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James Sainsbury
Una buona vita: quanto costa?
2 Marzo 2013
Libri segnalati
Con spirito fortemente critico rispetto ai valori dominanti che diamo per scontati, la recensione a due libri recenti sul rapporto tra valore economico e valore dell'esistenza.

Con spirito fortemente critico rispetto ai valori dominanti che diamo per scontati, la recensione a due libri recenti sul rapporto tra valore economico e valore dell'esistenza.

The Ecologist, marzo 2013 (f.b.)

Titolo originale: What price the good life? Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

- Robert e Edward Skidelsky, How Much Is Enough? The Love of Money, and the Case for the Good Life
- Michael Sandel, What Money Can’t Buy: The Moral Limits of Markets

Si tratta di due libri che restituiscono l'economia al suo autentico contesto filosofico e morale, sottraendola alla attuale presunta posizione di scienza. Il lavoro degli Skidelsky è una critica radicale alla nostra vera e propria ossessione per la crescita economica, e alla stessa economia che, sviluppatasi quando la scarsità era norma, ed efficienza e crescita parevano promettere un mondo migliore, oggi mal si adatta a un'era in cui il mondo occidentale vive un'abbondanza un tempo del tutto inimmaginabile.

Gli autori partono da un discorso di John Maynard Keynes del 1930 in cui prevede che entro il 2030 la Gran Bretagna sarà cinque volte tanto più ricca, lavorando cinque volte meno, e disponendo di tanto più tempo per coltivare lo spirito. Oggi siamo davvero più o meno così ricchi, ma che ne è stato del tempo liberato? Gli Skidelsky ci spiegano come si sia semplicemente allargato il concetto di cosa è sufficiente, e che se si continua e seguire l'attuale ortodossia, si andrà avanti in modo indefinito, senza alcun limite per l'accumulazione. Prima dell'era scientifica, l'amore per il denaro era considerato una debolezza morale, e tutte le culture avevano un senso del limite (anche se certamente in un mondo privo di troppe aspettative di mobilità sociale o progresso tecnico). Da Adam Smith in poi tutto questo viene sostituito dall'accettazione di poter possedere di più, anzi dall'ammirazione per chi accumula ricchezze.

In modo simile anche altre civiltà hanno creduto in una buona universale qualità della vita, al fatto che il denaro fosse un mezzo per raggiungere un fine, non un fine a sé. Oggi però politica ed economia non parlano più della vita, ma solo di occasioni, efficienza, livelli di consumo, al massimo di diritti. In modo quasi universale non hanno alcuna propensione ad esprimersi su cosa possa essere una buona vita. Un limite particolarmente grave con l'attuale trionfo dell'economia rispetto ad altre discipline di studio, sino a diventare in realtà la teologia dei nostri tempi. E i pensatori liberali sono convinti della posizione di neutralità fra concezioni contrapposte di cosa possa essere una buona vita, sul non esprimere un giudizio a proposito di cosa possa essere più auspicabile di altro. Una neutralità artificiale, che lascia di fatto tutti gli interessi economici a dominare, a cercare di convincerci a consumare di più.

Sino ad un certo punto di ricchezza delle nazioni, naturalmente, la crescita economica spinge verso una buona vita, la rende disponibile a più persone. Ma oltre quel punto la ricerca della crescita in realtà ci allontana dalla vita, per le pressioni esercitate su tempo, relazioni, natura, autostima, soddisfazione, benessere. A differenza di altri autori, gli Skidelsky non mettono i propri paletti quando si tratta di offrire soluzioni: ma delineano piuttosto una propria definizione di vita, precisando il tipo di scelte generali che possano contribuire a raggiungerla. Una buona vita, affermano, non è semplicemente una sequenza di condizioni soggettive accettabili, ma qualcosa in grado di accogliere in sé valori umani essenziali universali, che presi nel loro insieme ci diano motivo concreto e duraturo per la felicità. Li individuano nella salute, sicurezza, rispetto, amicizia, personalità (ovvero il tempo e spazio per svilupparne una autonoma individuale), coltivazione dello spirito e armonia con la natura.

Per portarci a questa condizione, propongono scelte generali come il reddito minimo garantito, una minore pressione a consumare attraverso una contenimento indotto della comunicazione pubblicitaria (definita “costruzione programmata dell'insoddisfazione”) e un'imposta progressiva sui consumi, a cui si aggiungono un tetto massimo alle ore di lavoro esteso a tutta l'Unione Europea, e un modello di scambi complementare anziché concorrenziale. Idee abbastanza contraddittorie e discusse, certo eresia rispetto al classico punto di vista economico ortodosso, ma se le guardiamo dal punto di vista della buona vita certamente difficili da contestare. Ed è il principale merito del libro il fatto di indicarle con tanta chiarezza e decisione.

Il lavoro di Michael Sandel, What Money Can’t Buy, è complementare alla visione degli Skidelsky, con la sua disamina degli effetti morali del trionfo del mercato. Sandel analizza il modo in cui i valori di mercato hanno invaso la sfera pubblica, sfruttando cose come lo sport o altri aspetti dell'esistenza prima dominati da valori non artificiali, e ce ne mostra gli effetti corrosivi. Scrive: “La più disastrosa trasformazione avvenuta nel corso degli ultimi trent'anni non è tanto la crescita dell'avidità. È invece l'allargarsi del mercato, dei valori di mercato, verso ambiti dell'esistenza a cui essi non appartengono”. E ci elenca numerosi esempi di cose per cui si è creato o si è gonfiato sino a dimensioni enormi un mercato, come gli interventi sulle celle dei carceri, la sponsorizzazione nei nomi degli impianti sportivi, la compravendita di organi umani, l'uso della maternità surrogata nei paesi poveri, gente pagata appositamente per stare in fila davanti al botteghino di uno spettacolo, il diritto di abbattere un rinoceronte, o quello di emettere gas serra.

Questo ragionare tutto attorno al trionfo del mercato, ci spiega, svuota la vita pubblica di qualunque morale, crea ingiustizia e degrado dei valori. Gli esempi scelti da Sandel ci mostrano come “negli ultimi decenni si sia assistito alla ridefinizione dei rapporti sociali a immagine di quelli di mercato” e che “più il mercato si allarga verso la sfera dell'esistenza non-economica, più si intreccia viziosamente con le questioni morali”. Ancora riprendendo il punto di vista degli Skidelsky, si sottolinea quanto lungi dall'essere neutrali, i meccanismi di mercato e incentivo sopprimano tutto quanto al mercato non attiene, riducano l'importanza della sfera pubblica, dello spirito di cittadinanza, del bene collettivo e della vita stessa. Sandel afferma che va confermato e rafforzato il ruolo e forza dello spirito civico, se non si vuole farlo scomparire. “Altruismo, generosità, solidarietà, spirito civico, non sono merci che si consumano con l'uso” scrive. “Assomigliano molto di più a dei muscoli, crescono e si sviluppano esercitandoli. Uno dei difetti di una società dominata dal mercato è quello di lasciare immobili tali virtù”.

Entrambi questi importanti lavori mettono eloquentemente in discussione il trionfo del mercato, col suo vuoto di valori morali, estetici, spirituali, l'assenza di discussione pubblica sui fondamenti economici. Ci spiegano come per affrontare l'ottusa ortodossia di una crescita senza fine si debba offrire una visione alternativa chiara ed eloquente.

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