Veneto City, il colosso che scuote il Nordest
di Adriano Favaro
L'esempio del terzo Veneto , il futuro di una regione che deve esporre le sue eccellenze. Capitale che sfida Parigi, Barcellona, Londra. O l'esempio del cuore di pietra in cui si è trasformata questa regione che, dopo i capannoni, pretende di sviluppare ancora cemento, torri e alberghi in mezzo alla campagna. Perfino il nome di questa operazione è simbolo del doppio che rappresenta: "Veneto City ". Doppio perché da quando si è cominciato a discutere del progetto - una delle più grandi operazioni edilizie mai pensate in Italia, su un'area di oltre 50 campi da calcio, nei comuni di Dolo, Pianiga e Mirano a metà strada tra Padova e Mestre, in Riviera del Brenta - il fronte dei no e dei sì è diventato subito scottante.
Il progetto "documento preliminare" è arrivato - 80 pagine - in municipio di Dolo lo scorso ottobre. "È la nuova vetrina del Veneto e dell'Italia del Nord" hanno detto i promotori. Con in testa Luigi Endrizzi, ingegnere (sua l'idea dell'Ikea, Padova) che conserva il suo stile: «Non abbiamo presentato un progetto e ora non facciamo interviste o discorsi. La questione è nelle mani dei Comuni interessati e alle istituzioni: loro devono scegliere». Il complesso comprende una specie di Parco scientifico, Ikea e Cinecity; torre telefonica-tv e alcuni alberghi.
La decisione apre un problema per il Nordest: possono 20, 40, 60 consiglieri comunali decidere di un'opera che sposta il baricentro socio-economico di una regione?
Vi dovrebbero lavorare diecimila persone, 60-70 mila auto. Si pensa anche di spostare la stazione ferroviaria di Arino. Il territorio della City è nel cuore degli incroci del nuovo Veneto: passante, autostrada, ferrovia.«C'era già l'edificabilità - spiega Endrizzi - Proponiamo un'opera di alto profilo». La Regione non ha fatto mosse ufficiali. Un anno fa il governatore Giancarlo Galan (ad un Rotary) ha esposto le sue idee: «Veneto City non è un mostro che sconvolge il territorio. L'agricoltura qui ormai non ha più senso, lo sviluppo passa per la logistica». Bene se non ci fosse di mezzo la Porto Marghera da risanare, area dismessa che aspetta il rilancio. Area per la quale Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, non si risparmia. Dal 2006 dice: «Non sprechiamo territorio». Aggiungendo: «Fare Veneto City è un'idea delirante». La primavera scorsa alla fiera immobiliare di Milano: «Stop a Veneto City. Il futuro è a Marghera. Ai bordi della laguna ci sono duemila ettari da riutilizzare». A Milano la Regione era assente e molti hanno letto in questo il braccio di ferro Galan-Cacciari. Quest'ultimo poi all'Unione industriali veneziani ha posto domande precise. E il presidente Antonio Favrin: «La piattaforma logistica la vogliamo a Marghera; ma con che governance?».
Tradotta la considerazione è: chi ci dà garanzie? Il Comune, la Regione? Chi governa? Giusta domanda anche alla luce delle considerazioni di Fabio Gava, assessore all'industria: «Il rilancio di Porto Marghera va bene. In questo modo Venezia verrà riconosciuta "capitale". Del resto che la città non ha mai guardato al territorio». In attesa Veneto City è riuscito a dividere.
«É un intervento insensato - commenta Edoardo Salzano, uomo di sinistra, docente universitario, per anni assessore al Comune di Venezia - Continuano a costruire cose che mi sembrano molto brutte sulle sponde del Brenta: quel canale è una meraviglia».
Anche l'architetto Guglielmo Monti, sovrintendente ai Meni architettonici del Veneto Orientale è perplesso: «Si può parlare male di questa iniziativa, così come quella della "città della moda". Dal mio punto di vista sono due pericoli per il territorio, minacce nel senso che se si costruiscono grossi centri si svuoteranno gli altri, i più vecchi. Io devo salvaguardarli invece. In decenni di capannoni non si è imparato niente. Sembra essere tornati ad un nuovo Far West edilizio. Il mio potere? Poco. Il paesaggio è protetto fino a 150 metri dai bordi dell'acqua del Brenta. Dopo no. Il fatto è che qui si sono sviluppate forme di commercio e rendite finanziarie che esulano da turismo e agricoltura, che sono le grandi vocazioni di questa terra».
