Quando gli storici arriveranno a scrivere la storia dell'opposizione al regime Berlusconi, non c'è il minimo di dubbio che riserveranno un posto di rilievo alla manifestazione di oggi. Nata da nulla, cresciuta in modo del tutto anomalo rispetto alle classiche mobilitazioni partitiche della storia repubblicana, il No Berlusconi Day impone la considerazione di una serie di temi importanti. Uno di questi è lo stato di salute della società civile e la comparazione di questa manifestazione con la sua sorella girotondina di sette anni fa, sempre in Piazza San Giovanni. Un secondo tema riguarda i ceti medi italiani (più di 60% della popolazione), la loro stratificazione e potenzialità alla fine di un decennio di neo-liberismo puro, culminato in una gravissima crisi occupazionale. L'ultimo tema è il rapporto, finora sciagurato, tra società politica e società civile nella sinistra italiana.
Sul primo, colpisce subito l'entrata in scena di una nuova componente della società italiana. I giovani che si sono mobilitati oggi condividono molti dei valori dei girotondi ma sono diversi da loro. I girotondi, cresciuti culturalmente con il '68 e occupati soprattutto nel settore pubblico godevano in gran parte di un lavoro stabile e avevano in media più di quarant'anni. Erano (è lo sono tuttora ) dei ceti medi riflessivi, nel senso che sono capaci di rivolgere uno sguardo critico nello stesso tempo all'evoluzione della modernità e alle proprie attività. Ma essi erano anche economicamente integrati. Lo stesso non si può dire dei giovani che si sono mobilitati oggi. Anche loro sono cittadini critici e attivi ma fanno parte della prima generazione, nella storia della repubblica, a subire in modo massiccio la mobilità sociale discendente. Spesso possono vantarsi anche loro di un capitale culturale alto, ma di un capitale economico pressappoco inesistente. Non hanno lavoro, né prospettive di auto-realizzazione. La loro voce, quella di San Precario per intenderci, è un grido di angoscia ma anche, straordinariamente, di rispetto della legge e della Costituzione.
Il secondo punto: che potenzialità politica hanno questi due strati dei ceti medi, diversi tra di loro per età e reddito ma che oggi si trovano nella stessa piazza (e spesso sotto lo stesso tetto)? Per quanto riguarda i movimenti sociali in generale, troppo spesso si parla di fiumi carsici che scompaiano per anni per poi tornare improvvisamente in superficie. E' una metafora troppo facile e consolatoria. I ceti medi "garantiti" hanno sempre la possibilità di "uscire" dalla sfera pubblica, di ritirarsi nel privato, di auto-congratularsi sul tentativo di cambiare le cose, finito male non per colpa loro. Si può dire la stessa cosa dell'altro ceto, più giovane e colorato di viola? E' troppo presto dirlo. Ma per loro si gioca il futuro stesso. Sono più costretti a stare in trincea da un mercato del lavoro disastroso. Certamente, in un mondo del lavoro così atomizzato ci vuole una grande dose di creatività per poter restare insieme. L'abbiamo vista nella preparazione di questa manifestazione ma non sarà facile sostenere il momentum.
L'ultimo punto riguarda il rapporto con la politica. Si riuscirà questa volta ad evitare le sciagure del 2002-2003, quando i politici di sinistra giocavano, abbastanza cinicamente, a prendere tempo, cooptare qualcuno, ed aspettare che il movimento si sgonfiasse, come puntualmente si è verificato? Allora erano stati persi decine di miglia di cittadini alla politica attiva. Nulla nel comportamento del leadership del Pd promette meglio, questa volta. E non è solo una questione di responsabilità politica. Qui bisogna ripensare le categorie stesse della politica, la connessione tra società civile e partiti, tra democrazia rappresentativa e quella partecipata. Ci vuole della teoria politica all'altezza del momento. Quella vecchia e gloriosa, propria della democrazia, va difesa a tutti i costi, ma ci vogliono anche strumenti nuovi che impediscano che la piazza rimanga piena ed impotente mentre il palazzo si lecca i baffi per l'ennesima volta.