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Antonietta Mazzette
Una scelta sbagliata riempire i nostri vuoti urbani di cemento
14 Settembre 2010
Altre città italiane
Un’analisi critica del piano urbanistico comunale di Sassari. La Nuova Sardegna 14 settembre 2010

Entro nel merito del dibattito sul Piano Urbanistico di Sassari e pongo alcuni quesiti esplicitamente al Sindaco, all’Assessore all’Urbanistica e al Presidente della competente commissione. Nel PUC è previsto un consistente aumento di volumetrie. A quali tipi di domanda si vuole rispondere? A chi non ha una casa e non riesce ad accedere al mercato immobiliare esistente? Evidentemente no, perché si tratta per lo più di persone che non hanno le risorse per comprare una casa e sono escluse dal mercato inesistente degli affitti. Ciò significa che l’amministrazione comunale prevede una crescita demografica? Ma tutti gli studi ci dicono che, da qui al 2030, ci sarà un vistoso calo demografico. La conclusione più probabile è che le volumetrie previste siano ‘soltanto’ esigenze di alcune categorie economiche che, pur essendo legittime, poco hanno a che fare con l’interesse generale e collettivo. Vorrei inoltre ricordare che l’applicazione dello scellerato Piano Casa regionale di fatto sta aumentando in modo incontrollato le cubature. Senza contare il fatto che, degli oltre 2 milioni case fantasma rilevate dall’Agenzia Nazionale del Territorio, un certo numero è presente nel nostro comune e sarebbe importante sapere quanto esso sia consistente.

Nel PUC si pensa di colmare i cosiddetti vuoti urbani, ovviamente costruendoci su. Mi permetto di riaffermare un concetto da me più volte espresso: nella città i vuoti territoriali sono sempre densi sociali, in termini tanto negativi quanto positivi. Sassari è una città brutta, anzitutto per come si è costruito a partire dagli anni ’60; in secondo luogo, perché si sono via via eliminati quegli spazi aperti che inducono alla socialità e all’incontro, per cui anche i quartieri di pregio per la qualità degli appartamenti sono, di fatto, dei quartieri dormitorio, da dove si entra e si esce per lo più in automobile proprio perché privi della possibilità di costruire senso comunitario e di vicinato. Allora, non è il caso di ripensare alla città, partendo proprio da questi “vuoti” e, invece di riempirli di cemento come si è fatto finora, farne un’occasione per ricucire le lacerazioni fisiche e sociali? Ciò non va fatto a tavolino, ma interloquendo con i cittadini, a partire da quanti si sono associati, come è accaduto per difendere l’area dell’ex orto botanico. Altrove, queste associazioni sono un interlocutore privilegiato per l’amministrazione locale, tanto che ogni decisione urbanistica deve passare il loro vaglio: Freiburg in Gemania è un bel caso a cui riferirsi anche in termini di governance oltre che in termini di sostenibilità.

Il mio auspicio è che la seconda città della Sardegna diventi un modello di riferimento per tutta l’Isola, dimostrando che 1. non si consuma più territorio; 2. le politiche centrali sono quelle volte alla riqualificazione dell’esistente; 3. il rispetto delle regole è il fondamento primo per ogni buona politica. Tre piccoli principi che diventerebbero dirompenti rispetto alle logiche dissennate messe in atto dal governo nazionale, alle quali si è totalmente asservito il governo regionale.

Inseriamo il testo integrale dell’articolo che il giornale ha pubblicato con qualche taglio redazionale, che non ne altera il significato

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