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Raffaele D'Agata
Un progetto per una comunità democratica del lavoro
20 Febbraio 2009
Articoli del 2009
Una proposta per ricominciare da subito a riconquistare la politica. Il manifesto, 20 febbraio 2009

Larga parte del paese rischia di non essere rappresentata, non solo per lo sbarramento del 4%, ma per mancanza di forze che svolgano tale funzione. L'idea di costruire quella rappresentanza politica ha cominciato a prendere contorni operativi (Pianta e Marcon sul manifesto del 13 febbraio). Tre uomini e tre donne, non candidati e senza cariche di partito, dovrebbero fungere da comitato dei saggi che, insieme a dei garanti, dovrebbero organizzare le primarie per la scelta di programma e candidati per le europee. Questi ultimi - anch'essi privi di cariche di partito - dovrebbero stringere un patto tra loro e con gli elettori. Per essere coerente, il progetto dovrebbe avere la collaborazione pratica di tutti i partiti.

Al momento si può prevedere che almeno due (Pdci e Prc) lo escluderebbero, per la loro scelta di essere segno esclusivo di un'identità comunista. Sembra necessario rispettare la verità che una tale scelta esprime. Quel nome e quel simbolo sono parte essenziale del processo di formazione di quella parte del paese che si tratta di unire e rappresentare e che corrisponde al grande spazio politico lasciato vuoto dal Pci. Nulla di minoritario, insomma.

Ben strano marxismo sarebbe però ignorare che quel nome e quel simbolo rappresentano ora un fattore di divisione tra le persone prima che tra gli addetti ai lavori. Si possono criticare i processi culturali che si riflettono in ciò, ma questa critica ha tempi più lunghi rispetto al problema da affrontare. Del resto, già il Pci cominciò a essere un grande partito di massa quando offrì il proprio programma politico, e non una dottrina, come criterio di adesione. Certo, il programma politico era allora impensabile senza il radicamento in un patrimonio d'idee di esperienze maturate attraverso l'intera storia del movimento operaio in tutte le sue fasi e in tutte le sue articolazioni. Ma la grandezza di Togliatti e dei suoi successori, fino a Berlinguer, fu nella capacità di coinvolgere innumerevoli coscienze in un percorso volto più a riconoscere le radici dai frutti che a concentrarsi sulle radici.

Niente perciò sarebbe perduto, e tutto sarebbe raggiungibile, se il patto che viene sollecitato e proposto fosse definito e sancito come tale da stringere e impegnare, unire e rappresentare, tutte le persone che sentono e cercano il lavoro come un bisogno, come un diritto e come un dovere, comuni a tutte e a tutti. Persone ai cui occhi molte risorse devono essere riconosciute e trattate come comuni e inestimabili (lo spazio da abitare e il sapere, con tutto ciò che ne discende). Per le quali il denaro in tutte le sue forme, e specie il credito e la finanza, devono essere al servizio del lavoro dell'uomo, sicché ogni loro diversa destinazione deve essere scoraggiata. Che affermano il diritto di sviluppare la propria identità di genere, culturale, nazionale, religiosa, e insieme sanno che ciò comporta il riconoscimento e lo sviluppo dell'altrui distinta identità.

In queste o simili poche e semplici certezze milioni di cittadini e di lavoratori si possono riconoscere e sentirsi uniti al di là di ogni ulteriore differenza, che non giustifica alcuna divisione o frammentazione. Queste certezze rispecchiano un sentire comune che è frutto di una grande storia. Il patto dovrebbe definire e apprestare qualcosa che sia intanto già la casa di molti: dei comunisti, di tutti coloro che affermano la dignità dell'uomo a partire da diverse forme storiche di fede religiosa o di non credenza, in generale dei democratici più coerenti a partire dal meglio delle più grandi tradizioni di pensiero dell'umanità. Dovrebbe esprimere una comunità democratica del lavoro. Il suo nome - poiché dovrà intanto averne uno - potrebbe infine non suonare troppo lontano da queste parole.

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