Quando diciamo che siamo per un’Altra Europa, la vogliamo davvero e non solo a parole. Abbiamo in mente un ordine politico nuovo, perché il vecchio è in frantumi. Non può essere rammendato alla meno peggio.
In realtà il nostro è l’unico progetto che non si limita a invocare a parole un’altra Europa, ma si propone di cambiarla con politiche che riuniscano quel che è stato disunito e disfatto. Gli altri partiti sono tutti, in realtà, conservatori dello status quo.
Sono conservatori Matteo Renzi e il governo, che parlano di cambiamento e tuttavia hanno costruito quest’Unione che umilia e impoverisce i popoli, favorendo banche e speculatori. Sono conservatori i leghisti, che denunciano l’Unione ma come via d’uscita prospettano il nazionalismo e la xenofobia. Nei fatti è conservatore il Movimento 5 Stelle, che si fa portavoce di un disagio reale, ma senza sbocchi chiari.
Tutta diversa la Lista Tsipras. Il progetto è di cambiare radicalmente le istituzioni europee, di dare all’Unione una Costituzione scritta dai popoli, di dotarla di una politica estera non bisognosa delle stampelle statunitensi. Tutta diversa la prospettiva della Lista Tsipras. La nostra non è né una promessa fittizia, come quella di Renzi, né una protesta che rinuncia alla battaglia prima di farla. Metteremo duramente in discussione il Fiscal compact, e in particolare contesteremo — anche con referendum abrogativo — le norme applicative che il Parlamento dovrà introdurre per dare attuazione all’obbligo del pareggio di bilancio che purtroppo è stato inserito ormai nell’articolo 81 della Costituzione, senza che l’Europa ce l’abbia mai chiesto. In ogni caso, faremo in modo che non abbiano più a ripetersi calcoli così palesemente errati e nefasti, nati da una cultura neoliberista che ha impedito all’Europa di divenire l’istanza superiore in grado di custodire sovranità che sono andate evaporando, proteggendoli al tempo stesso dai mercati incontrollabili, dall’erosione delle democrazie e dalla prevaricazione di superpotenze che usano il nostro spazio come estensione dei loro mercati e della loro potenza geopolitica.
Ecco le 10 vie alternative che intendiamo percorrere:
1 - Siamo la sola forza alternativa perché non crediamo sia possibile pensare l’economia e l’Europa democraticamente unita «in successione»: prima si mettono a posto i conti e si fanno le riforme strutturali, poi ci si batte per un’Europa più solidale e diversa. Le due cose vanno insieme. Operare «in successione» riproduce ad infinitum il vizio mortale dell’Euro: prima si fa la moneta, poi per forza di cose verrà l’Europa politica solidale. È dimostrato che questa “forza delle cose” non c’è. Status quo significa che s’impone lo Stato più forte.
2 - Siamo la sola forza alternativa perché crediamo che solo un’Europa federale sia la via aurea, nella globalizzazione. Se l’edificheremo, Grecia o Italia diverranno simili a quello che è la California per gli Usa. Nessuno parlerebbe di uscita della California dal dollaro: le strutture federali e un comune bilancio tengono gli Stati insieme e non colpevolizzano i più deboli. In un’Europa federata, quindi multietnica, l’isola di Lampedusa è una porta, non una ghigliottina.
3 - Siamo la sola forza alternativa perché non pensiamo che prioritaria ed esclusiva sia la difesa dell’«interesse nazionale»: si tratta di individuare quale sia l’interesse di tutti i cittadini europei. Se salta un anello, tutta la catena salta.
4 - Siamo la sola forza alternativa perché non siamo un movimento minoritario di protesta, ma avanziamo proposte precise, rapide. Proponiamo una Conferenza sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 sulla Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra. L’accordo cui si potrebbe giungere è l’europeizzazione della parte dei debiti che eccede il fisiologico 60 per cento del pil. E proponiamo un piano Marshall per l’Europa, che avvii una riconversione produttiva, ecologicamente sostenibile e ad alto impatto sull’occupazione, finanziato dalle tasse sulle transazioni finanziarie e l’emissione di anidride carbonica, oltre che da project bond e eurobond.
