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Andrea Kerbaker
Un quartiere, non solo business
2 Settembre 2011
Milano
Dal Corriere della Sera Milano, 2 settembre 2011, tono da scoperta dell’acqua calda per una improbabile critica urbanistica a uno dei progetti simbolo del centrodestra. Postilla, (f.b.)

In tutta la zona delle ex Varesine, i lavori edili che negli ultimi anni hanno fatto tanto discutere sono ormai a uno stato piuttosto avanzato. È pienamente operativo il nuovo palazzo delle Regione, ad opera dello studio americano Pei; resta da aprire il lato di via Restelli, dove il recente arrivo di alberi lascia immaginare una rapida conclusione dei lavori. A buon punto anche l'edificio di Cesar Pelli, che ospiterà tra l'altro 4 mila dipendenti di Unicredit. Oltre la stazione Garibaldi, si intuisce ormai appieno la fisionomia dello stabile progettato da Stefano Boeri: un giardino verticale di nuova concezione per la città, su cui si appuntano le curiosità di molti osservatori. Anche gli altri edifici sono piuttosto avanti; un'occhiata al plastico in visione nella villetta della Fondazione Catella, dice con chiarezza quanto poco manca alla conclusione.

Nella parte viaria, i lavori infrastrutturali sono certamente più indietro; tuttavia il disegno è percepibile. La prossima apertura del primo tratto della linea 5 della metropolitana — quello diretto al Nord, fino a Sesto San Giovanni — renderà la zona quella meglio servita della città, con tre linee di metrò, il passante, la stazione ferroviaria di Garibaldi, e Centrale a due passi. Una volta conclusa la parte stradale, grazie al nuovo tunnel di viale della Liberazione, sarà possibile camminare praticamente senza macchine da via Pola fino a Piazza XXV Aprile (dove, si spera, un giorno termineranno gli eterni lavori del parcheggio).

A nord, l'area si appoggia all'Isola, che per ora è rimasta a guardare, cercando di mantenere la sua fisionomia di quartiere di carattere, con le abitazioni a misura d'uomo, e, negli ultimi anni, un buon numero di locali, a vivacizzare la vita serale e notturna con una movida non eccessiva e perfettamente sostenibile. Rispetto al nuovo che avanza, l'Isola non ha proprio manifestato entusiasmo, tra opposizioni alle nuove costruzioni, un pò di nostalgia e molto scetticismo. A noi pare invece che, pur con qualche evidente difetto (per esempio i nuovi edifici di via Confalonieri incombono sulla strada, troppo stretta per sopportare la mole di quelle altezze), il risultato finale sia più che condivisibile.

Sugli edifici del viale della Liberazione, c'è però un cartello, «La location per il business del futuro» che, al di là dell'agghiacciante anglitaliano, induce al timore che gran parte della zona si trasformi in una pura sede di lavoro, destinata all'abbandono serale. È già accaduto, per esempio, a Bicocca; con risultati certo non encomiabili la notte e i weekend; una volta che è successo, recuperare diventa praticamente impossibile.

Alle Varesine il rischio è evitabile, a patto che si sfrutti adeguatamente la vicinanza con l'Isola, avviando un'integrazione con la sua vita diurna e notturna. Allo scopo, si raccomandano politiche che favoriscano l'apertura di negozi e locali, e mantengano alto il tasso di abitazioni, evitando la proliferazione incontrollata degli uffici. È inoltre essenziale che nelle nuove aree vengano organizzate da subito occasioni frequenti di vita e ritrovo serale, per far sì che, più che una «location», nasca un quartiere, dove oltre che «business» c'è anche vita.

postilla

Per chi ha conosciuto quell’area fino agli anni ’80, forse il paragone è possibile e lecito: meglio un quartiere bombardato, di aree ferroviarie dismesse ma sgomberate, di improvvisati praticelli e giardinetti a uso di pendolari in transito, o la baracconata anni ’60 fuori tempo massimo che sta spuntando adesso? Di questo si tratta, infatti, con poche differenze, ovvero del Centro Direzionale vagheggiato a suo tempo, in salsa aggiornata per quanto riguarda le architetture, i serramenti, i boschi verticali. Per nulla cambiato invece per l’orientamento automobilistico, con lo stradone multi corsia ubiquo, gli edifici buttati lì (si capisce un po’ anche dalla descrizione nell’articolo: architetture singole, non ambienti) sul campo aperto. E il “business” visto che non siamo più negli anni ’60 della millecento e delle sigarette doppio filtro per la signora elegante è solo quello immobiliare, come a modo suo racconta il cartello anglofono LA LOCATION PER IL BUSINESS eccetera.

Ovvero quella stilisticamente attempata curtain wall è probabilmente destinata a coprirsi di polvere nell’attesa di qualche inquilino in grado di iniziare un po’ a popolarlo almeno di impiegati in pausa pranzo, quel sedicente quartiere. L’unica speranza è che, come al solito, ci pensino il tempo, e l’adattabile improvvisazione umana, a scavare nel nulla urbanistico di questa ennesima tragicomica caricatura, a dargli un senso diverso dal vuoto pneumatico che ci lascia in eredità il pubblico-privato di marca ciellina & company (f.b.)

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