Il manifesto, 18 ottobre 2014
C’è un mondo del non lavoro che comprende oggi otto milioni di persone. Ex-occupati che hanno perso il lavoro, giovani che lo cercano per la prima volta e non lo trovano, donne che, per ristrettezze familiari, lo cercano anche se non più giovanissime.
Lo compongono altrettante persone che non sanno a chi rivolgersi e, quindi, non lo cercano “intensamente” e, perciò, non rientrano tra i disoccupati, ma tra gli “scoraggiati”, categoria di persone prima psicologica ed adesso, finalmente, anche statistica. Lo compongono anche tanti cassintegrati, statisticamente occupati e psicologicamente esclusi, ed i “lavoratori in mobilità”, che popolano quel purgatorio tra un lavoro perduto ed uno che difficilmente troveranno.
Considerando anche loro, quindi, il bacino elettorale si allarga oltre i 15 milioni. Un “mercato elettorale potenziale” di queste dimensioni fa gola a molti ed è terreno di conquista. Una volta si pensava che questo fosse un bacino elettorale “naturalmente” orientato a sinistra e le lotte “per il lavoro e per il sud”, promosse dalla Cgil di Di Vittorio e protrattesi fino agli anni settanta, costituivano il nesso sociale tra disoccupazione, lavoro e sinistra. Ma erano veramente altri tempi. Negli ultimi decenni giovani e disoccupati hanno votato più Forza Italia che sinistra ed adesso, col declino di Berlusconi, questo “mondo del non lavoro allargato” di cui stiamo parlando è elettoralmente “contendibile” da tutti.
Questo lo aveva capito per primo Grillo, diventando la maggiore forza tra i disoccupati, e subito dopo lo ha capito Renzi che, parlando invece che di “piano del lavoro” di jobs act, usando inglese, tweet ed hashtag e martellando sulla fiducia nel futuro, cerca di fare di questo mondo la sua base di massa. In questo tragitto comunicativo, sindacati, sinistra e lavoratori a tempo indeterminato vengono additati come responsabili, difensori di privilegi acquisiti, capri espiatori. Da qui a dire che se i giovani non trovano lavoro è per colpa dell’art.18, il passo è stato breve e scambiare qualche diritto in meno, con la speranza di qualche posto di lavoro in più una conseguenza logica e naturale.
A me sembra che, in questo campo, Renzi abbia una precisa strategia che non è solo comunicativa, ma politica. Renzi ha una sua idea di redistribuzione ed una sua filosofia politica: la globalizzazione e le politiche monetarie dominanti lasciano pochi margini per riforme economiche in grado di ridurre le disuguaglianze; la redistribuzione, perciò, non può essere quella teorizzata dalla sinistra, tra lavoro e capitale, dai ceti ricchi a quelli poveri; essa non può che essere “interna” al mondo del lavoro ed agli strati medio — bassi della società; quindi, niente vecchi arnesi dell’armamentario di sinistra come tassazione dei grandi patrimoni o progressività, ma idee “nuove”.
Redistribuzione dei diritti. Togliere diritti ad alcuni, promettere lavoro ad altri. Che quello che si toglie sia certo e quello che si promette incerto, conta poco perché ci si rivolge a due soggetti ai quali non si toglie niente: agli imprenditori, italiani e soprattutto stranieri, invitati ad investire, ai giovani, invitati a sperare. Ci saranno questi effetti? Molto probabilmente no, ma l’importante è dimostrare che Renzi ci crede e mantenere questo feeling fino alle prossime elezioni, quando questi voti saranno necessari per prendere in mano il paese per cinque-anni-cinque e ridimensionare ogni opposizione interna ed esterna.
Redistribuzione dei redditi. Rientra in questa tipologia, innanzitutto la scelta degli 80 euro che sul piano macroeconomico non ha pagato perché non ha rilanciato la domanda, ma su quello elettorale sì. Che poi essa venga coperta con minori servizi e maggiori tasse locali conta poco. I “beneficiari” sono identificabili e sono stati in buona parte grati. I “sacrificati” sono molti di più, ma sono sparpagliati. Tra loro ci sono anche i beneficiari, ma essi non hanno potuto cogliere la relazione tra soldi che entravano e soldi che uscivano ed anzi sono stati indotti a pensare che quelli che entravano sono merito di Renzi, quelli che uscivano, dopo, a rate e per tasse dai nomi mutevoli, sono colpa degli amministratori locali, spreconi ed inefficienti. Colpa della politica. Quindi bene ha fatto il nostro ad eliminare gli eletti al senato ed alle province.
In questa stessa tipologia di redistribuzione “interna”, di una sorta di partita di giro, rientra l’idea di colpire i redditi alti, ma fermandosi ai redditi da lavoro o da pensione e non spingendosi certo a quelli da profitto o da rendita. Questa idea è stata affacciata e poi ritirata, è scritta nel libro sacro di Gutgeld (pensato con Renzi), potrà essere riproposta, ma intanto ha lasciato il segno: Renzi vuole colpire in alto (naturalmente non tanto in alto da colpire grandi redditi e grandi patrimoni), ma incontra resistenze.
Può rientrare qui anche l’idea, più recente, di anticipare l’utilizzo del Tfr. Qui siamo in una nuova categoria di redistribuzione: quella tra presente e futuro. Al primo no degli industriali, questa idea, è stata ridimensionata, ma poco importa: Renzi ha comunque segnato un altro punto a suo favore dimostrando che pur di fare aumentare la domanda se ne inventa una al giorno, perlomeno è in buona fede, ci crede, quindi, facciamolo lavorare. Fermiamoci qui.
L’operazione è risultata finora vincente perché al disagio sociale di cui abbiamo parlato si offrono due messaggi efficaci: ce la sto mettendo tutta e ci credo, stiamo pagando gli abusi di ieri, quindi, i “privilegiati” debbono pagare. Ma chi sono i privilegiati? In una società in crisi, individualizzata e frantumata, terribilmente impoverita sul piano culturale, diventano quelli più vicini a noi. Chi ha un lavoro è privilegiato per chi non lo ha, chi lo ha fisso è privilegiato per chi è precario, chi guadagna duemila euro lo è per chi ne guadagna mille. E gli altri? I ricchi veri?
Quelli sono lontani e non si vedono. Nella colonna sociale che non marcia più in avanti, si guarda al vicino con invidia. E se non si riesce più a vedere in chi sta molto più avanti il soggetto al quale togliere qualcosa per darlo a chi sta soffrendo, viene naturale guardare a chi ci sta accanto. E così dalla lotta di classe si scade nell’invidiadentro la classe.