ANTONIO MASSARI, Punta Perotti, ore contate per il mostro, il manifesto, 2 aprile 2006
BARI - Più che un’esplosione sarà una liturgia liberatoria: cinque secondi che potrebbero segnare la fine di un’era, di un sistema di potere, di decenni di politica fondata sul cemento. Cinque secondi per un nuovo inizio, in questa città che per vent’anni è stata soffocata dall’amianto della Fibronit, con la sua discarica in pieno centro; che di amianto ha trovato invasa pure la sua costa; che ha visto stuprare il teatro Petruzzelli, ancora oggi scheletrito, a quindici anni dal suo incendio. Una città che ha visto crescere, all’improvviso, un sipario di cemento a pochi metri dalla costa. Ma per Punta Perotti, simbolo nazionale dell’abusivismo selvaggio, oggi è l’inizio della fine.
Ieri è stata delimitata la «zona rossa», questa mattina all’alba inizierà una sorta di «coprifuoco », con blocco della circolazione di mezzi e pedoni. Poi si darà il via alla prima esecuzione, alle 10,30 del mattino. «E’ stata la battaglia giudiziaria più difficile della mia vita», dice il sindaco Michele Emiliano, ex pm antimafia. Una battaglia iniziata alla vigilia della sua elezione, quando dichiarò che, con lui sulla poltrona di primo cittadino, Bari avrebbe visto crollare lo scempio sulla costa. Promessa mantenuta. Oggi si comincia: 70 mila metri cubi sbriciolati dalla potenza di 150 detonatori, tre chilometri e mezzo di micce, 350 chilogrammi di tritolo, piazzati in più di mille fori, nei punti chiave dell’ecomostro più famoso d’Italia. Crollerà in diretta tv.
Non soltanto le emittenti locali, ma persino la Bbc si è accreditata per assistere all’evento, che sarà seguito da 250 giornalisti. Un evento che si spera simboleggerà un’inversione di tendenza, come dice il presidente di Legambiente Roberto Della Seta: «Dalla demolizione dell’ecomostro barese può e deve partire una nuova stagione della legalità, imperniata sulla necessità di rispettare le regole, non solo in campo edilizio e, di certo, non con la logica delle sanatorie».
In cinque anni, dal 2001 al 2005, in Italia sono stati realizzati 140 mila edifici completamente fuorilegge. Ecco perché quest’esplosione non riguarda soltanto i baresi: «E’ un giorno storico per Bari, per la Puglia, e l’Italia intera: il valore simbolico è enorme, siamo di fronte a una grande festa della legalità», dice Franco Chiarello, sociologo, membro dell’associazione «Città plurale », tra le prime a lottare contro Punta Perotti. Una festa della legalità anche secondo Alfonso Pecoraro Scanio, segretario dei Verdi, che ieri a Bari ha aggiunto: «E’ l’auspicio di ciò che porteremo nel programma del nostro governo: un cambio di legge che permetta la demolizione per direttissima di tutti gli abusi edilizi».
Il mostro, intanto, crollerà solo per un terzo: l’operazione si concluderà il 23 e 24 aprile, quando l’orizzonte a sud di Bari tornerà definitivamente libero: 300 mila metri cubi saranno svaniti nella polvere e dei tre palazzacci, di tredici piani ognuno, non resterà che una cicatrice sul terreno e un amaro ricordo. Il ricordo di una stagione che sembra al tramonto: quella del partito del mattone, della speculazione edilizia, della lobby che ha segnato per decenni i destini di questa città. E fino all’ultimo istante, in questa storia ultradecennale, la suspense è rimasta al massimo livello: l’ultimo ricorso di uno dei tre costruttori, i Matarrese, è stato presentato e discusso soltanto ieri mattina, di sabato, nella procura barese. Il passo finale per salvare l’ecomostro è stato un passo falso. L’ennesimo tentativo, questa volta, era fondato sul pignoramento, che i Matarrese avanzano sugli immobili, a garanzia di un credito pari a 6 milioni e mezzo di euro. Essendo pignorati, sostengono i costruttori, i palazzi non possono essere abbattuti. «Il reclamo proposto dalla spa Salvatore Matarrese è infondato», ha dichiarato invece, ieri mattina, il presidente della seconda sezione civile del Tribunale di Bari, Luigi Di Lalla. Ricorso respinto: oggi si procede all’abbattimento. E in questa storia fatta di ricorsi, controricorsi, sentenze e centinaia di fascicoli in carta bollata, non è mancato quasi nulla: persino la richiesta, da parte dei costruttori, di un risarcimento visionario di 930 milioni di euro. Ciò che manca, invece, è un colpevole.
