuto ridurre a modesti contorni il piano da attuare; ma non si sarebbe data così soddisfazione che ad una troppo piccola parte delle tante aspirazioni, in fatto di opere pubbliche, nutrite di lunga mano dai nostri concittadini. I quali, ponendo le condizioni della città nostra a confronto dei tanti abbellimenti delle città sorelle e dei progetti che vi stanno maturando, non possono rassegnarsi a tollerare, almeno in alcuni dei punti di maggiore importanza, quei difetti e quegli sconci, che le abitudini moderne rendono di giorno in giorno più sentiti. E neppure sarebbe stato prudente di mirare colle proposte ad un avvenire oltremodo remoto, accogliendo un lasso di tempo, fuori d’ogni esempio nella nostra legislazione, ed accrescendo così quelle incertezze e quelle oscurità, che accompagnano sempre le umane previsioni. Ci è parso quindi che un periodo di quaranta anni potesse evitare prudentemente gli opposti pericoli, tanto più se si consideri, che da parecchie opere all’interno poco aumento di abitazioni ne potrà derivare e che riuscendo esse assai costose era mestieri di poterle ripartire in modo, da renderne meno grave il peso sulle finanze del Comune. La vita delle città non si deve ragguagliare ad uno stesso metro con quella degli uomini; né sarebbe ragionevole di giudicare come inadeguati al bisogno taluni provvedimenti edilizi, solo perché noi non potremo essere testimoni del loro completo svolgimento. (pp. 11-12)

La demolizione delle mura

Le zone d’ampliamento abbisognano, com’è chiaro, di essere collegate, per quanto possibile, ai quartieri interni, ove siederanno sempre gli uffici e gli stabilimenti di maggiore importanza e convergerà più frequente il movimento dei cittadini. Di qui la necessità di frastagliare le mura, moltiplicare i passaggi e togliere quindi alla vecchia cinta quel carattere severo e maestoso, che emerge soprattutto dalla continuità e dalla lunga distesa di questi antichi baluardi. Né ci sembra che, con talune moderne costruzioni, si potesse correggere la deformità delle ripetute aperture praticate nelle mura; parendoci piuttosto che si dovesse esaminare se, sotto il punto di vista storico ed archeologico, fosse possibile di conservare qualche parte dell’antica costruzione, in modo da tramandare ai posteri il tipo della sua struttura e le tracce del suo andamento. E poiché talune porte potranno, come si è detto, essere conservate, isolandole nel mezzo di adatti piazzali, sarà così dato di aggiungere, anche per questa parte, un qualche saggio della vecchia cinta. (p. 14)

Il “grande disegno”

noi avremmo potuto seguire il metodo che, nel 1876, fu adottato dal Consiglio Comunale di Milano. Quella Giunta fece eseguire e presentò al Consiglio un piano regolatore generale, non già perché ne fosse chiesta l’approvazione a termini di legge e venisse così impegnato il Comune alla sua completa esecuzione, ma perché quel grande piano comprendesse, per dir così, i capisaldi delle opere future e servisse di norma alle successive proposte di piani parziali e definitivamente regolatori. La vecchia e la nuova cerchia di quella città intersecate, di tratto in tratto, dalle grandi strade radiali, che bastano quasi alle comunicazioni del suburbio, fino a che l’abitato si raccoglie in esigue zone lungo quelle vie, venivano a formare delle grandi figure quadrilatere, alle quali si sarebbero applicate gradatamente le disposizioni dei piani regolatori. E i lavori circoscritti a semplici allargamenti di strade avrebbero poi fatto oggetto di proposte distinte, ritenuta la loro indipendenza dai vincoli di un piano generale. Il Consiglio Comunale di Milano prese quindi soltanto atto del piano edilizio presentato, e approvò di coerenza ad esso, il piano d’ingrandimento di una parte del suburbio.

Questo metodo può avere indiscutibilmente dei vantaggi; esso permette di restringere in modo notevole il complesso delle opere; facilita la previsione dei mezzi finanziari ai quali si potrà ricorrere; e riserva una maggiore libertà d’azione per adattare i progetti alle nuove circostanze, seguendo così, secondo i dati dell’esperienza, lo sviluppo spontaneo della fabbricazione. Ma una delle ragioni principali, che possono indurre un municipio a stabilire un piano regolatore, può rimanere, con questo procedimento, frustrata. Le opere secondarie possono bensì considerarsi, entro certi limiti, come indipendenti le une dalle altre e si può quindi ammettere, che i progetti relativi siano suscettibili, senza grave inconveniente, di modificazioni successive. (pp. 24-25)

Pubblico/Privato

Il concetto essenziale del piano regolatore si fonda sul bisogno di fissare anticipatamente le norme, alle quali devono conformarsi i privati colle nuove loro costruzioni. Una volta fissate queste norme, il compito dell’Amministrazione dovrà consistere, generalmente parlando, nel secondare l’iniziativa privata, man mano che la fabbricazione si verrà estendendo e nel compiere le sistemazioni e le opere stradali relative. Alla parte di opere e di spese devoluta al Comune, un’altra dunque se ne deve aggiungere, non meno importante, quella delle nuove edificazioni, che rimangono affidate all’attività e all’industria dei privati. E quest’attività e quest’industria devono essere in grado di assegnare alla realizzazione del piano regolatore dei capitali anche maggiori di quelli, che il Comune è tenuto di dedicarvi. (p. 31)

La città ideale

la forma che più si presterebbe per una città, sarebbe quella in cui i vari punti del perimetro si trovassero equidistanti dal centro; e però la figura che generalmente si riscontra nelle piante della città è la figura poligonale, che tanto meglio si accosterebbe alla forma anzidetta quanto maggiore fosse la regolarità ed il numero dei lati del poligono.

Si è quindi considerato se fosse stato possibile e conveniente di dare al limite esterno della città da ampliarsi un andamento che tale che, discostandosi per forma da quello delle mura attuali, avesse permesso di variare il numero dei lati del nuovo perimetro poligonale. Ma si è riscontrato che ciò non era attuabile senza andare incontro a gravi inconvenienti; e che non si poteva rinunciare, senza rilevantissime spese, alla forma esistente della città:per cui la periferia dell’ampliamento segue presso a poco la disposizione dei circuito d’oggi. (p. 99)

Bologna piano 1885

Una galleria d’immagini in questo sito, precisamente qui. Ma trovate una ricca galleria d’immagini su molte opere di Mies, soprattutto negli USA, nel Digital Archive of American Architecture. Qui invece una biografia in italiano dell'architetto

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