5 - Siamo la sola forza alternativa perché esigiamo non soltanto l’abbandono delle politiche di austerità, ma la modifica dei trattati che le hanno rese possibili. Tra i primi: l’abolizione e la ridiscussione a fondo del Fiscal Compact, che promette al nostro e ad altri Paesi una o due generazioni di intollerabile povertà, e la distruzione dello Stato sociale. Promuoviamo un’Iniziativa Cittadina (art. 11 del Trattato sull’Unione europea) con l’obbiettivo di una sua radicale messa in discussione. Chiederemo inoltre al Parlamento Europeo un’indagine conoscitiva e giuridica sulle responsabilità della Commissione, della Bce e del Fmi nell’imporre un’austerità che ha gravemente danneggiato milioni di cittadini europei.
6 - Siamo la sola forza alternativa perché non ci limitiamo a condannare gli scandali della disoccupazione e del precariato, ma proponiamo un Piano Europeo per l’Occupazione (Peo) il quale stanzi almeno 100 miliardi l’anno per 10 anni per dare occupazione ad almeno 5–6 milioni di disoccupati o inoccupati (1 milione in Italia): tanti quanti hanno perso il lavoro dall’inizio della crisi. Il Peo dovrà dare la priorità a interventi che non siano in contrasto con gli equilibri ambientali come le molte Grandi Opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, ad esempio il Tav Torino-Lione e le trivellazioni nel Mediterraneo e nelle aree protette. Dovrà agevolare la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili; la creazione di un’agricoltura biologica; il riassetto idrogeologico dei territori; la valorizzazione non speculativa del nostro patrimonio artistico; il potenziamento dell’istruzione e della ricerca.
7 - Siamo la sola forza alternativa perché riteniamo un pericolo l’impegno del governo di concludere presto l’accordo sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e l’Investimento (Ttip). Condotto segretamente, senza controlli democratici, il negoziato è in mano alle multinazionali, il cui scopo è far prevalere i propri interessi su quelli collettivi dei cittadini. Il welfare è sotto attacco. Acqua, elettricità, educazione, salute saranno esposte alla libera concorrenza, in barba ai referendum cittadini e a tante lotte sui “beni comuni”. La battaglia contro la produzione degli Ogm, quella che penalizza le imprese inquinanti o impone l’etichettatura dei cibi, la tassa sulle transazioni finanziarie e sull’emissione di anidride carbonica sono minacciate. La nostra lotta contro la corruzione e le mafie è ingrediente essenziale di questa resistenza alla commistione mondializzata fra libero commercio, violazione delle regole, abolizione dei controlli democratici sui territori.
8 - Siamo la sola forza alternativa perché vogliamo cambiare non solo gli equilibri fra istituzioni europee ma la loro natura. I vertici dei capi di Stato o di governo sono un cancro dell’Unione, e proponiamo che il Parlamento europeo diventi un’istituzione davvero democratica: che legiferi, che nomini la Commissione e il suo Presidente, e imponga tasse europee in sostituzione di quelle nazionali. Vogliamo un Parlamento costituente, capace di dare ai cittadini dell’Unione una Carta che cominci, come la Costituzione statunitense, con le parole «We, the people.…». Non con la firma di 28 re azzoppati e prepotenti, che addossano alla burocrazia di Bruxelles colpe di cui sono i primi responsabili.
9 - Siamo la sola forza alternativa a proposito dell’euro. Pur essendo critici radicali della sua gestione, e degli scarsi poteri di una Banca centrale cui viene proibito di essere prestatrice di ultima istanza, siamo contrari all’uscita dall’euro e non la riteniamo indolore. Uscire dall’euro è pericoloso economicamente (aumento del debito, dell’inflazione, dei costi delle importazioni, della povertà), e non restituirebbe ai paesi il governo della moneta, ma ci renderebbe più che mai dipendenti da mercati incontrollati, dalla potenza Usa o dal marco tedesco. Soprattutto segnerebbe una ricaduta nei nazionalismi autarchici, e in sovranità fasulle. Noi siamo per un’Europa politica e democratica che faccia argine ai mercati, alla potenza Usa, e alle le nostre stesse tentazioni nazionaliste e xenofobe. Una moneta «senza Stato» è un controsenso politico, prima che economico.
