Una lettera al direttore sul tema alimentare e ambientale, solleva indirettamente temi urbanistici assai aperti anche su questo sito: come arginare efficacemente e non velleitariamente il consumo di suolo con criteri validi? Corriere della Sera, 19 febbraio 2015, postilla (f.b.)
Caro direttore, nel suo videomessaggio ai partecipanti a «Le idee di Expo 2015» ( Corriere della Sera, 3 febbraio) papa Francesco ha detto che «ci sono pochi temi sui quali si sfoderano tanti sofismi come quello della fame; e pochi argomenti tanto suscettibili di essere manipolati dai dati, dalle statistiche…». Sono parole che denunciano una consuetudine che dura da tempo e che non riguarda solo la fame nel mondo ma anche altri temi legati al cibo, come la produttività agricola e la sostenibilità dei metodi di coltivazione.
Dobbiamo oggi produrre più cibo? Coloro che hanno interesse a che si consumino sempre più concimi e pesticidi di sintesi, o che si faccia ricorso a piante geneticamente modificate, dicono di sì perché ci sono ancora 800 milioni di persone che soffrono la fame. È un sofisma vero e proprio perché i dati della Fao (Food and agriculture organization) dicono che oggi si produce una quantità di cibo che sarebbe sufficiente a nutrire tutti gli abitanti di questo pianeta, se non ci fosse quel deprecabile 30 per cento di spreco e se i Paesi ricchi avessero comportamenti più solidali nei riguardi di quelli poveri.
Dobbiamo produrre di più in futuro per una popolazione che aumenta? Le previsioni sono che nel 2050 ci saranno da nutrire circa 9 miliardi di persone, cioè il 30 per cento in più della popolazione attuale. I dati elaborati recentemente da esperti ci dicono che, per quell’epoca, la domanda globale di cibo potrebbe raddoppiare ( Global food demand and the sustainable intensification of agriculture , Pnas 2011; www.pnas.org).
E allora si deve raddoppiare la produzione con tutti i problemi di sostenibilità che ne possono derivare? Assolutamente no: basterà aumentarla di poco, se si interviene fin da subito per evitare lo spreco di alimenti ed educare le persone a seguire un regime alimentare equilibrato e sostenibile, tendenzialmente vegetariano come quello della piramide alimentare. Inoltre, è inaccettabile dal punto di vista etico sottrarre al consumo umano una fetta consistente di prodotti alimentari dirottandola verso la produzione dei biocarburanti e dei biogas. La terra sicuramente ci ringrazierà.
Quanto poi alla sostenibilità della produzione agricola, è noto che l’incremento di produttività raggiunto dall’agricoltura moderna (cioè convenzionale) è stato ottenuto senza badare alla sostenibilità. Oggi si discute approfonditamente su come rendere l’agricoltura sostenibile senza ridurre la produttività, ma non si prende mai in considerazione l’opzione dell’agricoltura biologica, di cui la biodinamica è una forma peculiare (proprio domani a Milano apre i battenti il suo trentatreesimo Congresso, in collaborazione con la Bocconi).
Eppure la ricerca sta provando che si tratta di un metodo agricolo che è sostenibile, e risultati scientifici recenti provano che, se si fanno scelte agronomiche corrette, la produttività si avvicina a quella dell’agricoltura convenzionale. In caso di agricoltura di sussistenza, può anche essere superiore: lo dimostrano studi come Sustainability of organic food production: challenges and innovations (Proceedings of the nutrition society 2015) e Comparing the yields of organic and conventional agriculture ( Nature, 2012).
Papa Francesco ha chiuso il suo videomessaggio ricordando che gli uomini sono «custodi e non padroni della terra». Vale la pena di far presente che, per dominare la terra, l’agricoltura convenzionale usa armi come gli insetticidi fosforganici, che hanno la stessa matrice dei gas nervini, e concimi come i nitrati, che sono anche la materia prima per fabbricare esplosivi. ( Coltura della terra e qualità del cibo ; www.valorealimentare.it). Il dilagare di tante malattie degenerative è l’inevitabile conseguenza della sofferenza di questa terra resa schiava.
Matteo Giannattasio è Medico e agronomo, già ordinario di Fisiologia vegetale Università di Napoli
postilla
Da un lato la popolazione crescente del pianeta, dall'altro tecniche agricole attualmente insostenibili, che se così praticate per nutrire questa popolazione finirebbero per provocare una grave crisi ambientale, oltre a non risolvere alla lunga alcun problema. Sono, questi due aspetti, quello della popolazione e quello ambiental-territoriale, a ben vedere i medesimi temi su cui si sviluppa indirettamente la discussione indotta dall'intervento di Marco Ponti su ArcipelagoMilano, a cui ha prima replicato Sergio Brenna sul suo profilo Facebook, poi ripreso e commentato a sua volta da Edoardo Salzano su questo sito. Ponti, pur indulgendo forse un po' troppo – come sospetta Salzano – nella provocazione intellettuale, indignando Brenna che invece prende le sue provocazioni un po' troppo programmaticamente alla lettera, di fatto cita un dibattito ampiamente in corso a livello internazionale, sulla tutela delle superfici agricole dall'espansione o dispersione urbana. L'argomentazione di chi è favorevole a un (pur controllato e pianificato, va detto) allentamento dei vincoli di intangibilità del verde agricolo, è più o meno la stessa che usava Umberto Veronesi contro chi si opponeva al suo progetto di grande centro ricerche nella greenbelt milanese: quello non è verde, sono solo sterpaglie. Ponti, più precisamente, si riferisce (come del resto fa il professor Giannattasio nella sua lettera) alle forme di uso del territorio, più o meno reversibili, attuali, che di naturale hanno assai poco, e che forse a volte avrebbero proprio da guadagnare convertendo superfici a usi urbani. Ma si tratta, appunto, di stabilire criteri ambientalmente, socialmente, economicamente, stretti. Non certo di fissare principi generali del tutto teorici (come quello dei prezzi delle abitazioni, caro alla destra liberista) in un senso o nell'altro. Altrimenti si rischia l'inutile e rischiosa contrapposizione ideologica, che finisce regolarmente per favorire interessi particolari, non certo quelli della collettività (f.b.)