ONU Vertice verde. La conferenza dei negoziatori scodella un documento di compromesso per il vertice onu sullo sviluppo sostenibile. Cancellati i punti controversi, sulla natura vince il mercato
RIO DE JANEIRO .Oggi Dilma Roussef dà l'avvio ufficiale al vertice. Mentre i movimenti mondiali scendono in piazza
Alla fine, dopo una notte di attesa e di continui rimandi, ieri mattina il governo brasiliano ha imposto con forza la sua linea al termine di un negoziato confuso e problematico, scodellando il testo della dichiarazione finale del vertice di Rio. Molte punti controversi sono così state «tagliati». La presidente Dilma Rousseff voleva avere un testo quasi finale da distribuire al G20 di Los Cabos, in modo da ricevere una legittimazione anche dai tanti presidenti e capi di stato, Barack Obama e Angela Merkel in testa, che non si sono presi la briga di volare dal Messico fino in Brasile viste le persistenti turbolenze economiche e finanziarie mondiali.
Per i padroni di casa il Vertice delle Nazioni unite sullo sviluppo sostenibile, che si apre oggi, si deve chiudere a tutti i costi con una qualche forma di consenso. Ma c'è di più: oramai il Brasile, come gli altri paesi Brics, ha l'ambizione di accreditarsi quale potenza globale capace di gestire i conflitti e negoziare materie economiche alla pari con i paesi più forti, non necessariamente nell'interesse del resto dei paesi del Sud del mondo. Proprio la parte «finanziaria» del testo, cara al gruppo dei G77 che comprende 130 paesi in via di sviluppo, è stata «spostata» al G20 nella convinzione che il vertice di Rio non sia adatto a trattare tali questioni. D'altronde i Brics hanno finalmente messo sul tavolo i contributi destinati all'Fmi per salvare l'Europa dalla crisi, e chiedono qualcosa in cambio.
Dunque Rousseff ha portato a Los Cabos un testo al ribasso, chiedendo un'accettazione del compromesso sui fondi richiesti dai paesi in via di sviluppo per pagare la transizione verso l'«economia verde». In cambio i paesi ricchi l'hanno spuntata su molte questioni, annacquando gli impegni siglati alla conferenza di Rio del 1992 e ricevendo il via libera a un'idea di green economy che privilegia la logica di mercato senza cambiare gli equilibri esistenti, né preservare l'ambiente.
Analizzando il testo approvato a fatica dai negoziatori, sorprende che la definizione di economia verde non faccia riferimento al principio 7 della carta di Rio su una «responsabilità condivisa ma differenziata» tra paesi del Nord e del Sud del mondo. Così manca ogni riferimento forte al bisogno di controllare l'operato delle multinazionali e del settore privato. Una vittoria netta per gli Usa. Di contro, le pressioni della società civile e di alcuni governi del Sud sono riuscite a tenere fuori dal testo il riferimento al commercio dei servizi degli ecosistemi, e la forte enfasi sul settore privato come principale attore dell'economia verde.
L'Unione europea è riuscita a strappare il processo richiesto per la definizione dei nuovi obiettivi di «sviluppo sostenibile» che dopo il 2015 andranno a rimpiazzare i già limitati obiettivi di sviluppo del millennio, probabilmente non raggiungibili. Di nuovo, le questioni economiche e l'approccio differenziato Nord-Sud restano fuori da questo processo. Il programma delle Nazioni Unite sull'ambiente, dominato da visioni liberiste, sarà rinforzato, anche se non come pretendeva l'Ue prima del vertice. La menzione del diritto umano all'acqua per fortuna ha resistito, ma nella sezione sull'energia manca alcun impegno serio a tagliare i sussidi ai combustibili fossili.
Il Sud del mondo porta a casa qualcosa, ma non tutto quello avanzato nella sua proposta di compromesso per la sezione sui mezzi di attuazione degli impegni, ossia finanza e trasferimento di tecnologie. Sarà definita una strategia per finanziare lo sviluppo sostenibile in un processo intergovernativo alle Nazioni Unite, e almeno in questa sede si potrà discutere anche di questioni economiche. Ma non c'è nessun impegno sui fondi, se non l'invito alle solite e controverse istituzioni finanziarie internazionali a produrre risorse adeguate per i poveri. Gli impegni già presi e ormai vuoti sull'aiuto allo sviluppo sono ribaditi per far contenti i paesi africani, ma in pochi ci credono. E il trasferimento di tecnologie resta su base volonaria, una barzelletta se si pensa alle occasioni perse.
Da vedere ora chi oserà, anche tra i paesi del Sud del mondo, rompere le uova nel paniere al governo brasiliano nel giorno di apertura del vertice. Lo stesso fronte potrebbe finire per spaccarsi, come successo in altri casi nei negoziati sul clima. Alla fine è l'ennesimo fallimento, e in futuro sarà difficile riporre fiducia nei processi Nazioni Unite. Ma i movimenti mondiali prenderanno le strade di Flamengo oggi proprio quando Dilma avvierà il vertice ufficiale, rigettando l'economia verde delle élite globali e cercando altre strade per risolvere le crisi del pianeta e del capitalismo.