Lo sviluppo "ecocompatibile" è invocato anche dai sindaci di questa Riviera presa nello strabismo veneziano-padovano, da decenni arrancante nel rilancio di un'identità che nemmeno le ville più belle del mondo (sempre chiuse) riescono a darle.Salzano sa che i comuni di Dolo, Pianiga e Mirano si aspettano molto dalla "City" (Ici da decine di milioni). «Qui i soldi arrivano, guastano e vanno via. Lavorerà qualche manovale da fuori. Queste operazioni immobiliari non danno niente alla società». Però dovrebbe essere la vetrina del Veneto. «Se il veneto ha bisogno di cose moderne le faccia a porto Marghera. Qui serve pensare alla crisi dell'industria. É stato molto più facile fare soldi con l'immobiliare che investire in ricerca. Fiat e Pirelli hanno dirottato sull'immobiliare per anni». E se i palazzi fossero firmati da Foster o Piano? «'Ste robe le chiamano "mattone col pennacchio". Ma sono sbagliate e basta. Temo che qui nemmeno il pennacchio...».
Non può approvare l'ingegner Endrizzi: «Quell'area è già lottizzabile. Meglio una incerta lottizzazione, un capannone dopo l'altro o un piano preciso? Decidano i comuni. La nostra idea è tutta da discutere e concordare, con un tavolo ampio dove oltre a Regione ci siano Provincia di Venezia, Comuni, Autostrade, Ferrovie, i protagonisti dello sviluppo di quest'area». Dove i terreni (ex agricoli) sono saliti anche sei volte di prezzo.
Furibondo è Ivone Cacciavillani: «Faccio l'avvocato e dico che occorre essere seri nelle norme urbanistiche. Forse Veneto City sarà la cosa più bella del mondo ma deve esserci coerenza tra le norme della Pubblica Amministrazione. Quante cose non vanno, non è tollerabile quello che sta accadendo qui e altrove. Prenda Padova: luoghi dove ci sono negozi invece destinati a verde pubblico e si rimedia tutto (dopo) con una variante. Andremo avanti a tutte le corti del mondo. Servono modifiche ai piani? Siano fatte secondo legge e non attraverso chissà quali cambi per avere qualche euro di Ici. Se però si creano 10mila posti di lavoro ci saranno 10 mila al mattino; e la sera. Più che il "Turco infame" e l'"Innominabile" (termine che Cacciavillani usa per Napoleone) la Serenissima è stata distrutta e affossata da Cini e Volpi. Invoco chiarezza in tutti gli atti amministrativi».
Insomma di variante in variante le aree agricole non dovrebbero diventare edificabili magari dopo che le ha acquistate qualcuno.
Anche Rosanna Brusegan, la docente che con "Italia Nostra" ha dato vita al confronto pubblico di sabato a Dolo - ore 15,30 all'ex macello - chiede una cosa simile: «Le amministrazioni devono parlare: finora ho trovato solo silenzioso. Desidero trasparenza per i gesti che impegnano nel futuro questa terra. Le uniche fonti di informazioni sono i giornali. Sono offesa nella mia dignità di cittadina, vogliamo sapere».
La politica locale una risposta l'ha già data: il presidente della provincia di Venezia Davide Zoggia (Pd) lo scorso anno ha detto: «Sì a Veneto City, d'accordo col comune di Dolo, ma solo dentro le aree già destinate per quel ruolo dal piano regolatore. Nessuna variante cioè».
Il sindaco di Dolo Antonio Gaspari (Margherita) - era vicesindaco durante il mandato di Claudio Bertolin il primo cittadino che fermò per due anni il progetto di Veneto City cercando di avere più informazioni possibili - non nasconde il suo assenso: «Veneto City deve essere opportunità, non pericolo». E poi si è buttato alla ricerca di un pool di esperti per avere chiarezza sugli effetti dell'opera. A Dolo intanto le opposizioni (Forza Italia, socialisti e Udc) rumoreggiano. L'attuale vicesindaco, Adriano Spolaore (ex ds) è un altro politico che apprezza Veneto City e che non si pone il dubbio se si tratti di una mostruosa opportunità per il terziario o di un mostro ecologico.Appoggia e a volte sopravvanza il suo sindaco che sostiene il progetto, in linea col piano territoriale provinciale: «Veneto City è una risorsa e non una speculazione» sostiene appena - ottobre 2007 - Endrizzi presentò la proposta per la del quale Bepi Stefanel, uno degli imprenditori interessanti aveva detto: «Un sistema stellare, del quale il pianeta principale sarà costituito dal centro servizi dedicato a ricerca, innovazione, marketing e analisi dei nuovi mercati».
«Qualsiasi futuro ormai è di stile metropolitano»
di Stefano Micelli
(A.F.) Stefano Micelli è docente universitario, presidente del Coses, il Consorzio formato dalla Provincia e dal Comune di Venezia per lo studio di economia e società.
Veneto City: orizzonte o scempio del futuro?
«La Provincia di Venezia corre su due dorsali, terraferma segnata dal passante e la gronda lagunare. In questo momento il passante ricolloca il futuro su quattro ruote: ogni casello diventa un polo di attrazione straordinario».
Mentre la laguna...
«In questo momento è vista e vissuta in termini di "tutela e turismo". Non si può pensare ad altro futuro per quest'area che è l'altra faccia della medaglia del Veneto che si sviluppa».
