La rivoluzione non russa. Quarant'anni di storia del Manifesto. «Se siamo uomini e non anime belle, lo si deve proprio a questo, alla capacità di rimettersi in piedi dopo la caduta. Come dice un proverbio francese: “Cadere sette volte, rialzarsi otto"»
L'altro aspetto pregevole del libro è che l'autore , il quale parla in prima persona, non si gonfia mai il petto, anzi tende a rendere la propria voce di soggetto narrante la più dimessa possibile. Non si erge mai a protagonista, pur essendo, di quella vicenda, un protagonista indubbio: « notoriamente – scrive Valentino Parlato di se stesso – il più modesto e moderato del gruppo». Dove quel “moderato” non è meno autoafflittivo del “modesto”, visti gli umori di intransigenza radicale che circolavano nel sistema sanguigno di quel nido d'aquile. E tuttavia quella modestia che Valentino si riconosce, cosi come quella moderazione, sono delle virtù che fanno premio, non solo per l'equilibrio storico-politico che governa il libro, ma perché, a mio avviso – all'interno della storia di quel gruppo - gli hanno offerto una lungimiranza politica di più lunga lena rispetto ai suoi compagni. Certo, Valentino non ha alle spalle la storia intellettuale di una Rossana Rossanda o di un Lucio Magri, o l'acuta pervicacia di analista politico di Luigi Pintor.
Tuttavia la minore altitudine del suo pensiero l'ha tenuto più vicino alla realtà e gli ha permesso, ( è sempre una mia opinione) di afferrare con spirito pragmatico più aderente alle cose le trasformazioni che son venute sconvolgendo tanti vecchi assetti sociali e tante certezze interpretative. Questa stessa capacità spesso non hanno posseduto coloro che erano intellettualmente più “costruiti” e hanno maggiormente faticato a trovare letture confacenti ai brutali resoconti dei fatti consegnati dal processo storico. Intendiamoci, il gruppo fondativo del Manifesto, sin dalla nascita lucidamente critico nei confronti dell'URSS e delle burocrazie comuniste, ( a parte l'illusione cinese) non è stato certamente spiazzato dall' anno terribile dell'89. Non è questo che si vuole osservare. Quanto piuttosto – ma l'argomento meriterebbe studio e analisi meno occasionali di questa breve nota – il fatto che l'ordito intellettuale di quel gruppo (e di quella generazione ) poggiava su una analisi storica dei mutamenti sociali che non è stata più aggiornata come sarebbe stato necessario e forse impossibile. Soprattutto alla luce dello scenario degli sconvolgimenti ambientali che hanno spiazzato i paradigmi della cultura marxista-industrialista in cui si è formata gran parte della sinistra nel Novecento. Ma tale riflessione ci porterebbe lontano.
Io credo che Valentino Parlato proprio per la sua intelligenza politica sia riuscito più di altri ad attraversare la storia quarantennale del Manifesto con la capacità di interpretare i mutamenti che sconvolgevano di volta i volta i criteri di analisi di chi – come i giornalisti di quel giornale– non soltanto dovevano dar conto degli eventi quotidiani, ma dare persuasive letture del mondo ai loro militanti. E questo, a mio avviso, spiega anche la lunga fedeltà di Valentino al giornale, solo l'anno scorso dolorosamente interrotta. Una scelta, quest' ultima, che non condivido , che trovo in contraddizione con la sua storia e la sua personalità, anche se, ovviamente, rispetto profondamente.
Vorrei dare qui al lettore almeno un'idea, un'impressione di che cosa intendo per intelligenza politica, riferita alla condotta di Valentino Parlato come intellettuale e politico. Nel libro ci si imbatte in una dichiarazione rivelatrice, quasi una confessione, che mostra la sua capacità di sfuggire alle rigidità dogmatiche con cui, così spesso, l'ideologia ci mette in trappola. Ma nello stesso tempo indica una linea di condotta, una profonda motivazione esistenziale da porre a base della lotta politica. E tale motivazione costituisce il più raffinato e saggio antidoto ai colpi dello scacco e della sconfitta cui è esposto chi sfida le opache “necessità” della storia.
« Nella lunga lista delle idee innate – scrive Parlato - ce n'è una particolarmente resistente, difficile a morire, che vede nell'errore una sciagura. E' un'idea stupida. La vita dell'uomo, dalla sua nascita alla sua morte, è un insieme di tentativi a volte azzeccati, a volte miseramente falliti. E se siamo uomini e non anime belle, lo si deve proprio a questo, alla capacità di rimettersi in piedi dopo la caduta. Come dice un proverbio francese: “Cadere sette volte, rialzarsi otto”. E aggiungerei che l'unico modo per tollerare il logorio quotidiano della battaglia politica è credere in un avvenire migliore che non si realizzerà mai, in mancanza del quale per molti il motore della militanza finisce per diventare l'interesse immediato, il realistico, pragmatico, postideologico arricchimento della propria parte» (p.96)
Dunque, un dispositivo intellettuale, un manuale di resistenza e insieme un progetto di vita.In queste riflessioni è come racchiuso il paradigma del politico rivoluzionario del '900, di cui Parlato è rappresentante a pieno titolo. Ma con in più quel quid di realismo politico che gli ha concesso una perdurante giovinezza anche nel nuovo millennio.