Punta Perotti nacque infatti con tutte le carte in regola. Ottenne le concessioni edilizie e le autorizzazioni, sia dal comune di Bari, sia dalla Regione. E così venne su: dieci volte più grande del Fuenti, un altro mostro edilizio, altrettanto tristemente famoso, cresciuto e poi abbattuto sulla costiera amalfitana. Era l’11 maggio 1992, quando il consiglio comunale di Bari, guidato da una giunta socialista e democristiana, approvò i piani di lottizzazione. La magistratura, in seguito, così commentò la vicenda: «Il Comune adottò un disinvolto iter amministrativo. Il procedimento che portò all’improvviso rilascio dei provvedimenti autorizzatori e concessori fu scandaloso». Per quanto disinvolto, l’iter andò a buon fine e le tre imprese edilizie di Matarrese, Andidero e Quistelli, due anni dopo intrapresero la costruzione: nel 1995 venne rilasciata la concessione edilizia e Punta Perotti, nell’arco di pochi mesi, si stagliò sull’orizzonte chiudendo la prospettiva a sud della città. Due anni dopo, però, la procura di Bari, su richiesta dei pm Roberto Rossi e Ciro Angelillis, sequestrò gli immobili: secondo la magistratura erano abusivi, in quanto edificati in violazione della legge Galasso, che impedisce la costruzione a meno di 300 metri dal mare. E’ l’inizio di una saga giudiziaria e politica che ha tenuto banco per dieci anni. Il mito della Bari da bere, del lungomare stile Copacabana, delle dimore più «in» della città, iniziava a sgretolarsi, sotto i colpi della magistratura e di una fetta di cittadini e associazioni che vissero la nascita dell’ecomostro come un sopruso. Le speranze di veder crollare Punta Perotti, però, furono presto disattese: nell’ottobre 1997 la Cassazione annullò il sequestro disposto dalla procura di Bari. Di lì a due anni i costruttori e i progettisti, nel frattempo indagati, furono assolti con formula piena: «Il fatto non costituisce reato», disse il giudice per le indagini preliminari, Maria Mitola. Mancava sia il dolo, sia la colpa grave. Il tribunale ordinò però la confisca degli immobili, che passarono al Comune. I costruttori furono nuovamente assolti nel 2000, dalla corte di appello, che a sua volta ordinò la restituzione degli edifici. Da quel momento lo scontro diventa feroce: la procura barese ricorre immediatamente in Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza di assoluzione, e la Suprema corte conferma la sentenza di primo grado: i beni tornano al comune che è costretto, da quel momento, a deciderne il destino. Siamo nel bel mezzo della gestione forzista del sindaco di Cagno Abbrescia, che resta al potere per ben 10 anni: la sua giunta firma la confisca, ma l’abbattimento slitta e i costruttori dilatano i tempi con una lunga sequela di azioni giudiziarie. «Di Cagno non sarebbe mai riuscito ad abbattere», continua Emiliano, «c’era un grande circolo di amici, questa è la verità, sarebbe stato impossibile per ciascuno di loro realizzare una mossa di questo livello. Invece ora il sindaco può fare l’arbitro: non è più tra i giocatori. E’ possibile», conclude Emiliano, «che anche l’amministrazione pubblica, quando cerca di ripristinare la legalità, debba andare incontro a battaglie che richiedono prestazioni eroiche? Mi chiedo quanti altri responsabili della cosa pubblica, e mi riferisco anche ai direttori dei lavori o ai geometri, avrebbero potuto sostenere il peso delle minacce, delle denunce, delle querele, che ha dovuto sopportare questa amministrazione ».
Intanto sul web, già da parecchi giorni, impazza la febbre da esplosione. Il sito www.perottipoint.it ha realizzato la versione virtuale dell’ecomostro mettendone in vendita gli appartamenti. Suite da 10 a 50 euro l’una: con il ricavato Legambiente acquisterà alberi destinati alla città. Tra gli acquirenti Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti, il presidente della regione Nichi Vendola. Il progetto va oltre: i cineamatori sono chiamati a raccolta. Qualsiasi immagine dell’esplosione registrata dai videomaker sarà destinata a un unico cortometraggio, supervisionato dal regista Alessandro Piva, l’autore de La capagira: una sequenza di esplosioni ispirata a Zabriskie point di Michelangelo Antonioni.
