Sommario del testo completo
Premessa
La contraddizione originaria della legge 1497 del 1939
La tutela è fondata sul valore culturale, la pianificazione sul valore venale
Due luoghi comuni che vanno cancellando la tutela
Nella tutela del paesaggio il giudizio estetico non è "soggettivo"
La tutela vincolistica ha un grado di coerenza al divenire maggiore della pianificazione
La tutela "attiva" non va confusa con quella normativa
La tutela ha un grado di creatività superiore ad altre progettazioni
Flash sul "mirabile" governo della Toscana Felix
Premessa
Prendo le mosse dall’intervento di L. Scano, Tutela del paesaggio: imprecisioni e rischi, pubblicato nel sito eddyburg, per poi sviluppare gli argomenti a sostegno della mia tesi che la pianificazione non può tutelare i beni paesaggistici, ma solo contribuire potentemente a distruggerli.
Scano considera infondato ciò che Settis asserisce su la Repubblica del 17 novembre 2006, ossia «che secondo la legge 29 giugno 1939, n. 1497, "la tutela si esprime con atti generici che vincolano sì un determinato paesaggio, ma non specificano che cosa, in ciascun caso, non può essere a nessun costo modificato"». La dimostrazione dell’infondatezza Scano la dà citando alcuni passi della «relazione svolta dal Ministro dell'educazione nazionale, Giuseppe Bottai, per presentare alla Camera il disegno di legge recante "Protezione delle bellezze naturali"». Il passo della relazione di Bottai più significativo, tra quelli riportati da Scano, è il seguente: "quello che è essenziale alla conservazione d'una bellezza d'insieme è che le variazioni [...] siano in armonia con un piano preventivo concepito con un'unità di criteri razionali ed estetici. E questo preventivo piano […] è appunto il piano territoriale paesistico [...]; esso, sottraendo le modificazioni al capriccio del singolo che se anche voglia prestare omaggio alle esigenze estetiche non può ispirarsi a una veduta d’insieme soverchiatrice delle sue possibilità, fa sì che una bellezza paesistica o panoramica si conservi come essere vivente, ossia trasferendo nel mutabile o mutato suo volto i segni suoi caratteristici e cioè i lineamenti costitutivi della sua bellezza".
Ciò che Scano intende mostrare, mi pare, è che l’intento del legislatore del ‘39 non fosse quello di tutelare il paesaggio con vincoli "generici", ma con puntuali e cogenti atti di piano, i piani appunto "territoriali paesistici". E ciò proprio perché le bellezze d’insieme, ossia quelle "bellezze" che nella legge più si avvicinano al concetto di paesaggio, sono beni "viventi", di cui, quindi, non si può prescrivere, come per altri beni, l’assoluta "invariabilità".
Da oltre venti anni in più occasioni mi sono occupato della tutela delle bellezze naturali e del paesaggio, anche con ricerche sulle origini delle norme in materia. Conosco, dunque, molto bene i documenti, il pensiero e la cultura che stanno alla base della legge del 1497 del 1939. Posso perciò confermare, che l’intento del legislatore e di coloro che promossero quella legge, è, almeno in parte, quello indicato da Scano e che emerge nelle parole del Ministro. Nella sua relazione, Bottai non fa altro che riproporre ciò che ha ascoltato dagli urbanisti di allora, in specie dal "grande" Giovannoni, ispiratore della legge già nei primi del ‘900 e autentico inventore del "piano territoriale paesistico".
Allora, sto forse confermando che Settis si sbaglia? Assolutamente no! Settis ha perfettamente ragione, e quel che Settis dice ora, lo vado dicendo e scrivendo da tempo. È, invece, Scano che – in compagnia della quasi totalità degli urbanisti – non riesce a vedere dove sta la debolezza originaria di quella legge, le cui norme sono tuttora in vigore, ma col suo errore di fondo amplificato dalla "legge Galasso" e perfezionato dal Codice dei beni culturali e paesaggistici. D’altra parte è proprio lo stesso Scano, nel resto del suo intervento, in cui giunge a dichiararsi "preoccupato", a mostrare con dati e fatti, quanto la tutela sia sostanzialmente elusa da leggi regionali e da un pianificare manchevole o inadeguato.
Ora, se da un lato abbiamo la pianificazione che, come Scano ben vede, continua o a latitare o a mostrarsi inefficace e ambigua; dall’altra abbiamo invece numerosi luoghi (in Toscana trecento) che, tra gli anni Cinquanta e i Settanta, sono stati dichiarati "bellezze naturali d’insieme" in base alle norme della legge del ’39. Per quale motivo dovremmo continuare, dopo 67 anni di vigore della legge, a lasciare questi decreti di vincolo "generici", muti e inerti, in attesa dei miracoli pianificatori? Quello che Settis ha inteso implicitamente dire è proprio questo: per evitare che la tutela continui ad essere arbitraria e incerta, facciamo parlare i vincoli con atti normativi specifici, che dicano cosa non deve essere modificato all’interno di quei luoghi tutelati; piuttosto che fidarsi ancora di atti di piano, che si vorrebbe dicessero a chiunque in avvenire come si dovrebbe costruire in quei luoghi.
Qui la replica di Edoardo Salzano, Meglio il decreto di vincolo che la pianificazione?