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Stefano Rodotà
Walter all´americana: "Yes, we can"
7 Febbraio 2008
Articoli del 2008
La sfida di Veltroni, fra incognite, azzardi e opportunità. Da la Repubblica, 7 febbraio 2008 (m.p.g.)

Muore, senz’essere mai nata, la Seconda Repubblica. Lascia uno spaventoso vuoto di legalità, dove è già precipitata la politica e nel quale rischia di inabissarsi l’intera società italiana. In questo clima, e con un contesto così degradato, si corre verso le elezioni anticipate.

È infatti l’intero sistema politico italiano che ha fissato un appuntamento con il viandante solitario: non più con il popolo ma con l’individuo, non più con la classe ma con il lavoratore, non più con l’ideologia ma con il merito personale. È tutto qui il tema della campagna elettorale che comincia oggi: correre da soli. La solitudine rivendicata da Veltroni significa infatti non potersi più nascondere dentro il numero; e mai più mimetizzarsi nella folla che garantisce l’impunità, nella folla dei partiti che è la stessa delle mille curve sud d’Italia.

Ed è la società, prima ancora che il centrosinistra in macerie, ad avere preparato, tra grillismi e antipolitica, tra girotondi e manifestazioni di piazza, tra Porta a Porta e Anni Zero, tra tradimenti e ribaltoni, tra demagogie e caste, l’uscita dal gruppo del solitario in fuga e in salita, perché è tutta in salita la ricostruzione del lessico politico in Italia. È insomma lo Spirito del Tempo a incarnarsi nel leader che deve correre da solo per sfasciare la poltiglia che non permette al paese di essere governato; per emulsionare questa chiazza d’olio di intrighi e di miseria che è diventata la politica; per scuotere la mediocrità dei topi nel formaggio, degli ubriachi che si sorreggono a vicenda, delle mezze figure che in venti non fanno una figura intera.

Correre da soli, dunque. Con l’istinto prima che con la ragione, con il sentimento più che con l’intelligenza, con la fantasia più che con la logica. Nel ciclismo correre da soli è un azzardo, roba da campioni o da ragazzini presuntuosi che a metà percorso spompano, vengono raggiunti dal gruppo, risucchiati e abbandonati senza gloria negli ultimi posti. Nel mondo animale chi corre da solo è la preda che scappa e che soccomberà alla zampata del predatore. Nella letteratura e nel cinema americani corre da solo il cow boy, il giustiziere e il farmer dell’Ovest dove banchieri, avvocati e federali sono come i tanti partiti italiani, imbroglioni e perditempo; corrono da soli Humphrey Bogart in Casablanca, e John Wayne in tutti i suoi film: generosamente risolvono i problemi ma alla fine se ne vanno, vittoriosi e perdenti, lasciando ad altri la terra, le donne, una nuova regola e un nuovo modo di stare al mondo.

Ebbene, nella sfida di Veltroni c’è questo sapore dell’America che è amata a sinistra, quella – diceva Goethe senza contrapporla alla politica italiana – che «non ha i castelli e non ha i basalti», l’idea dell’America politica liscia liscia, bella e diretta, olimpicamente classica, senza le contorsioni inverificabili delle verifiche italiane, degli inciuci, dei trasformismi, dei mercati parlamentari, l’America dove sempre si corre da soli.

È vero che può far sorridere l’inglese abusato di Veltroni, ma lasciamoglielo dire yes we can se dietro questo primo slogan della campagna elettorale si intravede un’idea americana di Italia veloce contrapposta all’Italia barocca e mostruosa delle vecchie coalizioni. È vero che l’inglese di Veltroni a volte sembra quello della pubblicità, don’t touch my Breil, o magari l’insensato life is now. È vero che a volte somiglia a quello dei nostri cosiddetti manager bocconiani, veri cretini cognitivi che dicono background e break even, serendipity e fuzzy come una specie di tributo pagato alla moda più presuntuosa e più insulsa. E però concediamoglielo questo vezzo, facciamogli contrapporre a una lingua politica che è una babele la lingua diretta e moderna che non ha accenti, non ha né sdrucciole né piane. Molto meglio andare avanti con le assonanze, da I care a We can che con le procedure istituzionali ridotte ad apparati cerimoniali; meglio rincorrere una realtà velocissima che ribolle da Kennedy a Hillary ad Obama piuttosto che l’inaderenza cadaverica alla realtà.

Ma, come dicevamo, c’è anche, nella sfida di Veltroni che corre da solo, qualcosa del ciclismo di Pantani, di Coppi e di quei volti tristi come le salite. E c’è l’alone dell’animale sacrificale con il destino segnato dai sondaggi: l’uomo che corre da solo contro Mosé – così lo chiama Maroni – che alla testa di diciotto partiti ci prova per la quinta volta. Si sa che in campagna elettorale nessuno si salva dalla demagogia e dalla retorica, ma la demagogia è un mantello che, con lo spavaldo yes we can di Veltroni, si stringe a sinistra e si allarga a destra.

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