ASSETTO DEL TERRITORIO
Governo del territorio e urbanistica
Problemi e ritardi
Il sistema dell’urbanistica regionale è caratterizzato da una forte resistenza al cambiamento, legata soprattutto a una posizione tecnico-politica centralistica e a una visione tutta procedurale e burocratica del governo del territorio. Ne consegue che la percezione dominante dell’urbanistica nella società pugliese sia associata non certo alla prospettiva di nuovi futuri desiderabili, ma a un coacervo spesso contraddittorio di procedure e atti amministrativi di esasperante lentezza, che ai più sembra artificiosamente frapporsi a istanze e programmi di sviluppo. La mancanza di qualsiasi efficace quadro di assetto generale ad ampia scala appare espressione evidente della difficoltà di costruire scenari coerenti e condivisi di tutela e sviluppo del territorio regionale, che consentano di delineare strategie di qualificazione delle risorse sociali ed ambientali e di superare la dominante interpretazione regolativa e vincolistica delle funzioni di governo del territorio.
In assenza di efficaci indirizzi di assetto territoriale a scala regionale e provinciale, tutto il sistema di governo del territorio permane incentrato su una scala comunale di pianificazione fatta di piani surdimensionati e sempre più spesso snaturati da centinaia di accordi in variante, i quali assecondano le iniziative imprenditoriali ritenendo valida ogni sorta di contropartita, in assenza di quadri di riferimento ambientali, economici e sociali, rispetto ai quali valutarne vantaggi e svantaggi collettivi e di regole di equità e trasparenza sulle quali basare le negoziazioni pubblicoprivato.
Le province che hanno avviato esperienze di pianificazione territoriale non hanno avuto alcun sostegno dalla regione, che, anzi, anche nei più recenti provvedimenti legislativi ha confermato il proprio accentuato centralismo. Mancano anche esperienze di pianificazione specialistica nel campo delle aree protette e dei bacini idrografici, mentre i piani nel campo dell’assetto idrogeologico, dello smaltimento dei rifiuti o delle attività estrattive, sono stati costruiti senza disporre di quadri conoscitivi robusti e di alcun riferimento a opzioni complessive di sviluppo del territorio. Il risultato consiste nella frammentarietà e incoerenza dell’azione regionale, in un esercizio del potere che, per i suoi caratteri di marcata discrezionalità e dipendenza da contingenze specifiche, non offre sufficienti certezze ad attori istituzionali e operatori sociali ed economici.
Questi problemi caratterizzano anche la pianificazione paesistica in atto. Il Putt/paesaggio, infatti, lungi dal proporsi quale strumento di governo del territorio orientato a valorizzare le cospicue risorse ambientali e culturali della regione, intendendole quali potenziali fonti di sviluppo e rigenerazione degli ambienti insediativi regionali, anche in ragione di un’inadeguata base informativa, ha finito per rinviare alla fase attuativa, ossia alla pianificazione comunale e ai singoli progetti di trasformazione, la gran parte delle scelte in merito alle trasformazioni desiderabili e possibili. Il parere paesaggistico e l’attestazione di compatibilità paesaggistica, strumenti previsti dal Putt/p per la trasformazione dei territori di maggiore pregio, rischiano di diventare niente più che ulteriori passaggi burocratici nella catena esasperante dei controlli esercitati dalla regione nei confronti degli enti locali.
