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Vizi privati, pubbliche opere
11 Giugno 2008
Articoli del 2008
Una (in parte involontariamente) desolata rassegna di sciocchezze ed errori, tra Affari & Finanza e pagine economiche de la Repubblica, 2 giugno 2008 (f.b.)

Affari & Finanza

Cantiere Italia, i soldi e i sogni

di Adriano Bonafede

C’è di tutto e per tutti: autostrade, ponti, linee ferroviarie ad alta velocità, superstrade, persino dighe. Se si dovesse prendere alla lettera il programma enunciato da Berlusconi durante la campagna elettorale, l’Italia si dovrebbe trasformare, da Nord a Sud, in un immenso cantiere. Del resto i piani d’investimento ci sono, molte opere considerate fondamentali sono già state iniziate o sono sulla rampa di lancio. A questo punto basterebbe soltanto dare una spinta, mettere sul piatto più soldi e, soprattutto, velocizzare il tutto: proprio quello che i costruttori si aspettano adesso dal nuovo presidente del Consiglio e dal governo.

A dare un’occhiata alle opere in corso di realizzazione o di progettazione, balza agli occhi il gigantesco sforzo finanziario pensato, se non proprio messo in atto, dallo Stato e dalle sua varie articolazioni, dall’Anas alle Ferrovie, dalle regioni alle concessionarie autostradali. Ci sono in ballo decine di miliardi di euro per oltre 40 opere ritenute prioritarie che dovrebbero essere ultimate, secondo il "Primo programma delle infrastrutture strategiche", da qui al 20142016, con punte anche nel 2017.

Il tanto chiacchierato Ponte sullo Stretto, con una previsione di costi per 6,10 miliardi (ma il prezzo dell’acciaio è tanto lievitato in questi ultimi mesi da rendere questa cifra ormai solo indicativa), non è l’opera più faraonica in programma. Ad esempio, la ‘dorsale jonica, la SS106, ha un budget di costi stimati in 15,3 miliardi per 491 chilometri. C’è poi la tratta ferrovia ad alta velocità MilanoTorino, da ultimare entro il prossimo anno, il cui costo è stimato in 7,78 miliardi. Di poco inferiore l’impegno finanziario previsto per l’autostrada SalernoReggio Calabria, 7,57 miliardi.

Tra le opere in programma di cui si è parlato molto sui giornali in questi anni c’è il sistema Mo.Se. di dighe per bloccare l’acqua alta a Venezia (costo stimato 4,27 miliardi), da ultimare entro il 2012. E c’è la Pedemontana Lombarda, un lavoro che dovrebbe costare alla collettività 4,66 miliardi. L’alta velocità ferroviaria la fa da padrona: ci sono varie tratte (MilanoBologna, MilanoVerona, BolognaFirenze, MilanoGenova, tanto per citarne alcune) ciascuna delle quali vale intorno ai 5 miliardi. Il ‘corridoio 5’ europeo, ovvero La TorinoLione, ha un costo stimato in 4,7 miliardi.

Insomma, a guardare sulla carta l’Italia sembra tutta un cantiere. I colossi italiani del settore, a cominciare da Impregilo e Astaldi, e dalle imprese che fanno capo alla Lega Coop riunite nel Consorzio Ccc, hanno le mani in pasta un po’ ovunque. Le alleanze sono ‘ a geometria variabile’, e qualche volta le imprese che si contendono un’opera con una guerra all’ultimo prezzo si ritrovano a collaborare in altri frangenti.

Impregilo, ad esempio, ha vinto di recente la gara per la Pedemontana Veneta (un lavoro da sempre caldeggiato dalla Lega Nord) proprio contro le cooperative riunite nel Consorzio Ccc. Ma sul passante di Mestre le due imprese sono tranquillamente socie come se niente fosse. E sul Ponte di Messina, che ancora deve cominciare, c’è, insieme a Impregilo, anche la Cmc (una delle principali imprese della Lega Coop). Ancora il Ccc è in società al 50 per cento con Pizzarotti sulla Brebemi (autostrada BresciaBergamoMilano), mentre Pizzarotti è socio di Impregilo sulla Pedemontana Lombarda. Astaldi è socia di Impregilo sulla Pedemontana Lombarda ma sulla linea C della metropolitana di Roma è general contractor. Condotte privilegia molto il rapporto con Impregilo, di cui è socia nei raggruppamenti di imprese per due lotti della SalernoReggio Calabria e per il Ponte di Messina.