Ora non resta che attivare i detonatori. Un’operazione imponente. La Capitaneria di porto impedirà a qualsiasi natante di avvicinarsi oltre un terzo di miglio dalla costa. Nel raggio di 200 metri dal luogo dell’implosione sarà impedito il passaggio, a chiunque, dalle 6,45 del mattino alle 19. Sarà bloccato il traffico dei treni, poiché i binari corrono a poche decine di metri dagli edifici. Tutto per un botto da cinque secondi. E per un riscatto atteso da troppi anni.
GUGLIELMO RAGOZZINO, La saracinesca salta in aria. Per esempio, il manifesto, 2 aprile 2006
Oggi, 2 aprile, verso le 11, è prevista la demolizione di uno dei tre edifici di Punta Perotti. Il calendario delle demolizioni indica il 23 e il 24 aprile come i giorni in cui avverrà il completamento dell’opera. A questo punto la «saracinesca» che sbarra il lungomare di Bari, non ci sarà più. Ma dietro appariranno tutti i problemi, di Bari e del resto d’Italia, tutto compreso: amate sponde, città turrite, colline apriche.
Bari è l’avanguardia, ma negli anni scorsi vi è stato il caso del mostro del Fuenti, la fungaia di Eboli, le case di Ostia: tutti episodi isolati; collegati, nella diceria popolare, più all’esagerazione di sindaci troppo zelanti che all’applicazione della legge.
Bari, con l’appoggio degli ambientalisti, per esempio di Legambiente, per una volta ha ottenuto un risultato. Promette di dare una sistemazione degna a quella parte di costa di cui i costruttori, i Matarrese e gli altri, cercavano di appropriarsi. Anche coloro che avevano acquistato un alloggio negli edifici della saracinesca sapevano di partecipare a un esproprio: essi toglievano alla città, a tutti i concittadini, un bene comune come la vista del mare, la costa, il paesaggio, l’aria di tutti, la spiaggia. Non erano quindi diversi tra loro: costruttori, progettisti, poteri pubblici conniventi e futuri inquilini. Tutti uguali, tutti nemici della città. A Bari in passato è stato fatto scempio della semplice e impareggiabile città murattiana, quella che prese nome da Gioacchino Murat. Quel poco che ne resta verrà conservato e valorizzato dai baresi? Nessuno più di loro ha il diritto e il dovere di farlo. Altrimenti la demolizione di Punta Perotti non sarà servita a niente, tranne che a spostare la speculazione edilizia un po’ più in là.
Legambiente ha fatto circolare in questi giorni alcune cifre inquietanti, elaborate insieme al Cresme/Si. (Cresme sta per centro ricerche economiche sociologiche e di mercato). Vi sarebbero in Italia 3 nuove costruzioni abusive all’ora, oltre 70 al giorno. In ogni ora del giorno e della notte, compreso Natale e Pasqua, compreso il giorno delle elezioni e ferragosto, si dà inizio a 3 nuove costruzioni che essendo abusive non saranno controllate da nessuno. Anzi le forze del bene chiuderanno entrambi gli occhi e si tapperanno la bocca e le orecchie per non sentire, non vedere, non dover parlare. Le moltiplicazioni si fanno in fretta. Nel 2004 e nel 2005 le costruzioni abusive nuove sono state 32 mila in entrambi gli anni. A tale cifra si è arrivati dai 22 mila nel 2001, 25 mila nel 2002, 29 mila nel 2003 in un crescendo ammirato e studiato dagli stessi esperti della Cina, detentori di tutti gli altri record mondiali. E’ facile collegare ai condoni l’aumento delle costruzioni abusive. E’ invalsa la convinzione che in ogni caso la costruzione abusiva sarebbe stata in seguito sanata e in questo modo avrebbe acquistato un’ulteriore pregio in termini di mercato, diventando più vendibile. E anche i grandi costruttori vendono il loro prodotto a «piccoli» acquirenti che si impegnano per uno o pochi alloggi. Un condono probabile o certo è gradito ai secondi e di conseguenza ai primi, i padroni delle città, per arroganti che siano.
Se dunque nel quadriennio berlusconiano -2002-2005 - le costruzioni abusive sono state 118 mila, Legambiente offre anche il dato sul quadriennio precedente che fu berlusconiano solo per la seconda parte del 2001. Nei quattro anni 1998-2001 le costruzioni abusive censite furono 96 mila. Siamo andati di male in peggio, ma il peggio che viene dopo non giustifica per nulla il male precedente, anzi ne è la necessaria conseguenza. Il nuovo governo, ogni nuovo governo, deve imparare a dire « basta». L’esplosione di Punta Perotti, il merito dei baresi può diventare un segnale per tutti.
