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La nostra acqua non è più nostra
4 Gennaio 2010
Articoli del 2009
Continuano a privatizzate i beni comuni e, profondamente illiberali, a consegnare ai privati i monopoli. Due articoli di P: Rumiz e B. Di Giovanni, da la Repubblica e l’Unità del 5 novembre 2009

la Repubblica

La svendita dell´acqua pubblica

di Paolo Rumiz

Con le reti idriche allo sfascio, l´Italia accelera la privatizzazione dell´acqua. Il Parlamento sta discutendo la legge che obbliga a mettere in gara i servizi e ridurre a quote minoritarie la mano pubblica nella gestione, ma nessuno sa dove trovare le risorse per ricuperare questo pazzesco "gap" infrastrutturale. I lavori necessari ammontano a 62 miliardi di euro: una cifra enorme, come dieci ponti sullo Stretto. Questo mentre 8 milioni di cittadini non hanno accesso all´acqua potabile, 18 milioni bevono acqua non depurata e le perdite del sistema sono salite al 37%, con punte apocalittiche al Sud. Sono più di vent´anni che si investe al lumicino, non si costruiscono acquedotti e la manutenzione di quelli esistenti è quasi scomparsa dai bilanci. Un quadro da Terzo Mondo.

Il rischio è di lasciare in eredità ai nostri figli un patrimonio di acqua inquinata da industrie, residui fognari, chimica, arsenico o metalli pesanti. Di fronte a questo allarme concreto sembra sollevarsi nient´altro che il solito polverone. Uno scontro di "teologie": con una maggioranza che crede nell´efficacia salvifica della gara d´appalto e della quotazione in Borsa, e una minoranza che invoca il principio assoluto dell´acqua "bene comune". In mezzo a tutto questo, schiacciata fra le scorrerie dei partiti e gli appetiti finanziari dei privati, una miriade di Comuni virtuosi che finora hanno gestito i servizi a basso costo e in modo eccellente, e non intendono alienare "l´acqua del sindaco", intesa come ultima trincea del governo pubblico del territorio.

Nell´agosto 2007 Tremonti aveva già sparato un decreto per la privatizzazione, ma si era rivelato così carente che non era stato possibile emanare i regolamenti. Oggi si tenta il bis, con una spinta in più verso i privati. Stavolta è d´accordo anche la Lega: la quota della mano pubblica dovrà scendere al 30%. Insomma, che i Comuni in bolletta vendano tutto quello che possono. Facciano cassa, subito. E non fa niente se qualcuno grida al furto e il Contratto mondiale per l´acqua – ultima trincea del pubblico servizio – minaccia fuoco e fiamme. «In nessun´altra parte d´Europa – attacca il presidente Emilio Molinari – si vieta alla mano pubblica di conservare la maggioranza azionaria. Il rischio è che tutto finisca in mano delle grandi Spa e alle multinazionali. E se il servizio non funziona, invece che al tuo sindaco dovrai rivolgerti a un call center».

Contro il provvedimento s´è scatenata una guerra di resistenza. In Puglia il presidente della regione Niki Vendola s´è messo in collisione con gli alleati del Pd, ed ha non ha solo annunciato di voler far ricorso contro la privatizzazione, ma ha deciso di ripubblicizzare l´acquedotto pugliese, il più grande e malfamato d´Europa (si dice che abbia dato più da… mangiare che da bere ai pugliesi). Al grido di "l´acqua è una cosa pubblica" ora si tenta la storica marcia indietro, anche se non si ha la più pallida idea di chi (la Regione?) pagherà i debiti del carrozzone.

Intanto si moltiplicano le assemblee: Verona, Bari, Udine, Savona, Potenza, Rieti. Da Milano arrivano segnali di preoccupazione, a difesa di un´azienda comunale totalmente pubblica che finora ha mantenuto tariffe tra le più basse d´Italia. Il malumore cresce nei Comuni di montagna. In Carnia anche quelli della Lega sono ai ferri corti con la giunta regionale di centrodestra. Già hanno dovuto affidare i loro servizi a una Spa-carrozzone che fa acqua da tutte le parti e alza le tariffe senza fare investimenti; ora non vogliono che questo preluda al passaggio a un´azienda con sede a Milano, Roma o magari all´estero. A Mezzana Montaldo (Biella) dove si gestiscono la loro rete in modo ineccepibile da oltre un secolo, non ci pensano nemmeno a mollare l´acqua ad altri.

« la fine del federalismo e dei valori del territorio persino nelle regioni a statuto speciale» osserva Marco Job del C.m.a di Udine. «Facevamo tutto da soli - ghigna il carnico Franceschino Barazzutti - dalle mie parti il sindaco guidava il trattore, e se necessario aggiustava lui stesso la conduttura tra il paese e la sorgente. Oggi devi chiamare i tecnici a Udine, con tempi maggiori e costi più alti. E se devi segnalare un disservizio, devi andare a Tolmezzo o Udine, mentre prima era tutto sotto casa. E´ tutto chiaro: hanno fatto una Spa pubblica solo per poi passare la mano ai privati».

Privatizzare è l´ultima speranza di adeguarci all´Europa, puntualizza il governo. Ma qui viene il bello. proprio l´enormità dei costi di questo adeguamento a falsare la gara. «Senza certezza sul futuro del servizio e con simili costi fissi nessuna banca al mondo finanzierà le piccole imprese, e cos finiranno per vincere le grandi aziende quotate, capaci di autofinanziarsi e di imporsi semplicemente con la forza del nome», spiega Antonio Massarutto dell´università di Udine. Altra cosa che pu falsare i giochi è la mancanza di garanzie sul rispetto delle regole. «Siamo in Italia» brontola Roberto Passino, presidente del Coviri, Comitato vigilanza risorse idriche: «Prima si lamentavano perché non funzionavamo, e ora che abbiamo rimesso le cose a posto, tutti si lamentano perché funzioniamo». Un problema di comportamento, insomma. Di cultura e responsabilità.