Dunque tutte le imprese sono posizionate, come i concorrenti prima di una gara, per la ripartenza delle opere pubbliche. Il governo Berlusconi deve ora reimpostare le priorità e, si sa, ha gusti diversi rispetto all’esecutivo Prodi. Intanto, per prima cosa, ha annunciato la ripresa del Ponte sullo Stretto. Cosa che ha fatto immensamente piacere al trio Salvatore LigrestiMarcellino Gaviofamiglia Benetton che insieme controllano Impregilo, l’impresa che aveva vinto la gara poi congelata dal governo di centro sinistra.

Il ritorno di Berlusconi ridisegna di fatto la mappa del potere nel mondo delle costruzioni. Ligresti e Gavio, non è un mistero, avevano salutato il possibile ritorno del Cavaliere al governo, già prima delle elezioni politiche, con grande entusiasmo. Il perché è presto detto: oltre alle grandi opere in cui Impregilo è coinvolta, i due hanno separatamente molti altri interessi da soddisfare. Ligresti ha, tramite Immobiliare Lombarda (controllata da FondiariaSai) una serie di investimenti da fare a Milano, che ora saranno moltiplicati per quattro dopo l’annuncio di Expo 2015. Un governo amico sarà di giovamento. La stessa cosa può dirsi per Marcellino Gavio, che tramite le sue concessionarie autostradali (la MilanoTorino in primo luogo) e le sue società di costruzione (tra cui la Grassetto che un tempo fu di Ligresti) potrà ricevere benefici dalla ‘sintonia’ con il nuovo governo.

Oggettivamente il mondo della cooperazione non sembra avvantaggiato dal governo Berlusconi, che nell’esperienza precedente tra il 2001 e il 2006 aumentò la tassazione su questo genere di imprese. Ma il nuovo clima bipartizan promette bene. Non sembra più il tempo per guerre di questo tipo. Anche perché le cooperative sono presenti massicciamente nelle opere infrastrutturali del centro nord. Condotte, invece, attraversa per conto suo un momento difficile: mentre era in corso un complesso piano di ristrutturazione, sono arrivati dei problemi sul fronte giudiziario. La Todini, guidata dalla spumeggiate Luisa Todini, è ora impegnata nella Variante di Valico FirenzeBologna, che sarà finita entro il 2011 per un costo stimato di 3,12 miliardi.

Astaldi è in questo momento, e come molte altre imprese di costruzione, più impegnata all’estero che in Italia: circa il 62 per cento del fatturato. Ma resta la speranza di una ripresa delle grandi opere nel nostro paese: infatti se si guarda il suo portafoglio lavori, si scopre che per il 60 per cento è ancora concentrato in Italia.

Questo però significa una cosa sola: all’estero i lavori si prendono e si portano a termine, in Italia si prendono ma sembrano non finire mai. «È questo il vero problema dell’Italia spiega Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance le opere cominciano ma non si va avanti se non molto, troppo lentamente. Da una nostra indagine risulta che per gli appalti oltre 50 milioni di euro ci vogliono in media 67 anni per finire mentre in Gran Bretagna ne bastano 23. È il momento di dare una svolta. Le decisioni devono essere prese in tempi rapidi, e i progetti devono essere fatti meglio: sono quasi sempre sbagliati perché sono degli schemi di massima».

Insomma, i lavori pubblici italiani sono come delle ouvertures a cui non segue mai la sinfonia vera e propria. «C’è tanta carne al fuoco, ma il fuoco è basso», dice Piero Collina, presidente del Consorzio Ccc. «La storia dei nostri appalti è fatta di lungaggini burocratiche, di ricorsi su ricorsi, di continui stop and go dovuti anche alle resistenze locali».

I costruttori riconoscono che il primo Berlusconi, con la Legge Obbiettivo, ha fatto qualcosa per velocizzare le procedure. Ma non è bastato, e ora più che mai non basta più. «Su project financing (finanziamento privato dei progetti, NdR) dice Romano Galossi, membro di presidenza dell’Ancpl e sull’offerta economicamente più vantaggiosa vanno fatti degli immediati aggiustamenti».