10 - Siamo la sola forza alternativa perché la nostra è l’Europa della Resistenza: contro il ritorno dei nazionalismi, le Costituzioni calpestate, i Parlamenti svuotati, i capi plebiscitati da popoli visti come massa amorfa, non come cittadini consapevoli. Dicono che la pace in Europa è oggi un fatto acquisito. Non è vero. Le politiche di austerità hanno diviso non solo gli Stati ma anche i popoli, e quella che viviamo è una sorta di guerra civile dentro un’Unione che secerne di nuovo partiti fascistoidi come Alba Dorata in Grecia, Jobbik in Ungheria, Fronte Nazionale in Francia, Lega in Italia. All’esterno, poi, siamo impegnati in guerre decise dalla potenza Usa: guerre di cui gli Stati dell’Unione non discutono mai perché vi partecipano servilmente, senz’alcun progetto di disarmo, refrattari a ogni politica estera e di difesa comune (il costo della non-Europa in campo militare ammonta a 120 miliardi di euro annui). Perfino ai confini orientali dell’Unione sono gli Stati Uniti a decidere quale ordine debba regnare.
L’Europa che abbiamo in mente è quella del Manifesto di Ventotene, e chi lo scrisse non pensava ai compiti che ciascuno doveva fare a casa, ma a un comune compito rivoluzionario.
Oggi L’Altra Europa con Tsipras presenta la proprie liste elettorali nei 5 capoluoghi di circoscrizione, forte delle più di 220 mila firme raccolte in un mese per rendere possibile la nostra partecipazione alla scadenza delle elezioni del Parlamento europeo. Lo faremo con iniziative gioiose e colorate, intanto perché festeggiamo questo risultato, che una legge elettorale perlomeno di dubbia legittimità costituzionale rendeva quasi impossibile da realizzare. E poi anche perché, per noi, la raccolta delle firme ha rappresentato a tutti gli effetti l’apertura della campagna elettorale e questa scelta — al di là dell’obbligo di legge — è già un timbro di come la intendiamo. Il rapporto diretto con centinaia di migliaia di persone, il fatto di aver ragionato con ciascuno di loro sulle ragioni e sui contenuti che qualificano la lista. Non una riedizione di esperienze già compiute in passato ma un’ operazione inedita. Facendo leva, contemporaneamente, sui soggetti politici (Sel e Rifondazione Comunista) e sociali organizzati che condividono quest’approccio e su quelle realtà di sinistra diffusa e di cittadini impegnati che in questi anni sono stati protagonisti di tanti conflitti e proposte nelle vertenze nazionali e territoriali. Con la disponibilità di tutti di mettersi in discussione e di provare ad uscire dai recinti e da una dimensione settoriale che per troppo tempo ha caratterizzato le esperienze politiche e sociali da diversi anni in qua.
220 mila firme in un mese, un dato — per usare un riferimento un po’ improprio — che corrisponde al numero delle firme necessarie in 3 mesi per indire un referendum. È stato possibile perché ci siamo dotati di un minimo di organizzazione, con un nucleo centrale e una rete diffusa di centinaia di militanti e volontari, i primi protagonisti dell’attività concreta della raccolta delle firme, ma, ancor più, perché abbiamo raccolto un bisogno di nuova politica, di chi vuole fuoriuscire dai populismi più o meno dolci di Renzi e Grillo e misurarsi realmente con la necessità di far camminare un progetto di trasformazione reale degli assetti di potere esistenti e di uscire da una logica, apparentemente oppositiva ma in realtà non così dissimile, di chi si appiattisce sulle “riforme strutturali” che vengono imposte da Bruxelles e di chi ipotizza irrealistici ritorni alla “sovranità nazionale”, che da sola non potrebbe comunque uscire dai vincoli dettati dai mercati internazionali.
