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Moni Ovadia
Votare sì per dire no all’economia dei sudditi
16 Aprile 2016
Invertire la rotta
«Il significato del voto in occasione di questo particolare referendum, assume una valenza di particolare rilievo etico. Andando a votare in massa, noi dichiariamo che il bene comune è superiore a qualsivoglia ambizione di chi governa».
«Il significato del voto in occasione di questo particolare referendum, assume una valenza di particolare rilievo etico. Andando a votare in massa, noi dichiariamo che il bene comune è superiore a qualsivoglia ambizione di chi governa». Il manifesto, 16 aprile 2016 (c.m.c.)

Il referendum di domani, al di là del suo portato specifico, rivela, l’esistenza di due opposte concezioni del mondo, della politica e, in ultima analisi, del senso del vivere nel nostro Paese ma anche oltre i nostri confini. Buon ultimo, il governo Renzi, coerente con i precedenti esecutivi e in ossequienza a tutti coloro che esso rappresenta, – ovvero i grandi interessi industriali e finanziari – è allergico già in prima istanza, a misurarsi con l’espressione diretta della volontà popolare.

Non tragga in inganno il referendum inevitabile sulla “deforma” costituzionale; Renzi non lo vive per ciò che dovrebbe essere, un confronto con la volontà popolare, ma come la proiezione plebiscitaria sulla sua personale narcisistica leadership. Sulle questioni strategiche che attengono praticamente e simbolicamente al futuro delle persone e alla qualità della loro esistenza, ritiene che esprimersi direttamente sia una perdita di tempo. Davvero una singolare idea del valore della democrazia diretta, ma Renzi e i suoi hanno sposato a monte un’ideologia che si fonda esclusivamente sugli interessi dei potentati di ogni settore delle attività economico finanziarie.

L’azione legislativa e la sua comunicazione, si iscrivono in una visione frusta e consunta del modo di governare una società che fa leva sulle presunte ragioni della millantata creazione e/o conservazione di posti di lavoro, come se la prosperità economica potesse essere pensata solo a senso unico. Lo scopo di questa ideologia è quello di fare apparire le alternative all’economia del privilegio come chimere o, peggio, come il frutto di un conservatorismo deteriore nemico dello sviluppo ipercapitalistico dichiarato assiomaticamente come l’unica via possibile, l’unica soluzione virtuosa. Tutto lo sforzo di coloro che si oppongono al confronto sul merito del referendum è di screditarne il valore, di screditare quei cittadini che, con passione civile e non per servire interessi precostituiti e favoriti per titolarità a priori, vogliono il referendum per fare sentire la propria voce.

Qual è la richiesta dei cittadini sostenitori dell’opzione referendaria? Essi chiedono che per ogni decisione che attiene alla salute degli esseri umani e dell’ambiente, sulle questioni che attengono al rapporto fra scelte economiche e qualità della vita, sia garantita la loro partecipazione attiva. Il malcelato sentimento di sufficienza, quando non di disprezzo nei confronti di chi si schiera con impegno per il voto, la dice lunga su come pensano il confronto sui grandi temi coloro che invitano i cittadini italiani a disertare le urne per sabotare il raggiungimento del quorum.

La democrazia che vogliono è quella dei governi non eletti, o dei governi eletti da elezioni formali, esito di una routine di cui si è perso il senso, visto che la classe politica è sempre più lontana dagli elettori e sempre più impegnata in un’autoperpetuazione svuotata di significato. Colpisce e sconcerta qualunque cittadino si sia formato attraverso l’insuperato ammaestramento della nostra mirabile Costituzione, la protervia con cui un presidente del consiglio che ha ricevuto la fiducia da un parlamento delegittimato per essere stato invece eletto con una legge vergognosa definita dal suo stesso estensore una porcata, invita alla diserzione dall’atto di massima espressione di una democrazia autentica.

Il significato del voto in occasione di questo particolare referendum, assume una valenza di particolare rilievo etico. Andando a votare in massa, noi dichiariamo che sono i cittadini a decidere l’ordine delle priorità, che il bene comune è superiore a qualsivoglia ambizione di chi governa, che la volontà dei cittadini partecipanti si oppone all’improntitudine di chi la considera irrilevante. Dichiariamo che noi non siamo i sudditi degli interessi di pochi potentati, che le migliori scelte economiche sono quelle che si rivolgono alle opportunità offerte da uno sviluppo economico fondato sul benessere delle persone e la salute del pianeta, a fortiori oggi dopo la conferenza sul clima di Parigi che, pur con tutti i suoi limiti, ha affermato l’urgenza della questione ecologica.

Il decisionista di Rignano sull’Arno ci vuole far credere che lui ritiene inutile questo specifico referendum, ma non è così. Non è difficile intuire cosa il Matteo nazionale pensi per esempio del referendum sull’acqua pubblica che vide una travolgente partecipazione degli italiani che, quasi unanimemente chiesero che l’acqua fosse bene pubblico. È in questa direzione che intende andare il governo? Neanche per sogno. Quindi non è difficile intuire che per il nostro presidente del consiglio la partecipazione attiva e diretta dei cittadini sia solo un fastidioso ingombro ed è allarmante constatare che lo stesso pensiero sprezzante animi il nostro ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

C’è seriamente da chiedersi: ma noi italiani, per oltre un settennato abbiamo avuto un Presidente della Repubblica super partes o un ottimizzatore di governi con legittimità a scartamento ridotto?

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