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Mark Zoller Seitz
Vita nella città diffusa: sempre che si possa chiamarla vita
3 Giugno 2007
Consumo di suolo
Un nuovo film (anche) documentario racconta le esistenze segregate, frenetiche, alienate dello sprawl americano di villette e centri commerciali. The New York Times, 30 maggio 2007 (f.b.)

Titolo originale: Life in the Sprawling Suburbs, if You Can Really Call It Living – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

“Possiamo dire che in qualche modo la città diffusa è una città intollerante”. Se questa breve citazione dell’architetto di Calgary Marc Boutin non vi spiega a sufficienza la prospettiva critica di Radiant City sul tema dello sprawl suburbano, chi ha fatto il film ne ha parecchie altre del genere.

Mescolando spezzoni di documentario a parti recitate (le due cose non si distinguono finché il film non tira fuori la sua migliore sorpresa), Radiant City è una cruda arringa sui danni culturali di certe mode architettoniche del dopoguerra. Nel film si propone un impietoso confronto fra il suburbio di primo ‘900, realizzato attorno a spazi pubblici collettivi che orientano a un’esistenza più pedonale, ai suoi discendenti del dopoguerra, che attiravano gli abitanti con la promessa di spazi enormi e di nessun bisogno di preoccupasi per quanto avveniva oltre i confini del giardino.

I registi, Gary Burns (che ha indagato questi territori molte altre volte, soprattutto nella commedia “ Waydowntown”) e Jim Brown, dipingono il suburbio residenziale diffuso e antisettico, con le sue culture dei lunghi spostamenti pendolari, come metodo sicuro per l’alienazione, ostacolo alla costruzione di senso comunitario, soprattutto di senso comune.

La proposta dei personaggi mescola esperti scientifici, e quelli che dovrebbero essere comuni cittadini. In questo gruppo vediamo un gruppo teatrale che sta preparando una commedia musicale sulla vita suburbana, una madre ansiosa che gestisce scrupolosamente ogni giornata con la scaletta appiccicata di fianco al frigo, un adolescente che osserva l’enormità del suo esurbio rigorosamente anonimo dalla cima di un ripetitore per cellulari (e spiega di fare attenzione a non restare più di qualche minuto per volta là in cima, perché non vuole predersi un tumore al cervello).

James Howard Kunstler, il critico della suburbanizzazione, appare durante tutto “ Radiant City” e contribuisce a definirne il tono generale, che si può sintetizzare come incredula lamentazione. Le spaventose, a tratti monumentali immagini cinematografiche di Patrick McLaughlin, sottolineano le frasi degli esperti, facendo apparire il suburbio come un paesaggio da incubo d’asfalto e cartongesso, dove va a morire la democrazia.

RADIANT CITY

Scritto e diretto da Gary Burns e Jim Brown; direttore della fotografia Patrick McLaughlin; montaggio Jonathan Baltrusaitis; musiche di Joey Santiago; prodotto da Shirley Vercruysse per la National Film Board of Canada. 85 minuti.

CON: Daniel Jeffery (Nick Moss), Bob Legare (Evan Moss), Jane Macfarlane (Anne Moss), Ashleigh Fidyk (Jennifer Moss), Curt McKinstry (Ken), Karen Jeffery (Karen)

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