STEFANO COSTANTINI, Sulle macerie soffia il vento della legalità, la Repubblica, ed. Bari, 3 aprile 2006
La nuvola che si è alzata dalle macerie di Punta Perotti ha portato via in pochi secondi undici anni di polemiche. Compresa quella, un po´ ipocrita diciamolo, di cui si è discusso negli ultimi giorni, ovvero se la demolizione fosse una festa oppure no. Inutile negarlo, festa è stata, come hanno dimostrato decine di migliaia di persone che per terra e per mare hanno voluto partecipare, seppure mestamente, alla condanna a morte dell´ecomostro. Sul lungomare di Bari si è sgretolato un incubo, è caduto un tabù: non esistono più interessi e persone intoccabili, le regole valgono per tutti e vanno rispettate. Questa è la vera notizia, non tanto quelle tonnellate di cemento cancellate dall´orizzonte del lungomare, che continuerà ad essere soffocato da altre brutture. Ma quegli scheletri erano diventati un simbolo, un simbolo da abbattere per ricominciare. Serviva un rito di purificazione e il tritolo l´ha compiuto. Del resto, non sempre le feste sono gioiose e ieri è stata una di quelle.
In pochi indimenticabili secondi non si è consumata una vendetta, non c´è stato un esproprio, solo il ripristino della legalità. Perché a Bari, in Puglia, da qualche tempo soffia un vento nuovo: dal Codice etico dell´università alla demolizione dell´ecomostro, dalla battaglia contro gli accessi negati al mare alla trasparenza degli appalti, c´è la consapevolezza che qualcosa è cambiato, può cambiare. Ora si tratta di vigilare sul futuro di Punta Perotti e di tutte le punte perotti possibili. E il sindaco ora ha il dovere di fare una promessa, di giurare su quei detriti: lì dovrà nascere un grande parco, sul mare. E ciò che si costruirà nella zona dovrà essere compatibile con il sogno di una città migliore. Imprenditori di tutto il mondo si affacceranno sull´orizzonte ritrovato, si scatenerà la caccia all´affare. Insomma, l´opinione pubblica, la magistratura, le associazioni ambientaliste, parte della classe dirigente di Bari che hanno combattuto finora la battaglia non depositino le armi, non ancora. La lezione di Bari al resto del Paese è proprio questa, in definitiva. Non esistono storie segnate e neppure infinite. La storia, qualche volta, siamo noi.
DAVIDE CARLUCCI, Da Mola a tutta la provincia sorgono i gruppi di sostegno alle demolizioni, La Repubblica, ed. Bari, 3 aprile 2006
A Mola di Bari il movimento civico "Mola Democratica" ha già un elenco di ecomostri: già realizzati, e quindi da abbattere, oppure da scongiurare. «C´è una vasta lottizzazione abusiva villette sotto sequestro sul litorale nord. Esito primo grado: condanna per lottizzazione abusiva e violazione della legge Galasso con confisca suoli, passaggio al Comune dei suoli e ordine di abbattimento. Per non parlare dello stabilimento ex-Iom sul litorale sud: abbandonato e in avanzato stato di degrado con probabile rilascio di amianto».
La caccia alle prossime demolizioni è già partita in tutta la Puglia. Lo confermano le decine di segnalazioni inviate per la campagna di Legambiente e Repubblica sulla "caccia agli ecomostri". Ma anche la mobilitazione di diversi comitati cittadini, ognuno dei quali individua, nelle proprie realtà, la «nostra Punta Perotti». Usano quest´espressione gli ambientalisti di Bisceglie che lottano contro un complesso immobiliare per cui l´ufficio tecnico del Comune ha disposto l´abbattimento. «Anche a Cassano Murge abbiamo un vecchio albergo abbandonato nel mezzo di una bella collina - spiega il sindaco Giovanni Gentile - lo abbatteremo a giugno per poi riqualificare l´area con interventi edilizi più soft». A Palagianello il sindaco Francesco Petrera, vuole buttare giù e riconvertire un capannone in pieno parco delle Gravine. È stato costruito grazie alla legge regionale 3 del ‘98 che permetteva di costruire in deroga a ogni vincolo paesaggistico. Fu finanziato con i fondi della Legge 488 per creare posti di lavoro, ma il proprietario non ha mai avviato alcuna attività e ora è rimasto solo lo sfregio ambientale. «Abbiamo aperto un contenzioso per entrare in possesso dell´opificio, realizzato su suolo pubblico», spiega Petrera.
