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Università: Bocciare e premiare per poter tagliuzzare
25 Luglio 2009
Articoli del 2009
Due giudizi diversamente critici dell’operazione pseudo-meritocratica sull’università italiana: Nadia Urbinati (la Repubblica) e Alba Sasso (il manifesto) del 25 luglio 2009

La Repubblica

QUELLE PAGELLE DA RIVEDERE

di Nadia Urbinati

Nel World university rankings 2008, il nostro sistema universitario piazzava soltanto 7 atenei e per giunta nei posti bassi della classifica: il primo ateneo italiano menzionato era quello di Bologna e si trovava al 192° posto.

Altre sei università (Roma-La Sapienza, il Politecnico di Milano, gli atenei di Padova, Pisa e Firenze e l’università Federico II di Napoli) erano tra le prime 400. Si tratta senza dubbio di una inequivocabile bocciatura, resa nota per giunta proprio mentre la Gelmini (era il mese di febbraio) si apprestava a mettere a punto la strategia dei tagli agli "sprechi". Il ministero ha compilato pagelle e dato voti. In palio ci sono i soldi: più a chi ha passato l’esame dei requisiti decisi dal ministero, meno agli altri. Tra i requisiti ovvero gli incentivi ci sono vari fattori, tra i quali la capacità degli atenei di usufruire delle risorse europee e nazionali per la ricerca o di aver sfornato più laureati. Ma due criteri di giudizio su tutti spiccano: la qualità della ricerca e la qualità della didattica. Nel primo caso pare si sia tenuto conto delle valutazioni della conferenza dei rettori sulla qualità della ricerca in base a parametri internazionali, del numero dei ricercatori e dei docenti che hanno partecipato a progetti di ricerca italiani valutati positivamente e della capacità delle università di intercettare finanziamenti europei per la ricerca. Nel secondo caso, la qualità della didattica è stata valutata in base "alla percentuale dei laureati che trovano lavoro a tre anni dal conseguimento della laurea, alla capacità degli atenei di limitare il ricorso a contratti e docenti esterni evitando il proliferare di corsi ed insegnamenti non necessari e affidati a personale non di ruolo".

Per dare una valutazione complessiva di questa distribuzione proporzionale delle risorse pubbliche agli atenei pubblici occorrerà tempo. Un altro tema che occorrerebbe poter valutare è chi seleziona i "giudici" che stilano pagelle e come i criteri vengono applicati. Ho avuto modo di partecipare a una commissione di valutazione di un ateneo americano e posso dire che si tratta di un lavoro complesso che ha portato via un intero anno accademico. La ministra ha messo in piedi la sua pagella in pochissimo tempo benché con molta propaganda. È sperabile che i suoi tagli e le sue pagelle abbiano considerato il fatto che nell’Unione Europea, l’Italia si colloca alle ultime posizioni per numero di giovani laureati; che molte delle nostre biblioteche universitarie versano in condizioni pietose; che molti atenei sono costretti ad accorpare dipartimenti con l’esito prevedibile che mentre il ministero risparmia, gli studenti e la ricerca ci perdono. La logica da "economia domestica" che ha caratterizzato fin dall’inizio questo ministero rende obbligata la diffidenza nei confronti di strategie punitive che sembra tendano a fare dell’accademia italiana quello che è stato fatto con le Ferrovie dello Stato: l’Alta Velocità come specchio per le allodole per far dimenticare o non far vedere in quali condizioni disastrate e disastrose versa la maggioranza dei treni, con grandissimi disagi per la stragrande maggioranza degli italiani.

il manifesto

UNIVERSITÀ AFFONDATA

di Alba Sasso

Le misure sull'Università adottate dal consiglio dei Ministri cercano di presentarsi come un momento di innovazione e di svolta, ma sono schiave della logica della legge 133, il famigerato decreto Tremonti contro il quale si sviluppò il movimento dell'Onda. A fare da sfondo il pesante ridimensionamento del fondo di funzionamento ordinario. Un miliardo e mezzo di euro in meno in tre anni che creano nei bilanci delle Università un buco da paura.

E questo mentre in altri paesi europei investire nell'istruzione e nella ricerca sta diventando in questo momento una scelta per arginare la crisi.

L'Italia, così, rimane l'ultima dei 18 paesi Ocse sia per quote di Pil destinate all'Università, sia per quote di Pil destinate alla ricerca. Ed è recentissima la scelta di Obama di destinare ben 40 miliardi di dollari a scuola e Università.

Gelmini annuncia con grande enfasi la nascita dell'Agenzia nazionale di valutazione (Anvur), creatura del ministro Mussi, non solo dopo averla ritardata di un anno, ma anche dopo averla resa un po' meno indipendente. E con la stessa enfasi racconta di merito e di qualità. Ma è mai possibile che un fondo di premialità, per di più in periodo di pesanti tagli, affossi alcune Università per premiarne altre, come in una sorta di Robin tax alla rovescia?

Oltre tutto i criteri di valutazione adottati, peraltro decisi autocraticamente dal ministro, sembrano discutibili e in alcuni casi cervellotici. Per fare un esempio, le Università meridionali soffrono del blocco da parte del governo dei fondi Fas, destinati agli investimenti in strutture e in edilizia, elementi che però sono rilevanti nella valutazione della qualità. Come dire: ti blocco i fondi, poi giudico inadeguate le tue strutture e per questo ti tolgo altre risorse. E ancora, perché tra i criteri di valutazione sul terreno della ricerca non è stata tenuta in considerazione anche la partecipazione di molte università meridionali al Fondo sociale europeo per progetti di ricerca legati allo sviluppo del sistema produttivo, che tanti risultati hanno avuto in termini di creazione di brevetti, di spin-off, di distretti tecnologici? O, se un criterio è quello della possibilità dell' occupazione degli studenti nell'arco di tre anni dalla laurea, come si fa a imputare la disoccupazione dei laureati alle Università e non alle realtà territoriali che queste hanno alle spalle? Qualche settimana fa il rapporto Svimez ci ha raccontato della rilevanza della nuova emigrazione intellettuale dal Sud. Anche questo colpa delle università spendaccione?

Insomma un gioco delle tre carte. Si tagliano risorse e si vuol far credere che si sta facendo un'innovazione. Anziché aggredire gli squilibri nel sistema universitario potenziandone la qualità complessiva e sostenendo chi cerca di migliorare, si condanna al degrado una parte grande della nostra realtà universitaria. Cresce così, anche per questa via, un dualismo che incrementa disparità e diseguaglianze nel nostro Paese.

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