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Fabrizio Bottini
Vogliono abolire le Province, teniamoci almeno il Provincialismo?
1 Ottobre 2013
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Sul documentario

Sul documentario Sacro GRA vincitore a Venezia, si sono accumulate varie recensioni, tutte legittime, ma che non colgono il punto secondo il metodo e la prospettiva "psicogeografica". Intervento nel dibattito sul film di Rosi

C'è una cosa che si chiama urbanistica, in senso lato, ed è uno sguardo più o meno analitico, più o meno sistematico, sul territorio modificato dall'uomo. Uno sguardo che ha come obiettivo la conoscenza, a volte la trasformazione, sempre la consapevolezza di quanto la nostra interazione con l'ambiente l'ha modificato, plasmato, a volte stravolto e irrimediabilmente devastato.

C'è un'altra cosa, magari parallela ma del tutto diversa, che si riassume nel concetto di psicogeografia, e che possiamo più o meno descrivere come il tentativo (analogo ad altri delle avanguardie artistiche) di leggere la modernizzazione nei suoi effetti sullo spazio urbano e territoriale, prescindendo dalla sua fisicità. La psicogeografia “studia le correlazioni tra psiche e ambiente, assumendo caratteri sovversivi nei confronti della geografia classica e ponendo al centro dei suoi scopi la ri-definizione creativa degli spazi”.

Non mi dilungo sul tema, rinviando il lettore al solito giro sui motori di ricerca, ed eventualmente su scaffali di biblioteca. Solo vorrei sottolineare come questa prospettiva psicogeografica, che si esprime almeno dagli anni '70 correntemente nel nostro linguaggio con la pratica della “deriva metropolitana”, sia stata utilizzata per confrontarsi direttamente con un paradigma della pianificazione territoriale moderna, ovvero il Greater London Plan di Patrick Abercrombie, e più in generale il concetto di equilibrio città/campagna espresso dalla teoria delle greenbelt e delle città satellite., così come tradotto in realtà nel '900.

Questo lavoro psicogeografico, mutuato anche dallo sguardo fantascientifico di James Ballard, si è sostanziato nel notissimo London Orbital, di Iain Sinclair, di cui in Italia esiste non solo una ricca edizione dotata pure di Dvd (Il Saggiatore, 2008), ma anche un dichiarato, semiserio plagio-omaggio di ambientazione milanese, con Tangenziali, di Gianni Biondillo e Michele Monina (Guanda 2010). Per uscire un po' dalla pedanteria dei riferimenti e precedenti, una breve e quasi conclusiva puntualizzazione: L'approccio psicogeografico agli anelli autostradali metropolitani contemporanei si confronta prevalentemente con il fallimento della pianificazione, intesa come pretesa di governare l'equilibrio fra cittadini e territorio, nella città moderna. Non ha alcuno scopo di denuncia, diretto o indiretto, e anzi individua le varie mutazioni indotte dai nuovi equilibri come stimolo ad altri sguardi e derive.

Ecco: nessuno dei (numerosissimi) recensori italiani di Sacro GRA, prima o dopo la vittoria a Venezia del Leone d'Oro, pare cogliere i due aspetti complementari, da un lato dei riferimenti alla cultura artistica internazionale del regista Rosi, dall'altro dell'applicazione di un metodo e prospettiva consolidati abbastanza casualmente all'anello autostradale romano. A parte il balzo cosmico del presidente della giuria di Venezia Bernardo Bertolucci, che ha paragonato il GRA inquadrato da Rosi direttamente agli Anelli di Saturno, il resto della critica si è soffermato sul contesto locale romano, citando al massimo il libro dell'urbanista Nicolò Bassetti (Sacro GRA, Lungo il Grande Raccordo Anulare, con Sapo Metteucci, Quodlibet 2013), uno dei suoi ispiratori Renato Nicolini, o peggio la canzone di Antonello Venditti e il suo imitatore Corrado Guzzanti.

Buoni ultimi, coloro che - ripeto legittimamente ma ancora una volta senza citare o cogliere o quantomeno intuire il mainstream alla base dell'opera – ne cavano l'ennesima denuncia di degrado del territorio, cementificazione, alienazione e compagnia bella. Tutte cose sacrosante e che confermano il classico percorso di un'ottima opera d'arte complessa, leggibile in tante prospettive, ma ne ignorano, sistematicamente, le radici. Eppure basterebbe sollevare lo sguardo: lo sanno tutti che gli anelli autostradali ci sono più o meno da quando hanno inventato le automobili. Non si fa un gran favore neppure a Roma e ai suoi problemi, leggendo in una prospettiva così angusta ed esclusiva quel documentario.

(nota: ho provato alcune settimane fa ad esprimere con qualche particolare in più il medesimo punto di vista su Mall, suggerendo lo stesso percorso da Abercrombie a Venditti)

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