Ci aspetta ora la sfida difficile, di una campagna elettorale che sappiamo si proverà a contrassegnare con una rappresentazione falsata tra chi sta con l’Europa, magari limando le politiche di austerità, e chi si oppone ad essa, con relativo corollario tra chi è favorevole e chi è contrario all’euro. E che tenterà di oscurare la presenza della lista dell’Altra Europa per Tsipras, magari dipingendola come puro residuo di una sinistra passatista e magari anche litigiosa. Sta a noi, ai tanti e diversi che si stanno impegnando in questo progetto, far emergere un percorso inedito e condiviso al di là delle appartenenze e delle esperienze di provenienza. Che si unifica appunto nell’idea di un’altra Europa e che si può ben identificare in un approccio che, dentro la più grave crisi del capitalismo dagli anni ’30 del secolo scorso, è radicale nei contenuti che propone, maggioritario nello sguardo della propria proposta, innovativo nelle forme della discussione e dell’agire politico. L’esperienza della raccolta delle firme ci dice che tutto questo è possibile, che, tra il subire le politiche dell’austerità e dei sacrifici e limitarsi a urlare la propria indignazione, si può pensare di percorrere la via della trasformazione e del cambiamento.
Dopo il nuovo fallimento della «Rivoluzione Civile» di Ingroia alle elezioni successive del 2013, quello dell’alleanza «Italia Bene Comune» tra Sel e Pd che ha preferito le «larghe intese» con Berlusconi e oggi con Alfano, dopo l’affermazione del Movimento 5 Stelle di Grillo, Tsipras è tornato in Italia come «Papa straniero». Ha federato i residui di quell’esperienza (Rifondazione Comunista e Sel, ma non il Pdci) con altri soggetti o raggruppamenti come Alba, per il momento in vista delle europee. Sulla continuazione di questa esperienza, ad oggi tenuta insieme dal prestigio intellettuale dei suoi «garanti» (Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli, Guido Viale) poco, o nulla, si sa. Per il momento avanza la suggestione per una figura politica, che ha attraversato il movimento No Global, si è poi messo a fare politica senza mai rinunciare aalle sue idee politiche. Un esempio di coerenza e lungimiranza che oggi viene riconosciuto a livello internazionale.
Il libro di Pucciarelli e Russo Spena è il primo a raccontare, da sinistra, la storia di una battaglia impari, quella di un Davide greco, per di più di «sinistra radicale» contro i poteri forti in Grecia e il Golia tedesco in Europa. Un Davide che un sondaggio Mrb per il sito Real .Gr viene dato al 19,9% contro il 19,7 di Nuova Democrazia del primo ministro Antonis Samaras alle europee. I sondaggi per le prossime politiche ad Atene conferiscono al partito di Tsipras la maggioranza relativa e la definitiva cancellazione del Pasok – il Pd greco – responsabile dei quattro memorandum e delle politiche di austerità imposte dalla Bce, dalla Ue e dall’Fmi che hanno distrutto la Grecia. Con queste elezioni europee Syriza si è messa alla guida «della resistenza europea al neoliberismo» sostiene Tsipras nell’intervista rilasciata agli autori del libro. L’operazione è intelligente: dal suo punto di vista, il leader greco conduce una battaglia importante a livello continentale e sta usando la sua campagna elettorale per prepararsi a vincere le elezioni in patria.
È questa la lezione machiavelliana che Syriza ha imparato stando nelle lotte, durissime, condotte dalla società greca contro i governi delle larghe intese e le politiche di austerità. Una scelta difficilissima, quella di «stare nel gorgo» di una lotta, nelle sue contraddizioni, nel dramma di uno scontro che ha saputo dispiegare efferatezze, da entrambe le parti.
Radicamento sul territorio, costruzione di coalizioni con sindacati e movimenti di diversa ispirazione, ampia e articolata dialettica interna che Pucciarelli e Russo Spena definiscono una «babilonia» saldata dall’organizzazione di Syriza ma soprattutto dal carisma del suo leader 39enne. La sfida del governo non sarà facile per Tsipras che guida un partito che affronta l’aggressività interna, anche dei nazisti di Alba Dorata, e soprattutto gli attacchi della dittatura europea della Troika.
Il suo programma è solidamente socialdemocratico, neo-keynesiano, europeo e non nazionalistico, «avvicinabile a un neo socialismo di stampo latinoamericano» scrivono gli autori. La proposta per l’Europa è di riscriverne i trattati e promuovere un New Deal, un grande piano di investimenti pubblici per lo sviluppo. Per fare tutto questo, Syriza punta sulla virtù e sulla fortuna, elementi che non gli sono mancati dal 2004 ad oggi. Il libro sarà presentato domani a Roma al Forte Fanfulla alle 20 con Barbara Spinelli, Sandro Medici e Argiris Panagopoulos. Modera Daniela Preziosi.