Il testo finale della manovra di governo per la stabilizzazione finanziaria ha rinunciato a espropriare il ministero dei Beni culturali della competenza sui tagli agli istituti culturali, e ne ha ridotto la portata. Buone notizie? Certo.
Ma, lo ha detto Mario Draghi nella sua importante relazione alla Banca d’Italia, «la correzione dei conti pubblici va accompagnata con il rilancio della crescita», e su questo punto capitale il decreto-legge Tremonti offre ben poco.
La relazione Draghi martella cifre non eludibili: nel biennio 2008-09 il Pil è calato di 6 punti e mezzo, la metà della crescita dei 10 anni precedenti; calano redditi, consumi, esportazioni. Cresce la disoccupazione dei giovani, calano i salari iniziali, crollano le nuove assunzioni, quasi sempre precarie, e «la stagnazione distrugge capitale umano, soprattutto tra i giovani».
A fronte di una situazione tanto drammatica, scrive Draghi, i tagli del governo «si concentrano sui costi di funzionamento delle amministrazioni pubbliche», e ciò proprio quando è necessario «aumentare la produttività della pubblica amministrazione». Secondo il presidente del Consiglio, le dichiarazioni del Governatore sono in piena sintonia con la manovra del Tesoro: ma questo embrassons-nous tanto ottimista non può esser preso sul serio.
La relazione Draghi contiene passaggi assai duri e severi, che danno dell’Italia un’istantanea assai più fedele di quella del governo. Nella situazione presente, «i costi dell’evasione fiscale e della corruzione divengono ancor più insopportabili». In particolare, ricorda Draghi, il 30% della base imponibile dell’Iva viene regolarmente evaso, per oltre 30 miliardi di euro l’anno, cifra che sale vertiginosamente (oltre i 100 miliardi) se si aggiunge l’evasione di altre imposte, come Irpef o Irap. Se tutti pagassero le tasse, non ci sarebbe alcun bisogno di manovre come quella che l’Italia dovrà ora subire.
«L’evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga e riduce le risorse alle politiche sociali».
È la «macelleria sociale» di cui Draghi ha parlato commentando a braccio il proprio testo scritto: il taglio di oltre un miliardo e mezzo nel biennio al Servizio Sanitario Nazionale è un pezzo, e non il solo, di questa "macelleria".
Fra le vittime della "macelleria sociale" che affligge il Paese, non dimentichiamo il paesaggio, prezioso bene comune che la "manovra" e altre leggi di questa stagione consegnano al saccheggio indiscriminato di speculatori d’ogni sorta, cancellando il Codice dei Beni culturali con norme incostituzionali sul silenzio-assenso, rimaste tali e quali nella versione finale del decreto (si vedano i dati su Repubblica del 31 maggio).
Non dimentichiamo le nostre città in preda a una frenesia costruttiva che non riflette i bisogni di una crescita demografica che non c’è, ma un "investire nel mattone" che vede in prima fila mafie e riciclatori di denaro sporco: cioè i protagonisti di quelle «relazioni corruttive tra soggetti privati e amministrazioni pubbliche, favorite dalla criminalità organizzata» di cui parla Draghi.
Non dimentichiamo infine il Mezzogiorno, che la manovra del governo (art. 43) consegna legato mani e piedi alla condizione derogatoria di «zona a burocrazia zero» dove non esiste più la pubblica amministrazione, e «i provvedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed oggetto avviati su istanza di parte» con riferimento a qualsivoglia «iniziativa produttiva» vengono decise ad arbitrio di un Commissario di governo (e non più dei prefetti, come nella bozza di pochi giorni fa).
Sarà questo il modo di combattere la camorra e la ‘ndrangheta?
E se i 15 miliardi di tagli (nel biennio) a Regioni ed Enti locali sono fatti «ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica» (art 14), come mai la «burocrazia zero» riguarda solo metà dell’Italia? Saranno i Commissari di Governo a risolvere l’annosa questione meridionale imbavagliando le procedure di legge dell’amministrazione ordinaria?
Nella manovra Tremonti e nella relazione Draghi si fronteggiano due Italie ben diverse. L’una e l’altra vogliono, a ragione, la correzione dei conti pubblici. Ma l’Italia di Draghi individua lo strumento primario nella lotta all’evasione e alla corruzione, l’Italia di Tremonti preferisce l’olocausto della pubblica amministrazione (additata al ludibrio come "burocrazia"), il taglio delle risorse a Regioni ed enti locali che possono rimediarvi svendendo il territorio, la promozione di condoni edilizi ed altre misure derogatorie.
L’Italia di Draghi richiede «che l’Unità si celebri progettandone il rafforzamento e garantendone la vitalità», quella di Tremonti mette l’austerità e il sacrificio di tutti al servizio di un federalismo spendaccione e del separatismo leghista.
L’Italia più competitiva che il Governatore della Banca d’Italia ha disegnato richiede una pubblica amministrazione più efficiente, rinsanguata da nuove assunzioni di giovani scelti per competenza e per merito. Richiede la lotta senza quartiere alle mafie e ai loro complici, agli evasori e a chi vi cerca serbatoi elettorali. Richiede di capovolgere la "macelleria sociale" mediante una politica di investimenti sulle nuove generazioni, sulla scuola, l’università e la ricerca. Pretende di non limitarsi a quello che Keynes chiamava «l’incubo del contabile», di mettere sì a posto i conti (partendo dalla lotta all’evasione e alla corruzione e non borseggiando i cittadini), ma con in mente un progetto per un Paese migliore.