Linee guida dell’azione regionale
In relazione ai problemi sin qui accennati l’azione del governo regionale deve orientarsi rapidamente verso:
-il superamento dell’attuale fase di incertezza e confusione normativa, legata anche alla contemporanea vigenza di due leggi regionali in materia di governo del territorio, la 56/1980 e la 20/2001;
-la rottura del modello gerarchico e centralistico che ha dominato, sin dall’inizio, il governo regionale del territorio in Puglia;
-il rinnovamento delle forme di tutela del paesaggio secondo le indicazioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
- la messa in atto di più agili, efficaci e trasparenti procedure di approvazione o verifica di conformità dei piani, e ogni altra forma di autorizzazione in merito alle trasformazioni d’uso del suolo, da un lato, operando uno sforzo straordinario di recupero dei ritardi accumulati, anche definendo ‘corsie accelerate’ per specifici temi di rilevanza strategica, dall’altro, agendo sul duplice fronte della semplificazione procedurale e del decentramento di funzioni;
- il superamento della prassi estemporanea, e spesso sregolata, di trasformazioni in variante ai piani, testimoniata dalle centinaia di accordi di programma giacenti presso l’Assessorato all’Assetto del Territorio in attesa di esame;
-la costruzione di rapporti sinergici fra il sistema di governo del territorio e le iniziative di tutela ambientale e programmazione dello sviluppo;
- il sostegno all’innovazione delle pratiche di pianificazione locale, perché questa, riconosciuto l’esaurimento della spinta all'espansione urbana, si orienti decisamente verso obiettivi di miglioramento della qualità dell’ambiente e della vita dei cittadini, di bonifica di aree inquinate, di riqualificazione di aree degradate e recupero dei tessuti urbani consolidati.
Condizioni e modi di realizzazione
Per realizzare tale disegno programmatico occorre dare attuazione coerente sia agli obiettivi perseguiti dalla nuova legge urbanistica regionale n. 20/2001 “Norme generali di governo e uso del territorio”, consistenti nello sviluppo sostenibile, nella tutela dei valori ambientali, storici e culturali e nella riqualificazione territoriale sia ai principi sanciti dalla stessa legge: “sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione; efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti; trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione; perequazione”.
Non è facile in tempi brevi indirizzare il sistema di pianificazione regionale verso tali obiettivi e principi: occorre rimuovere routine burocratiche radicate e costruire una nuova cultura del governo del territorio. Innanzi tutto, sostituire alla logica del controllo quella della pianificazione, alla prassi degli accordi “caso per caso” quella della concertazione istituzionale per il perseguimento di obiettivi strategici, alla cultura dell’espansione e del consumo del suolo quella della salvaguardia e della riqualificazione del territorio. L’innovazione di principi e strumenti introdotta dalla legge non può essere sufficiente a tale fine. Peraltro, la legge presenta problemi interpretativi sostanziali e procedurali. Al documento regionale di assetto generale (DRAG) è affidato il compito di definire gli ambiti di tutela e conservazione dei valori ambientali e culturali, gli indirizzi per la formazione, il dimensionamento e i contenuti dei piani provinciali e comunali, gli schemi delle infrastrutture di interesse regionale. Ma l’attuale versione del DRAG, costruita senza la necessaria partecipazione e condivisione pubblica, ripropone un modello consolidato di governo del territorio la cui inefficacia è ben chiara ai più. Occorre quindi reimpostare il DRAG, perché questo diventi quadro condiviso delle grandi opzioni strategiche regionali, e quindi riferimento innanzitutto per l’azione della regione nei diversi settori, perché valorizzi l’esperienza delle province nel campo della pianificazione di area vasta, e perché sia in grado di fornire risposte alle difficoltà comunali di governo del territorio a scala locale.
Più in particolare, così come da tempo è accaduto in pressoché tutte le regioni italiane, bisogna rafforzare il ruolo delle province nella pianificazione territoriale, consentendo ad esse di svolgere efficacemente i compiti assegnati dalla legislazione nazionale e regionale, e valorizzando il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) anche attraverso l'assimilazione e lo sviluppo dei contenuti della pianificazione paesaggistica. Analogamente, occorre sostenere i comuni nella faticosa attività di rinnovamento della pianificazione comunale, interpretando il principio della co-pianificazione come rapporto collaborativo che dovrebbe legare regione ed enti locali durante l’intero percorso di costruzione/approvazione del piano, e non solo, come sancito dalla legge regionale 20/2001, la fase terminale del processo in caso di deliberazione dell’incompatibilità del PUG con il DRAG o il PTCP. Questo è un punto critico di importanza primaria. Infatti, appare difficile immaginare di poter fondare la nuova pianificazione su una partecipazione convinta, responsabile ed efficace dei diversi soggetti alla costruzione delle scelte, piuttosto che, come avveniva in passato, su una distinzione gerarchica delle competenze, se il metodo della copianificazione per il livello comunale si adotta solo in caso di difformità rispetto ai piani ‘sovraordinati’.
