MILANO
Gerardo D’Ambrosio è in pensione da qualche mese, dopo quarantasei anni di magistratura. Procuratore a Milano, ha vissuto per intero la vicenda giudiziaria di Tangentopoli, dall’arresto di Mario Chiesa in poi, e ha subito le conseguenze di molte polemiche e di infiniti attacchi. Poco più di un anno fa, a proposito di una delle tante manovre per bloccare i processi milanesi, commentò con parole durissime: «È la notte della democrazia». Adesso uno di quei processi è arrivato a sentenza.
Signor procuratore, la notte può apparire meno scura?
«È estremamente importante che nel contesto difficile che tutti conosciamo si sia riusciti comunque ad arrivare alla decisione di primo grado. Questo dimostra in modo del tutto evidente che la nostra democrazia, se pure giovane, funziona, che la nostra democrazia è forte. Sotto il profilo della giustizia è positivo, profondamente positivo, aver raggiunto questo risultato, nonostante tutte le tecniche dilatorie che sono state poste in essere contro la sentenza. Tecniche dilatorie che sono state da tutti riconosciute come esasperate, tanto esasperate che persino gli avvocati penalisti hanno in modo aperto criticato una politica giudiziaria, in questa legislatura, così influenzata da questa vicenda. Si sono allungati i tempi del processo in modo anomalo. Si sono contate in tre anni otto ricusazioni. A questo punto davvero la notte può apparire meno oscura. Quei tentativi di dilazione erano compiuti in attesa di una soluzione che intervenisse prima della sentenza e che venisse data dal Parlamento. Il Parlamento invece non ha voluto dare un colpo di spugna e quindi, sotto questo profilo, anche nella maggioranza non si è voluto dare un colpo di spugna, a proposito peraltro di episodi anteriori all’assunzione di incarichi parlamentari. Abbiamo assistito a una mobilitazione che ha contribuito a dissuadere il Parlamento e una parte della maggioranza a ricorrere a ulteriori espedienti, come quelli rappresentati da alcuni disegni di legge sulla sospensione dei processi a carico di parlamentari. E mi riferisco in particolare al progetto di legge 3393, firmato dall’onorevole Nitto Palma, che è stato presentato, ma non è stato approvato. Il che significa che per il Parlamento vale ancora il principio della nostra Costituzione secondo il quale la legge è uguale per tutti, anche se vi è un articolo, il 68, che comunque introduce dei temperamenti, perché è noto che per la cattura, per le perquisizioni, per le intercettazioni telefoniche e per l’acquisizione di tabulati occorre comunque che vi sia una autorizzazione parlamentare.
Si può dire che in qualche misura questa sentenza potrebbe aiutare a voltare pagina...
«Bisogna anche dire che questo disegno di legge di cui si temeva l’approvazione e con cui si sarebbe tentato di differire questa pronuncia, sarebbe stato assai pericoloso in un sistema maggioritario, perché si prevedeva in questo modo la sospensione del processo alla fino alla conclusione del mandato sulla richiesta del parlamentare senza alcun motivazione sul fumus persecutionis. Sarebbe diventato una forma di immunità per la maggioranza, senza alcun tutela per la minoranza. Nel contesto generale, nonostante le traversie, questo fa sperare in un diverso orientamento futuro della politica giudiziaria e soprattutto che si vada nella direzione di rendere più rapidi i processi per giungere a sentenza in tempi ragionevoli, così come indica la Costituzione».
Un fatto positivo, ovviamente, a prescindere dagli undici anni di condanna...
«Teniamo conto che si tratta sempre di una sentenza di primo grado...».
Una sentenza che ha peraltro assolto l’imputato Verde...
«E che dimostra dunque che la giustizia è sempre molto attenta, prima di condannare. A volte le tesi dell’accusa vengono accolte, a volte no. Questa è la logica del processo. Non è detto che tutto debba finire in condanna. Evidentemente in questo caso la tesi dell’accusa non è stata ritenuta fondata. Mi pare che anche questo rientri nella assoluta normalità. Bisogna dire che tante questioni sollevate rientrano nei meccanismi interni al processo, anche le questioni di competenza. Il processo è fatto di tre gradi, si vedrà».
Come giudica l’ultima, oserei dire estrema iniziativa del ministro Castelli, che ha chiesto proprio l’altro ieri documentazione al Tribunale di Milano per verificare la fondatezza dell’esposto annunciato da Previti contro i pm Boccassini e Colombo? Qualcuno, Carlo Fucci, presidente dell’associazione nazionale magistrati, ha accusato il ministro di interferenza...
«Questo rientra nei poteri del ministro Castelli. Non è la prima volta che la Procura di Milano viene sottoposta a queste indagini, che si sono poi rivelate infondate. Non giudico questa iniziativa una interferenza, dal momento che si è deciso che l’azione disciplinare dipenda dal ministro, che è nella possibilità dunque del ministro di aprire una inchiesta, è un suo diritto verificare come sono andati i fatti e poi archiviare... Insomma non mi fa meraviglia. Il ministro, lo sappiamo, molte volte ha preso iniziative analoghe nei nostri confronti. Il problema è non intaccare la credibilità delle istituzioni che da questo punto di vista dipendono una dall’altra. Se perde credibilità una, non è che le altre rimangano indenni».