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Giovanni Losavio
Una legge contro le associazioni di protezione ambientale
2 Maggio 2009
Articoli del 2009
L’argomentata dimostrazione del Presidente di Italia Nostra dell’inconsistenza giuridica della così detta legge “blocca ricorsi”, ennesimo esercizio di intolleranza verso le garanzie di legalità. 2 maggio 2009 (m.p.g.)

La proposta di legge che la stampa con le sue semplificazioni (spesso efficaci e appropriate) ha subito registrato come “blocca ricorsi” non è tanto allarmante per l’affrettato, e forse infine innocuo, dispositivo del suo unico articolo (che va a mettere una coda velenosa nell’articolo 18 della legge istitutiva del ministero dell’ambiente), quanto per gli umori e i propositi rivelati nella relazione di presentazione e illustrazione dai 135 deputati (tutti appartenenti alla maggioranza di governo) che hanno assunto l’iniziativa legislativa. Un vero e proprio manifesto politico della intolleranza verso la funzione di controllo di legittimità che la legge istitutiva del ministero dell’ambiente assegna alle “individuate” “associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale”, ad esse riconoscendo la legittimazione a ricorrere davanti al giudice amministrativo per l’annullamento degli atti illegittimi lesivi dei valori ambientali. Ma intolleranza innanzitutto verso le stesse garanzie di legalità, previste dal sistema per tutti i comportamenti della pubblica amministrazione, che è già stata concretamente manifestata dal “decreto anti-crisi” (convertito nella legge 28 gennaio 2009, n. 2), espressamente e non a caso richiamato nella relazione. La quale sottolinea che l’art. 20 di quel decreto solleva in pratica le opere pubbliche che siano state dichiarate “prioritarie per lo sviluppo economico del territorio” dall’onere del rispetto della legalità, non solo abolendo la “facoltà sospensiva” del giudice amministrativo investito del ricorso, ma perfino sopprimendo la sua potestà di annullare l’illegittimo atto amministrativo, impugnato, che le approva. “Lo snellimento delle procedure non permetterà più che sia il TAR a decidere se un’opera si debba fare o meno”, così cantano vittoria i 135 proponenti della legge, che intendono dunque completare la manovra con una energica misura di intimidazione delle associazioni che si permettessero di invocare il rispetto della legalità nel governo dell’ambiente. Palesemente di comodo (oltre che espressione di un malevolo pregiudizio verso le associazioni sempre pronte, si dice, a far proprie anche le ragioni pretestuose degli interessi locali) è il quadro che la relazione disegna, attribuendo ai ricorsi delle associazioni i deplorati ritardi nella realizzazione delle opere e perfino la paralisi. Quando invece ben altre ne sono le ragioni, spesso intrinseche alla stessa natura della specifica opera e alla cattiva gestione del relativo sviluppo attuativo, ma pure dovute alla incapacità di costruire appropriati rapporti di partecipazione con le comunità insediate nei luoghi immediatamente incisi dall’intervento e di gestire politicamente le loro anche accese contestazioni e resistenze. Mentre è ben noto l’orientamento generale dei giudici amministrativi, assai restrittivo in tema di opere pubbliche nel concedere la sospensione dell’esecuzione. E quando la sospensione (dalla quale soltanto e non dalla mera presentazione del ricorso può derivare il ritardo) sia stata concessa, essa è orientata anche dalla valutazione di fondatezza nel merito del ricorso, dunque il ritardo mai può essere imputato alla pretestuosità della contestazione.

Quali allora le misure punitive previste per le associazioni dalla proposta di legge? Già si è detto di un unico articolo (concepito sembrerebbe da chi ha scarsa cultura e pratica dei processi) che nel primo comma riprende un istituto processuale di carattere generale e quindi applicabile a tutte le parti che abbiano agito in giudizio in mala fede o colpa grave e sono perciò tenute al risarcimento dei danni così cagionati alla parte vittoriosa. E’ istituto pacificamente operante anche nei giudizi amministrativi e dunque non v’è ragione di confermare che la responsabilità da lite temeraria, come si dice, vale anche per le associazioni. Le quali ben lo sanno, ma quel rischio non le riguarda, perché a ragione (non avventatamente o in mala fede) ricorrono alla giustizia amministrativa. Più insidioso, odioso anzi nelle intenzioni, il secondo comma che solo per le associazioni (quindi in palese contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza dell’art. 3) amplia la responsabilità processuale, a prescindere dalla colpa, prevedendo la condanna (anche d’ufficio del giudice, indipendentemente dalla domanda della parte pubblica) al risarcimento dei danni, quando il ricorso sia respinto perché manifestamente infondato. Si tratterebbe di un dispositivo atipico, riservato alle associazioni, mai altrimenti previsto, perché il giudizio di annullamento dell’atto amministrativo si conclude con l’accoglimento o il rigetto del ricorso; mentre la sanzione del risarcimento dei danni è fatta dipendere da un apprezzamento eminentemente soggettivo quale è quello che qualifica come manifesta l’infondatezza del ricorso. E’ chiaro insomma il proposito discriminatorio e dissuasivo, di condizionare cioè negativamente l’esercizio del diritto di agire in giudizio, che è garantito dall’art. 24 Costituzione. E altrettanto chiaro l’ indiretto messaggio fatto giungere ai giudici amministrativi. Ma credo che neppure con questo secondo comma i deputati proponenti, contro le intenzioni, abbiano saputo in concreto creare un efficace freno al controllo di legittimità esercitato con i ricorsi delle associazioni. Si è già osservato che il danno da ritardo nella realizzazione dell’opera può darsi soltanto se il giudice abbia preliminarmente disposto la sospensione e con valutazione necessariamente estesa anche alla fondatezza nel merito del ricorso, che non potrà perciò, nella pronuncia conclusiva, essere ritenuto manifestamente infondato.

Italia Nostra e le altre “associazioni di protezione ambientale” registrano con preoccupazione non solo il radicato pregiudizio e l’insofferenza (dei 135 deputati che hanno assunto questa iniziativa legislativa) verso il ruolo di controllo di legittimità ad esse riconosciuto dalla legge istitutiva del ministero dell’ambiente, ma innanzitutto la esplicita determinazione di rimuovere ogni ostacolo, anche quelli opposti dal rispetto della legalità, e dalle obbiettive ragioni di salvaguardia dell’ambiente, alla realizzazione delle opere pubbliche ritenute “prioritarie” per il malinteso “sviluppo economico del territorio”.

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