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Paolo Berdini
Un patto ambiguo
2 Dicembre 2010
Articoli del 2010
Il sindacato degli edili ha dato «un brutto segnale di incapacità a farsi carico degli interessi di tutti contrapponendoli a quelli di pochi», il manifesto, 2 dicembre 2010

Di fronte ad una crisi reale del settore edile, 250 mila posti di lavoro persi in due anni, è naturale che i sindacati manifestino contro il governo. Devono difendere il proprio insediamento sociale e quindi hanno chiesto che le amministrazioni pubbliche paghino finalmente le imprese che da anni hanno maturato crediti.

Che di fronte a questa insostenibile situazione protesti anche l'Ance, associazione nazionale dei costruttori edili, è altrettanto sacrosanto: difendere le imprese rientra nel suo compito istituzionale. Non è dunque sulla manifestazione davanti alla Camera dei Deputati che si possono avere perplessità. È sul merito della proposta, o meglio sull'ambiguità e sulla genericità delle proposte che è doveroso interrogarsi.

Afferma il presidente dei costruttori nazionali che il governo «deve rimettere al centro l'edilizia». E quando mai, viene da chiedersi, l'edilizia non è stata al centro dei pensieri dei governi degli ultimi venti anni? Dai primi anni '90 è stata abolita qualsiasi regola urbanistica proprio perchè l'Ance affermava che era il mercato che doveva regolare lo sviluppo delle città. Ai piani urbanistici pubblici è stato sostituito l'accordo di programma privato: da allora proprietari fondiari e costruttori hanno potuto fare tutto ciò che volevano.

La «centralità dell'edilizia» di questi anni è stata misurata da Nomisma, Cresme e Istat: si è costruito a ritmi pressochè uguali a quelli degli anni del boom edilizio. Non è un problema soltanto italiano. Nell'inserto economico di lunedì scorso de la Repubblica, Marcello De Cecco individuava nel laissez faire in materia urbanistica uno dei più importanti elementi che hanno permesso la tumultuosa crescita economica dell'Irlanda e l'altrettanto rapida crisi di questi giorni. 
La genericità delle parole d'ordine della manifestazione di ieri è dunque comprensibile. Il «mercato» senza regole non ha risolto ma aggravato la crisi delle città: le periferie si espandono senza fine e i cittadini hanno sempre meno servizi.
Per ridare spinta al comparto edile bisogna soltanto voltare pagina. Tornare a programmare e utilizzare al meglio i soldi pubblici. Non è vero infatti che «non ci sono». È che vengono spesi soltanto in grandi opere privilegiando pochi cartelli di impresa. Occorre invece finanziare gli interventi di riqualificazione urbana senza consumare altro suolo agricolo, tagliando così, siamo l'unico paese europeo a non controllarla, la rendita parassitaria che toglie risorse economiche preziose all'economia italiana: nello sviluppo distorto di questi venti anni ha guadagnato la rendita fondiaria e non le imprese produttive. 
Per uscire dalla crisi occorre dare segnale nuovi, non si può continuare con il gioco devastante di una crescita urbana senza fine e con la cultura delle grandi opere. Che questa richiesta non sia venuta dall'Ance non stupisce più di tanto: questo sviluppo distorto ha fatto comodo a molti degli associati. Che sia stata taciuta dal sindacato è invece un brutto segnale di incapacità a farsi carico degli interessi di tutti contrapponendoli a quelli di pochi.

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