Ma, oltre alle procedure e alle lungaggini da correggere, c’è anche un molto più semplice problema di soldi. Ci sono davvero? Ai costruttori corre un brivido su per la schiena: sarà che Berlusconi vuole rilanciare i grandi lavori, ma al momento ha stornato i fondi inizialmente destinati al Ponte sullo Stretto (e che il governo Prodi aveva poi assegnato ad altre infrastrutture nel Sud) a coprire lo sgravio Ici sulla prima casa. Insomma anche i costruttori vedono che le casse dello Stato sono messe male. Non c’è dubbio: c’è ancora uno scarto fra i sogni degli imprenditori e la realtà. Chissà se Berlusconi saprà davvero colmarlo.

la Repubblica

Superstrade, dighe e cantieri eterni ecco l´Italia delle opere incompiute

di Davide Carlucci



MILANO - La grande scritta "vergogna" sul cavalcavia è stata cancellata. Ma il completamento della superstrada della val Camonica non è ancora ripartito. Fermo dai tempi di tangentopoli: fu un ministro di quell´era, il bresciano Gianni Prandini, a volerla e fu una storia di mazzette a inguaiare la ditta costruttrice a bloccare i lavori. Era il 1992 e quattro anni dopo il sottosegretario Antonio Bargone previde la conclusione dell´opera nel 1998. Dieci anni dopo è successo di tutto - anche la morte di un camionista, nel 2005, per il crollo della rampa di un viadotto - ma di cantieri riaperti nel tratto tra Capodiponte e Forno Aglione neanche a parlarne. «La ripresa era annunciata prima per l´autunno, poi per la primavera - dice Guido Cenini, di Legambiente - l´estate è alle porte e siamo ancora con i camion e le auto incolonnate che passano davanti alle case, causando un inquinamento pazzesco. E dire che siamo partiti, negli anni Sessanta, con l´idea di un´autostrada che doveva collegare il Bresciano con la Germania... ».

Ma siamo in Italia, la nazione delle incompiute, imprese ambiziose che al dunque non arrivano mai. Tormentoni che si rinnovano a ogni campagna elettorale: la chiusura dell´anello ferroviario di Roma, era d´attualità già nel 1993, quando Francesco Rutelli si candidò per la prima volta a sindaco ed è tornata a esserlo quest´anno. Progetti immaginifici, come la "strada dei due mari": dovrebbe collegare il Tirreno all´Adriatico ma si riduce a rari brandelli di strada a quattro corsie tra Fano e Grosseto. Di eterni cantieri è piena la Calabria, dalla mai abbastanza vituperata (dagli automobilisti) Salerno-Reggio Calabria, alla statale 106 che porta a Taranto lungo lo Ionio. Un monumento allo spreco è la diga sul Menta, pensata nel 1979 per dare acqua a Reggio, lavori iniziati nel 1985, costi sestuplicati rispetto al progetto originario, completamento previsto nel 2011 e tutti che ancora si chiedano se serva davvero. Asciutto anche l´invaso del Pappadai, in Puglia, in costruzione dagli anni ‘80, costato già 400 milioni di euro. Il primato però è della Sicilia: le opere interrotte risultano 168 su un totale di 357 censite in tutt´Italia. E solo a Giarre, se ne contano ben 12, dalla piscina olimpionica al teatro comunale.

Ovunque va lentissima l´alta velocità ferroviaria: non solo in val di Susa, ma anche tra Milano e Novara, tra Firenze e Bologna (con l´incognita del sottoattraversamento del capoluogo toscano) e tra Genova e Milano, dove un´inchiesta giudiziaria terminata con una prescrizione - erano coinvolti il senatore Pdl Luigi Grillo e il costruttore Marcellino Gavio - ha contribuito ad allungare i tempi. Sorte comune a tantissime altre opere, come la linea 6 della metropolitana di Napoli, ferma anch´essa dai tempi di Tangentopoli e inaugurata solo in parte. Ma a Napoli sono fermi da tempo immemore anche la bonifica dell´area ex Italsider di Bagnoli, la cittadella della polizia e l´ospedale del mare nel quartiere Ponticelli-San Giovanni. L´elenco delle strutture sanitarie o assistenziali mai finite - o in grave ritardo nei lavori, come l´ospedale di Cona, inaugurato nel 1990 da papa Giovanni Paolo II, e l´orfanotrofio di Vercelli, inaugurato dopo 33 anni - in Italia, è lunghissimo. E tra le opere lasciate a metà c´è anche un borgo: Consonno, nel Comasco, doveva essere una specie di Disneyland. Ora è un paese fantasma.