Pubblico o privato? «Non importa che i gatti siano bianchi o neri – scherza Passino citando Marx – l´importante è che mangino i topi». Quello che conta è il controllo. In Inghilterra l´azienda pubblica è stata privatizzata al cento per cento, ma la Spa che ha vinto la gara ora ha sul collo il fiato di un´authority ventiquattrore su ventiquattro. Le modifiche del contratto sono impossibili. Ogni cinque anni le tariffe vanno discusse daccapo. Massarutto: «L´anomalia italiana è che ci si illude che la gara basti a lavare più bianco. Non è vero niente. Serve uno strumento di controllo e garanzia che impedisca furbate o fughe speculative». Figurarsi se poi l´azienda firma un contratto che include non solo la gestione, ma anche gli investimenti immensi che il settore richiede.

Altra anomalia: abbiamo le tariffe più basse d´Europa. Questo perché – a differenza di Francia o Germania - finora nessuno ha osato scaricare sulle tariffe il costo di questo immenso arretrato di lavori. Viviamo in uno strano Paese, dove si protesta per le bollette dell´acqua, ma non si osa dir nulla su quelle del gas e dell´elettricità, che invece sono – udite - le più alte del Continente. Dire che gli acquedotti si debbano pagare con le tasse è quantomeno spericolato, osserva Giuseppe Altamore autore di grandi libri sulla questione idrica in Italia: «Non vedo cosa ci sia di giusto nel fatto che io debba pagare il servizio idrico anche per gli evasori fiscali». Nell´incertezza sul futuro, il ritardo aumenta, e sulle nostre spalle cresce la previsione di una batosta stimata per ora sui 115 euro pro-capite l´anno.

l’Unità

Il centrodestra sta svendendo anche l’acqua

di Bianca Di Giovanni

Anche l’acqua ai privati. Come chiede Confindustria da anni. Il Senato ha varato ieri la riforma dei servizi pubblici locali, che punta a favorire la gestione privata di alcuni servizi locali. Il testo passa ora alla camera. Il Pdl sventola slogan epocali. In realtà il provvedimento è frutto di una faticosa mediazione tutta interna alla maggioranza, in cui la Lega (come al solito) ha fatto la aprte del leone. Il Carroccio ha ottenuto infatti che fossero esclusi fin dall’inizio i settori più «ricchi» dell’affare servizi: elettricità e gas. Troppo importanti le ricche multiutility del nord. Il testo ha escluso anche il trasporto pubblico locale, con la stessa motivazione ufficiale: settore che ha bisogno di norme speciali. Motivazione che non è valsa, invece, per il servizio idrico. Che pure a livello europeo è considerato più «speciale» degli altri.

Così si preparano all’iter della privatizzazione acqua e rifiuti, insieme ad altri servizi minori. Sfilate all’ultimo momento (sempre dalla Lega) anche le farmacie comunali. Il testo prevede che per tali servizi sia prioritario l’affidamento a terzi, che siano privati o società miste pubblico/ privato. In quest’ultimo caso, però, il «braccio» privato deve detenere almeno il 40% della società. In caso di società quotate (è il caso della romana Acea), il pubblico dovrà scendere al 40% (in origine era il 30%). L’affidamento cosiddetto in-house, cioè pubblico, non è escluso, ma è condizionato a una serie di fattori. Si potrà scegliere solo in situazioni ececzionali, quando si dimostrasse impossibile l’affidamento a privati, ecomunque solo dopo l’autorizzazione dell’Antitrust. Va ricordato che già oggi è possibile affidare la gestione di tutti i servizi pubblici locali (incluso quello idrico) a soggetti privati attraverso gare. La novità è che gli enti locali, finora liberi di scegliere, saranno obbligati ad aprire al privato, e solo in casi eccezionali potranno evitarlo.

La vera guerra si è scatenata sull’acqua. L’opposizione ha presentato parecchi emendamenti soppressivi, sostenendo tra l’altro che la stessa Unione europea privilegia la gestione inhouse per il servizio idrico. Ma la maggioranza ha tirato dritto. A questo punto è stata formulata una proposta - primo firmatario Bubbico del pd, sostenuto da tutte le forze di opposizione - con l’obiettivo di mettere dei paletti agli intenti di privatizzazione del servizio. La proposta è stata rigettata da governo e maggioranza. «La questione della gestione della risorsa acqua - ha detto a quel punto il presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro - è una delle grandi questioni sulle quali si interroga il mondo intero. Non è un problema di poco conto, ragioniamoci cerchiamo di capire meglio». Dopo un accantonamento, la proposta è stata riformulata e poi votata da ambedue gli schieramenti, esclusa l’Idv. Il testo ribadisce che l’acqua è un bene pubblico, che l’accesso al servizio deve essere garantito a tutti e che il prezzo dev’essere stabilito daautorità pubbliche. Solo la gestione dovrà andare in mani private. «In questo modo abbiamo sventato un colpo di mano della maggioranza», dice Bubbico.

Resta il giudizio negativo sul provvedimento complessivo. «Oggi in Senato con il voto del Pdl e della Lega viene resa obbligatoria la gestione dell'acqua: una scelta che va contro l'interesse dei cittadini e che non è dettata, come falsamente sostengono governo e maggioranza, da norme europee. Una scelta tanto più grave nel caso del partito di Bossi e Calderoli, che in Padania si batte per l'acqua bene pubblico e a Roma prende decisioni ultraliberiste», commenta Roberto Della Seta.

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