Una maggiore flessibilità del piano comunale e autonomia decisionale degli enti locali, sollecitata da tempo e con forza da questi ultimi, dovrebbero essere accompagnate dall’introduzione di criteri di qualità e di rischio per la valutazione preventiva di compatibilità ambientale delle trasformazioni, in linea con quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE del 27 giugno 2001 sulla Valutazione Ambientale Strategica. In assenza di quadri valutativi, le intese istituzionali che la legge 20/2001 introduce nelle procedure di pianificazione ordinaria (accordo di programma e conferenza dei servizi) rischiano di svilupparsi sulla base di criteri contingenti e di condurre, nei casi migliori sinora alquanto rari, a qualche miglioramento di efficienza del processo decisionale.
Infine, appare essenziale e indifferibile la costruzione di un sistema informativo territoriale, da concepire come quadro integrato di conoscenze a sostegno del “nuovo” sistema di pianificazione regionale. La moltiplicazione di portatori d’interessi e il crescente protagonismo di una società civile che rivendica un ruolo attivo nei processi decisionali, assieme all’articolazione dei livelli decisionali e alla frammentazione di iniziative e istanze di trasformazione del territorio, richiedono, infatti, una ricomposizione dei quadri di conoscenza che, pur non annullando le differenze di visioni e approcci fra diversi settori e livelli di intervento, consenta di disporre di sfondi comuni sui quali imperniare la nuova pianificazione regionale.
LE POLITICHE ABITATIVE
Un campo trascurato e dominato dalle logiche dell’emergenza
Il campo delle politiche abitative è stato trascurato dai recenti governi regionali, nell’ambito di un progressivo disinteresse dello stato nei confronti di vecchie e nuove forme di disagio sociale. Questo è accaduto nonostante l’ampiezza della domanda abitativa inevasa, il crescente fabbisogno di alloggi in locazione a canoni compatibili con situazioni economiche delle famiglie sempre più difficili, l’acuirsi di un disagio abitativo che colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione, l’ampliarsi delle aree di esclusione sociale e povertà.
In questo campo occorre passare dal dominio dell’emergenza che ha caratterizzato nel passato l’azione regionale a politiche ordinarie basate su capacità di analisi e programmazione, anche al fine di un migliore uso delle poche risorse disponibili e della riduzione di ampie sacche di iniquità.
La logica dell’emergenza e della straordinarietà non da buoni frutti. Si consideri, in particolare, la drammatica situazione degli IACP provinciali, tutti affidati alla guida di commissari straordinari, caratterizzati da situazioni economiche opache e talvolta perfino in dissesto, assillati da problemi di abusivismo, morosità, interventi d’urgenza. A tali problemi sono state date soluzioni non solo inadeguate ma anche confuse e inique, generando ulteriori problemi e iniquità. Basti pensare alla sanatoria prevista dall’art. 60 della l.r. n. 1/2005 o ai modi casuali e mirati solo a incassare danaro mediante cui si è proceduto all’alienazione del patrimonio pubblico. Occorre radicalmente invertire questo modello di gestione.
È necessario, inoltre, muovere dalla tradizionale concezione settoriale dell’edilizia residenziale pubblica, quale area d’intervento preposta alla realizzazione di nuovi alloggi destinati a soddisfare il fabbisogno abitativo di fasce sociali incapaci di accedere al libero mercato, verso la costruzione di politiche abitative atte ad affrontare una gamma di bisogni e problemi persistenti ed emergenti: da quelli che richiedono tempestive misure di sostegno alle famiglie, a quelli che necessitano di politiche urbane integrate, capaci di agire simultaneamente sulle dimensioni fisiche, sociali ed economiche del disagio abitativo.
Verso condizioni ‘normali’ di conoscenza e azione
Per superare i problemi su accennati, appare indispensabile l’istituzione un Osservatorio sulle politiche abitative che consenta di comprendere con tempestività e accuratezza le evoluzioni di una domanda dinamica e in continua trasformazione e le ragioni di un’offerta statica e incapace di intercettare l’articolazione dei bisogni emergenti. Questo deve essere inteso come sede di confronto fra conoscenze esperte e saperi degli abitanti, coordinandosi con gli osservatori già operanti in altre regioni e con l’Osservatorio istituito presso il Ministero dei Lavori Pubblici.