Dighe devastanti ma «pulite»
di Antonio Tticarico
Di fronte alla crisi energetica e ai cambiamenti climatici, nel dibattito sull'economia verde e sulla ripresa economica incoraggiata dalle grandi infrastrutture, le grandi dighe stanno ritrovando spazio sull'agenda di governi e settore privato. Il vertice sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro non fa eccezione, anzi. Nonostante i devastanti impatti sociali e ambientali che hanno segnato la storia dei mega sbarramenti nel Novecento, l'idroelettrico viene sempre più promosso come energia «verde».
In Brasile più di un milione di persone ha dovuto lasciare le proprie case e terre per far spazio ai bacini delle dighe. Ben 24mila chilometri quadrati di terre sono state sommerse, 1.500 riserve naturali sacrificate, il 70 % degli impattati non ha ricevuto alcun risarcimento. Nel paese sono state costruite più di 615 mega dighe e 64 sono in costruzione. Negli ultimi anni il governo ha riaffermato la centralità dell'idroelettrico nella strategia energetica nazionale. Entro il 2020 sarà necessario trovare 45.000 megawatt aggiuntivi, che deriveranno in buona parte dalle dighe. Ma a differenza di quanto reclamizzato dalle istituzioni, alla fine l'idroelettrico non risulta così economico. Il Brasile è il quinto paese al mondo per le tariffe elettriche più elevate e 2,7 milioni di persone non hanno ancora accesso all'elettricità, soprattutto nelle aree dove sono state realizzate le dighe!
Dopo una lunga controversia legale, nel nord del paese è ormai in fase di costruzione la diga di Belo Monte, che sarà la terza più grande al mondo. Proprio questo mastodontico progetto è diventato il simbolo della resistenza del Mab, il movimento nazionale degli «impattati delle dighe», che oggi come membri attivi include più di 20mila famiglie. Non è un caso, visto che i grandi sbarramenti in Brasile sono sinonimo di violazione dei diritti umani: la stessa Commissione sulla biodiversità, promossa dall'allora presidente Lula, lo ha ammesso, evidenziando le paghe da fame de lavoratori.
La strategia del Mab è un'ispirazione per tutti i movimenti sociali. Per uscire dalla criminalizzazione della resistenza, il movimento ha puntato sulla strutturazione a livello locale per radicarsi così nella società brasiliana e promuovere un ampio dibattito su un nuovo modello energetico. Allo stesso tempo ha forgiato alleanze inaspettate con i sindacati e con i movimenti campesinos nella «Piattaforma operaia e contadina per l'energia», che rivendica una legge che riconosca agli impattati delle dighe diritti e compensazioni. Il Mab crea anche progetti per aiutare le popolazioni a rimanere sul territorio con agricoltura sostenibile ed energia solare autoprodotta. Il movimento promuove con accademici e altre organizzazioni corsi di formazione sulla crisi energetica e del capitalismo. Allo stesso tempo in nome della solidarietà internazionale fa alleanze in tutta l'America Latina con gli impattati dalle mega opere costruite dalle imprese brasiliane, come per esempio Oderbrecht.
Il governo ha dovuto aprire un tavolo negoziale con la nuova piattaforma del Mab, anche se la presidentessa Dilma Rousseff si rifiuta di attuare la nuova legge sul catasto che aiuterebbe le persone danneggiate. Ma i rischi all'orizzonte sono tanti: il governo sta favorendo una nuova stagione di partnership pubblico-privato per agevolare la privatizzazione del servizio idrico; si parla di nuove dighe in Amazzonia, e soprattutto nell'economia verde prende lustro l'idea, già sperimentata in Australia e Cile, di introdurre un sistema di commercio dei diritti sull'acqua. Lo stesso tema di cui si discute oggi in Europa e altrove. Ma il Mab non demorde e pianifica già per il marzo del 2013 il terzo incontro nazionale di tutti gli impattati, perché «l'acqua e l'energia non devono essere merci!».
nuovo modello energetico. Allo stesso tempo ha forgiato alleanze inaspettate con i sindacati e con i movimenti campesinos nella «Piattaforma operaia e contadina per l'energia», che rivendica una legge che riconosca agli impattati delle dighe diritti e compensazioni. Il Mab crea anche progetti per aiutare le popolazioni a rimanere sul territorio con agricoltura sostenibile ed energia solare autoprodotta. Il movimento promuove con accademici e altre organizzazioni corsi di formazione sulla crisi energetica e del capitalismo. Allo stesso tempo in nome della solidarietà internazionale fa alleanze in tutta l'America Latina con gli impattati dalle mega opere costruite dalle imprese brasiliane, come per esempio Oderbrecht.