FEDERICA CAVADINI intervista MASSIMILIANO FUKSAS, «E adesso abbattiamo Corviale e lo Zen di Palermo»,Corriere della Sera, 3 aprile 2006
Un ecomostro finito in polvere, finalmente cancellato dal Belpaese, non basta a restituire il sorriso a Massimiliano Fuksas in una domenica da cani, volo Alitalia per New York cancellato, dietrofront da Fiumicino, morale dell'architetto romano: «Questo è un Paese dal quale non si riesce nemmeno a partire».
La demolizione di Punta Perotti non la conforta, non è un passo nella direzione giusta?
«Ogni dieci anni ne buttiamo giù uno e ci mettiamo a posto la coscienza. Non credo ci sia molto da festeggiare. Abbiamo nove milioni di edifici abusivi, ed è una vergogna tutta italiana, in Europa questo fenomeno non esiste. Sono appena stato a Istanbul, gli abusi sono 4 milioni e mezzo in Turchia, la metà dei nostri».
Legambiente ha presentato una sua lista di edifici da eliminare. Lei cosa cancellerebbe dal panorama? Tre esempi.
«Primo: il quartiere zen di Palermo, luogo di disperazione, chiuso come una fortezza in cui regna il degrado. Ci sono stato l'ultima volta un anno fa e non sono sceso dall'auto. Bisogna trovare case e luoghi umani per gli abitanti e ridare loro un futuro. Secondo: dopo la storia infinita delle vele di Secondigliano, altro quartiere da cancellare, sopra Pozzuoli, è Monteruscello, un fortino chiuso e impenetrabile. Terzo: qui a Roma, Corviale, un blocco di cemento armato lungo un chilometro e il colmo è che ci sono "colleghi" che lo difendono».
Ma eliminare gli ecomostri non basta.
«Tanto gli abusi ormai sono tutti condonati. Il problema in Italia è quello che non si fa. Facciamo fatica a trovare fondi per realizzare nuovi musei, per esempio, penso al Maxxi. Per l'Auditorium a Roma ci sono voluti dieci anni, per il mio Palazzo dei congressi ce ne vorranno altrettanti».
Ma la «sua» Fiera di Milano è stata realizzata in tempi record.
«Ventisei mesi: sì, sono abbastanza contento. Ma temo che sia stato un caso, l'eccezione che conferma la regola. E comunque le infrastrutture che dipendevano dal governo sono ancora in ritardo».
Cosa non funziona?
«Nulla funziona. È un Paese alla deriva. Piccolo esempio: abbiamo aperto un nuovo studio nel centro di Roma, un restauro perfetto pronto da sei mesi. Ma stiamo ancora aspettando il gas».
Soluzioni?
«Incidere nella coscienza profonda del Paese. Far funzionare la scuola, dalle elementari all'università, finanziare la ricerca. Ma non abbiamo una classe politica all'altezza. Le intelligenze creative non vengono ascoltate, non parlo di architetti ma anche di sociologi, economisti».
Lei ormai vive fra Roma, Parigi e Francoforte. È una scelta non formalizzata?
«Vero, ho voglia di andarmene. Ma non amo abbandonare una battaglia. Comunque il colmo è che dall'Italia ormai è difficile anche partire. A proposito, a quest'ora avrei dovuto essere a New York».
Massimiliano Fuksas, ha ragione quando commenta che ogni dieci anni ne buttiamo giù uno e non c’è molto da festeggiare. Poi se la prende con lo Zen di Palermo e Corviale di Roma. Qui non si può essere d’accordo. Si tratta di progetti importanti, che hanno segnato un’epoca, gli anni Settanta e dintorni, quelli della casa come servizio sociale. Forse hanno sbagliato gli architetti nel fare le case popolari come monumenti. Ma sono errori generosi, figli della nostra cultura. Discutiamone, ma senza mettere mano alla dinamite. Lasciamo ai fascisti la demonizzazione dell’edilizia collettivizzata. Per memoria ricordo che a Roma le domande di condono relative agli anni dal 1994 al 2003 (sindaci Rutelli e Veltroni) sono state 85 mila. Le demolizioni poche decine. Ci sono intere città abusive. Altro che Corviale. (vezio de lucia)
L’intervento di Vezio De Lucia pubblicato su eddyburg Errori degli urbanisti? Non credo