Per risolvere i problemi su accennati, è necessario varare rapidamente norme di riordino delle funzioni amministrative nel campo delle politiche abitative e di trasformazione degli enti regionali operanti nel settore dell’edilizia residenziale pubblica. Nell’ambito di tali norme un ruolo molto rilevante dovrà essere assegnato agli enti locali, in linea con la politica di decentramento delle funzioni perseguita anche in altri campi dal governo regionale, mentre gli enti dovranno essere trasformati in aziende con bilanci in attivo, senza costi per la Regione, capaci di una gestione sana, trasparente e accorta del ricco patrimonio immobiliare del quale dispongono, costituito da circa 57.000 unità fra alloggi e locali. A tal fine occorre affidarsi a strutture dirigenziali di elevata professionalità e integrità. Nel frattempo, bisogna revisionare e aggiornare la normativa per l’assegnazione degli alloggi ERP e la determinazione dei relativi canoni di locazione. Quanto al finanziamento delle politiche abitative, i problemi riguardano il carattere discontinuo e residuale dei flussi finanziari destinati al settore. Dalla legge n. 865/1971 in poi, i finanziamenti sono stati assicurati principalmente dallo Stato, mediante i fondi Gescal. Tale regime, però, è cessato nel 1998. Da allora alle regioni non sono stati più assegnati fondi. In passato la Regione Puglia ha finanziato l’ERP con fondi propri di bilancio, ma incanalandoli esclusivamente verso l’edilizia agevolata e quindi mai verso gli I.A.C.P. Da anni al settore non sono più destinati finanziamenti statali. Nell’attesa che lo Stato assegni alle Regioni almeno la spesa storica, come da queste è stato richiesto in varie sedi, sembra possibile fare da sé. Sono state identificate, e a breve verranno quantificate con precisione, economie di programmi precedenti, non più necessarie ai programmi in corso, e residui che hanno raggiunto entità tale da consentire la predisposizione di un nuovo piano casa. Parallelamente, si dovrà operare per rendere la spesa più efficace, incanalandola verso le aree di reale disagio. A tal fine si ritiene necessario operare in diverse direzioni, di seguito brevemente illustrate.
Sostegno alle famiglie mediante:
a) Intervento del bilancio regionale verso l' integrazione del fondo sociale per il contributo all’affitto e l' incentivazione dell'offerta di abitazioni in affitto per rispondere alla nuova domanda di giovani, anziani, di nuova mobilità per lavoro ecc. In proposito si evidenzia che di fronte a una domanda crescente anche in termini finanziari, i trasferimenti statali (legge n. 431/98) si sono progressivamente assottigliati. In Puglia, i contributi alle famiglie per abbattere il canone di locazione per l’anno 2004 ammontano a 20 milioni di Euro di fondi statali, cui si aggiungono fondi regionali per 15 milioni di euro.
b) Istituzione di un apposito fondo sociale regionale per i casi di morosità incolpevole, accompagnato da misure che agevolino la comunicazione fra inquilini e istituti, coinvolgendo a tal fine sindacati, associazioni, comitati di quartiere e simili organizzazioni.
c) Concessione di contributi in conto capitale erogati direttamente alle famiglie per l’ acquisto della prima casa.
D) Concessione di contributi in conto capitale a imprese e cooperative, prioritariamente per il recupero di alloggi da vendere o assegnare a famiglie prive della prima casa e aventi specifici requisiti. Tali contributi dovranno essere integrati con il risparmio familiare e con mutui bancari, i i cui tassi di interesse sono ormai sufficientemente bassi da risultare convenienti. Per tale motivo non si ritiene opportuno che la Regione, come è avvenuto in passato, conceda contributi sugli interessi, peraltro dispendiosi dal punto di vista procedurale e richiedenti impegni finanziari per almeno quindici anni.
Recupero di immobili I.A.C.P.