Il governo ha dovuto aprire un tavolo negoziale con la nuova piattaforma del Mab, anche se la presidentessa Dilma Rousseff si rifiuta di attuare la nuova legge sul catasto che aiuterebbe le persone danneggiate. Ma i rischi all'orizzonte sono tanti: il governo sta favorendo una nuova stagione di partnership pubblico-privato per agevolare la privatizzazione del servizio idrico; si parla di nuove dighe in Amazzonia, e soprattutto nell'economia verde prende lustro l'idea, già sperimentata in Australia e Cile, di introdurre un sistema di commercio dei diritti sull'acqua. Lo stesso tema di cui si discute oggi in Europa e altrove. Ma il Mab non demorde e pianifica già per il marzo del 2013 il terzo incontro nazionale di tutti gli impattati, perché «l'acqua e l'energia non devono essere merci!».
Dighe devastanti ma «pulite»
RUBRICA - ANTONIO TRICARICO
Di fronte alla crisi energetica e ai cambiamenti climatici, nel dibattito sull'economia verde e sulla ripresa economica incoraggiata dalle grandi infrastrutture, le grandi dighe stanno ritrovando spazio sull'agenda di governi e settore privato. Il vertice sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro non fa eccezione, anzi. Nonostante i devastanti impatti sociali e ambientali che hanno segnato la storia dei mega sbarramenti nel Novecento, l'idroelettrico viene sempre più promosso come energia «verde».
In Brasile più di un milione di persone ha dovuto lasciare le proprie case e terre per far spazio ai bacini delle dighe. Ben 24mila chilometri quadrati di terre sono state sommerse, 1.500 riserve naturali sacrificate, il 70 % degli impattati non ha ricevuto alcun risarcimento. Nel paese sono state costruite più di 615 mega dighe e 64 sono in costruzione. Negli ultimi anni il governo ha riaffermato la centralità dell'idroelettrico nella strategia energetica nazionale. Entro il 2020 sarà necessario trovare 45.000 megawatt aggiuntivi, che deriveranno in buona parte dalle dighe. Ma a differenza di quanto reclamizzato dalle istituzioni, alla fine l'idroelettrico non risulta così economico. Il Brasile è il quinto paese al mondo per le tariffe elettriche più elevate e 2,7 milioni di persone non hanno ancora accesso all'elettricità, soprattutto nelle aree dove sono state realizzate le dighe!
Dopo una lunga controversia legale, nel nord del paese è ormai in fase di costruzione la diga di Belo Monte, che sarà la terza più grande al mondo. Proprio questo mastodontico progetto è diventato il simbolo della resistenza del Mab, il movimento nazionale degli «impattati delle dighe», che oggi come membri attivi include più di 20mila famiglie. Non è un caso, visto che i grandi sbarramenti in Brasile sono sinonimo di violazione dei diritti umani: la stessa Commissione sulla biodiversità, promossa dall'allora presidente Lula, lo ha ammesso, evidenziando le paghe da fame de lavoratori.
La strategia del Mab è un'ispirazione per tutti i movimenti sociali. Per uscire dalla criminalizzazione della resistenza, il movimento ha puntato sulla strutturazione a livello locale per radicarsi così nella società brasiliana e promuovere un ampio dibattito su un nuovo modello energetico. Allo stesso tempo ha forgiato alleanze inaspettate con i sindacati e con i movimenti campesinos nella «Piattaforma operaia e contadina per l'energia», che rivendica una legge che riconosca agli impattati delle dighe diritti e compensazioni. Il Mab crea anche progetti per aiutare le popolazioni a rimanere sul territorio con agricoltura sostenibile ed energia solare autoprodotta. Il movimento promuove con accademici e altre organizzazioni corsi di formazione sulla crisi energetica e del capitalismo. Allo stesso tempo in nome della solidarietà internazionale fa alleanze in tutta l'America Latina con gli impattati dalle mega opere costruite dalle imprese brasiliane, come per esempio Oderbrecht.
Il governo ha dovuto aprire un tavolo negoziale con la nuova piattaforma del Mab, anche se la presidentessa Dilma Rousseff si rifiuta di attuare la nuova legge sul catasto che aiuterebbe le persone danneggiate. Ma i rischi all'orizzonte sono tanti: il governo sta favorendo una nuova stagione di partnership pubblico-privato per agevolare la privatizzazione del servizio idrico; si parla di nuove dighe in Amazzonia, e soprattutto nell'economia verde prende lustro l'idea, già sperimentata in Australia e Cile, di introdurre un sistema di commercio dei diritti sull'acqua. Lo stesso tema di cui si discute oggi in Europa e altrove. Ma il Mab non demorde e pianifica già per il marzo del 2013 il terzo incontro nazionale di tutti gli impattati, perché