la Repubblica

L’ospedale-scandalo in costruzione da 50 anni

di Giuseppe Caporale

È un palazzo di cinque piani in costruzione dal 1958 ma che non è mai stato aperto. Lo Stato, per questo ospedale, ha già speso oltre venti milioni di euro. Non solo, ogni anno l´Azienda sanitaria locale investe altri soldi per adeguare la struttura ai cambiamenti delle normative, per sostituire gli impianti che con il tempo, nel corso di questi 50 anni, si sono ovviamente deteriorati.

Eppure, l´ospedale Padre Pio (questo il nome voluto dal sindaco Giovanni Palumbo nel 1997 con tanto di cerimonia solenne) non è mai entrato in funzione. Vuoi per i parametri dei piani sanitari regionali, vuoi per gli eterni ritardi nei lavori. Persino ora, la Asl e la Regione continuano a stanziare fondi: da pochi giorni hanno deliberato altri quattro milioni di euro per l´ulteriore messa a norma. La quarta. Il nuovo sindaco in scadenza di mandato, Donato Agostinelli (Udeur), promette che questa sarà la volta buona.

Si muore maledicendo l´ospedale della vergogna, a San Bartolomeo in Galdo, nel beneventano. Qui, nella valle del Fortore, si vive nel terrore di aver bisogno dello Stato, di aver bisogno dell´ospedale. Quando scatta l´emergenza è un terno al lotto. Una corsa contro il tempo che quasi nessuno riesce a vincere. Troppo lontano il 118 (impiega almeno 30 minuti solo per arrivare), troppo lontani gli ospedali (Lucera a 45 minuti, Campobasso a 50 minuti, Benevento a 90 minuti di distanza). E così, lungo il tragitto, si muore. Per un infarto lieve o per un incidente che altrove sarebbe banale.

Ma l´assurdo di questa vicenda è che qui l´ospedale c´è, eccome.

La prima pietra fu posizionata nel 1962 dall´allora sindaco Aldo Gabriele. I lavori furono ultimati intorno alla metà degli anni settanta, dopo una prima catena di ritardi, dovuti anche ad un terremoto. I nostalgici ricordano ancora la prima clamorosa protesta, quella del "comitato di agitazione permanente", che nel 1980 inviò oltre mille cartoline all´allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, per chiedere l´immediata apertura della struttura. Seguì un corteo con le bandiere di tanti partiti di allora: pci, dc, psi. Poi più nulla. Tanti padrini politici, tante promesse, ma la struttura non è mai entrata in funzione. Una settimana fa l´ultimo decesso per colpa dell´ospedale della vergogna (una mamma con tre figli piccoli, morta per un problema cardiaco). E questa volta il grido di dolore e rabbia, è arrivato dal parroco del paese, don Franco Iampietro. «Basta… Sono stanco di accompagnare al cimitero persone che hanno l´unica colpa di essere nate qui», ha scritto il parroco in una lettera aperta alle istituzioni «l´ospedale mai aperto è un vuoto monumento alla disonestà e all´incapacità di chi ne è stato, e ne è l´artefice. Cosa deve fare questa gente per farsi ascoltare? Deve organizzare una rivolta?». A rispondere, l´attuale sindaco Agostinelli. «Apriremo nel 2009 ma sarà un country hospital: ci saranno due ambulanze per l´emergenza, guardia medica, e ottanta posti di riabilitazione gestiti da un privato». Ma non ci sarà il pronto soccorso. E così, lo Stato prima ha impiegato 50 anni per costruire un ospedale, e ora che potrebbe entrare in funzione, ha deciso che non serve più. Va riconvertito, non sarebbe economico. E nella valle del Fortore si continua a morire, maledicendo quel monumento allo spreco e alla vergogna.

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