Un'area che vive ancora con "sussidi".
«Negli ultimi 500 anni la tutela della laguna è stata legata allo sviluppo delle iniziative, anche commerciali in terraferma».
Quindi il rilancio di Marghera?
«Non è solo uno sbilanciamento di una polarità ma un modo diverso di pensare ad ambiente e territorio che affidiamo a leggi speciali. Per Marghera serve il rilancio di attività compatibili con gli ambienti lagunari: residenziale, logistica (porto), turistico (completando accoglienza e ricezione anche in Marghera)».
Il futuro non sembra passare facilmente per Marghera?
«Oggi la dorsale del passante avrà un futuro di per sè. È la dorsale acquatica che ha problemi. Anche perché finora (vedi lancioni) la tutela è pubblica il guadagno privato. Pensare a Marghera vuol dire pensare al futuro della laguna».
Tornando a Veneto City...«Meglio così che cinque "mini Veneto City", uno ad ogni casello»
Le dispiacerebbe...
«Perdere l'attenzione su "laguna-Marghera". Un'area sulla quale il mondo ha fatto tesoro, da Barcellona a Valencia hanno guardato a noi».
Cosa manca?
«La sensazione che ho io è che qui manchi uno scatto culturale».
L'asse Padova-Venezia?
«Oggi chi governa le due città non ha più spirito solo "municipale". Io lotto perché ci sia un solo biglietto (tram, treno, bus..) per le due città Per chi ha 40 anni Padova e Venezia sono un'unica esperienza»
Condivido lo sforzo di presentare il territorio in modo visibile a chi viene da fuori?
«Chi viene da fuori deve avere "segnali di Metropoli". Mi chiedo perché no a Marghera? Lo deve decidere la politica. Non possiamo permetterci che gli altri continuino a vederci come somma di piccoli campanili. Il nostro spazio non può continuare a d agire senza una "cifra" metropolitana. La crescita oggi è da metropoli: che qui, o altrove, si deve fare».
«La faccenda non ci piace diciamo no a quel mostro»
(A.F.) Davvero quello il luogo ideale per il futuro del Veneto? Se parlate con Maurizio Franceschi, Confesercenti di Venezia sentite subito il no. Lo stesso che da anni usan Albonetti (Confesercenti del Veneto): «Marghera attende il riscatto». Lo stesso di Nicola Rossi, Confesercenti di Padova: «No a Veneto City, non s'ha da fare». E' in questo dibattito che nasce anche l'idea di spostare la fiera di Padova a Dolo. Uno sbarco che parrebbe non sgradito a Vittorio Casarin (Presidente della provincia di Padova e uomo che conta nella società autostradale): «Serve una fiera interprovinciale», ha fatto sapere. Che queste però non siano prove di città metropolitana lo sostiene anche Ferruccio Macola della "GL Events, Fiera di Padova: «Il mercato dice che Veneto City oggi non è un grande investimento; forse fra 15 anni. Ma se la politica dice che si va a Dolo noi andiamo».
Replica di Fernando Zilio, Ascom padovana: «Noi categorie alimentiamo la Fiera. Perché andarcene? Chi paga»? A Padova il dibattito è intenso. Dice l'assessore Ivo Rossi: «Veneto City? Come mandare gli operai in campagna: un non luogo». Riprende Maurizio Franceschi Confesercenti di Venezia: «Il problema resta la gestione del territorio Veneto, città diffusa. Dobbiamo riguardare al "policentrismo" che aveva un ruolo. C'è una regione marmellata. Le città devono garantire le funzioni». Perché se si continuano a realizzare strutture «e non parlo solo di commercio ma anche di intrattenimento - insiste Franceschi - ovviamente si svuota la città di funzioni. Senza dimenticare in queste faccende la mobilità. Il passante sta risolvendo problemi ma ne vediamo anche gli aspetti negativi. È partito Veneto City ma chi ci dice che ad ogni casello non si voglia fare una cittadella del commercio?». Domanda giusta. «Mai possibile - aggiunge Franceschi - che gli interventi di questo tipo non debbano essere visti su scala regionale, con una programmazione che dica quali debbano essere i nuovi poli». Confcommercio dice che il Veneto che verrà ha bisogno di un'accelerata sulla programmazione: «Si sta ripetendo quello che si è fatto finora: tanti investimenti immobiliari e vai. Così, senza un programma. Io dico che grande distribuzioni e le multisale (che rischiano di diventare baracconi) dovrebbero ormai entrare nelle città». Insomma guerra ai non-luoghi fino al punto, per Franceschi di dire: «Di Veneto City dò un giudizio molto negativo: crea occupazione ma si mangia lo spazio. Toglierà funzioni e ruolo alle città. E si risanerà anche Marghera? E il "Marco Polo City"? In questo grande outlet manca il governo del territorio».