Occorre ripristinare condizioni di vivibilità in un patrimonio edilizio caratterizzato da estesissime aree di obsolescenza e degrado e porre le basi per l’avvio una politica di manutenzione programmata da parte degli enti. Quest’ultima consiste in attività di manutenzione ordinaria finalizzata a conservare il valore e i livelli di funzionalità dell'immobile, migliorando il rapporto tra risorse impegnate e soddisfacimento degli abitanti. L’azione regionale deve sostenere il passaggio dall’attuale situazione di interventi manutentivi dettati da motivi di urgenza (riparazione di guasti) a programmi di manutenzione basati sull'analisi dei cicli di obsolescenza delle diverse componenti. Parallelamente, dovrà sostenere programmi sperimentali che esprimano un deciso orientamento verso la sostenibilità urbana attraverso progetti capaci di coniugare ricerca su tecnologie pulite e compatibili con l’ambiente, creazione di nuove professionalità, crescita dell’occupazione, ed sviluppo di pratiche di recupero e riqualificazione urbana.
Azioni integrate e partecipate di riqualificazione dei quartieri.
La Regione, quale ente di programmazione e promozione, non può limitarsi a ripartire e assegnare i fondi, ma deve orientare la propria e l’altrui azione verso interventi che incidano allo stesso tempo sul degrado edilizio, sul disagio sociale e sulle tendenze di trasformazione urbana, evitando l’espulsione delle fasce sociali deboli dalle città centrali e la diffusione insediativa, lo spreco di suolo, lo svuotamento delle parti storiche della città, la formazione di ghetti urbani desolanti, l’inquinamento da mobilità veicolare. Essa, inoltre, può indurre altri soggetti pubblici e privati a concorrere con fondi propri alla soluzione dei problemi abitativi e a sperimentare tecnologie eco-compatibili. A tal fine può promuovere interventi da realizzarsi mediante i cosiddetti “programmi complessi”, ossia interventi integrati miranti ad agire simultaneamente sul degrado fisico e sul disagio sociale, da attuarsi nelle zone degradate delle città, siano esse aree in P.d.Z. 167 o parti della città storica, mediante il coinvolgimento diretto degli abitanti e contenuti e procedure coerenti con le peculiarità dei problemi di grandi città e piccoli centri della regione. In tal modo i programmi integrati non sarebbero più interventi "di nicchia", legati a finanziamenti straordinari esterni, ma diverrebbero parte di politiche urbane volte alla soluzione degli intricati problemi fisici, sociali ed economici dei quartieri in crisi. Anche in quest’ambito, pertanto, l’obiettivo dello sviluppo dell'edilizia in locazione deve essere considerato cruciale.
L’ampia risposta dei comuni pugliesi al recente bando dei Contratti di Quartiere II, istituiti con legge statale 21/2001, art. 4, quali “programmi innovativi in ambito urbano”, segnala il grande interesse verso simili strumenti di politica urbana. Tuttavia, l’enfasi eccessiva posta dal bando regionale sull’ammontare di risorse finanziarie attivate dai privati mediante interventi edilizie, a scapito di altri elementi compresi negli indirizzi statali, quali la partecipazione degli abitanti alla definizione degli obiettivi del programma o il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati per incrementare l’occupazione, favorire l’integrazione sociale e fornire servizi, rischiano di tramutare i Contratti in “occasioni” offerte dal pubblico per realizzare iniziative immobiliari in variante ai piani.
Risorse umane e struttura organizzativa
La realizzazione degli obiettivi programmatici sin qui succintamente esposti rende necessari e urgenti interventi di potenziamento della struttura e revisione dell’attuale modello organizzativo, da affidarsi sia alla riqualificazione delle professionalità esistenti sia all’inserimento di nuove figure professionali. Un simile impegno deve essere finalizzato soprattutto a re-orientare l’azione della struttura verso i compiti di pianificazione e indirizzo strategico propri del governo regionale. Vi è da aggiungere che esso richiede un radicale mutamento del metodo di lavoro nella direzione dell’intersettorialità e dell’interscalarità, ossia della ricerca di coerenza e sinergie fra risorse e politiche di settore e fra le azioni dei diversi livelli istituzionali (regione, province e comuni, nell’ambito delle programmazioni europee e nazionali). Un particolare sforzo di riqualificazione e innovazione professionale è necessario anche a questo scopo.
http://www.regione.puglia.it/quiregione/web/files/territorio/documento_programmatico.pdf).