La Rai censura il trailer di Videocracy. «Un film sulla cultura televisiva in Italia, non scindibile da Berlusconi», dice il regista. Per viale Mazzini «non viene rispettato il pluralismo». I consiglieri del Pd: «C'è un disegno, intervenga il cda»
Eccola qui, la videocrazia nell'era di Silvio. La Rai non ha nessun problema a confermarlo, anzi. Il trailer del film di Erik Gandini Videocracy, appunto, già rifiutato da Mediaset (protagonista della pellicola), perché «lesivo delle prerogative della tv commerciale», non potrà andare in onda nemmeno sugli schermi della tv pubblica. Il film sarà a Venezia, non nella selezione ufficiale ma nella Settimana della critica, e uscirà nelle sale il 4 settembre. Però l'ufficio legale di viale Mazzini, non nuovo a cercare improbabili cavilli per giustificare iniziative censorie dietro input berlusconiano, soprattutto nel lungo periodo in cui è stato diretto da Rubens Esposito, esagerando al massimo uno zelo già eccessivo ha deciso di oscurarlo. Motivo: il trailer non è «informato al principio del contraddittorio» che deve essere rispettato «anche in periodo non elettorale».
Argomentazione ridicola, che viale Mazzini cerca di avvalorare richiamandosi agli indirizzi della commissione di vigilanza, a quelli dell'Authority per le comunicazioni, al contratto di servizio e pure al Codice etico aziendale. Nella nota diffusa ieri dalla direzione generale della Rai (il dg Mauro Masi in privato sostiene di aver appreso della decisione da Repubblica , eppure facendosi scudo con l'ufficio legale la conferma), si arriva a ricordare che i citati testi sacri impongono che «i messaggi pubblicitari siano leali, onesti, corretti e non contengano elementi atti ad offendere le convinzioni morali, civili e politiche dei cittadini e la dignità della persona umana», nientemeno. E dire che, per evitare di offendere chissà chi (uno solo: Silvio), la Rai aveva fatto una bella proposta alla Fandango, che distribuisce il film, «nel massimo spirito di collaborazione»: sì alla trasmissione del trailer, ma solo «nell'ipotesi in cui la società produttrice avesse assicurato il rispetto dei principi essenziali del contraddittorio e del pluralismo informativo». Forse la Fandango avrebbe dovuto aggiungere il commento di Sandro Bondi alle immagini di veline e tronisti, a quelle di Lele Mora o di Silvio Berlusconi sugli spalti delle celebrazioni per il 2 giugno che compaiono nel montaggio. E invece «nessuna adesione allo stato attuale è pervenuta dalla società che quindi non ha messo la Rai nella condizione di poter trasmettere lo spot».
Insomma, tutta colpa di Domenico Procacci, al quale l'azienda ha spiegato che il trailer «veicola un inequivolcabile messaggio di critica al governo» e ripropone la questione del conflitto di interessi. Non solo: poiché mostra «immagini di donne prive di abiti» richiama «le problematiche all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso» (sempre Silvio), facendo magari pensare che già in passato, quando era solo un imprenditore televisivo, il premier avesse «tali caratteristiche personali». Sembra satira, anche perché di fatto la Rai conferma che «tali caratteristiche» Sua emittenza almeno attualmente le possiede.
A questo punto i consiglieri d'amministrazione del Pd, Nino Rizzo Nervo e Giorgio van Straten, intendono portare la vicenda al primo cda dopo la pausa estiva, il 9 settembre. Secondo Rizzo Nervo «sostenere il dovere di pluralismo negli spot è giuridicamente abnorme oltre che ridicolo». E questa censura «dimostra con chiarezza che sulla Rai vi è un preciso disegno di controllo e di annullamento delle libertà editoriali», cercando di «normalizzare» anche la terza rete. E Van Straten riferisce di aver parlato del caso anche con il presidente Rai Paolo Garimberti, che però è all'estero e ufficialmente non commenta.
Protestano invece a gran voce contro la «vergognosa decisione» la Federazione nazionale della stampa, il cui segretario Roberto Natale rilancia la proposta di una mobilitazione nazionale, e l'Usigrai. Il segretario del Pd Franceschini incalza: «Bisogna reagire all'assuefazione» e al tentativo di «imbavagliare Raitre», e mette il trailer di Videocracy sul suo sito. Mentre Pierluigi Bersani domanda: «Per Ombre rosse chiesero la replica agli indiani?». E Ignazio