loader
menu
© 2024 Eddyburg
Giuseppe Bettoni
Un nome di cui non possiamo fare a meno
3 Gennaio 2018
de homine
Omelie Archivi Fraternità, 1 gennaio 2018. L’omelia di Capodanno di Padre Giuseppe Bettoni, attivo a Milano nelle pratiche di solidarietà a difesa dei più deboli e contro i soprusi dei venditori di morte, con postilla. (m.c.g.)

Omelie Archivi Fraternità

Gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo. C’è un angelo all’inizio di quel nome, perché il nome viene da lontano, appartiene a chi ci ha preceduto. Come quando i nostri genitori ci hanno dato il nome, quel nome che oggi ci identifica, ci appartiene, quel nome siamo noi.

Basta il nome senza tutti gli addobbi che siamo soliti appiccicargli: dottore, commendatore, don, avvocato, professore, monsignore (e dovrei declinarli quasi tutti anche al femminile)… il nome senza tutte queste qualifiche. Solamente il nome che ci accompagna dal primo giorno fino all’ultimo, e voglio pensare che essendo talmente nostro, pur non in esclusiva, ci starà attaccato addosso anche dopo, nella vita eterna, quando saremo faccia a faccia con Dio.

Ecco iniziamo il nuovo anno con un nome. Non lo iniziamo con altro, ma nel nome di quel Bambino di Betlemme che viene chiamato Gesù.

Il nome è come la vita: ti viene donato, non lo scegli tu. Tutto dipende poi da come lungo gli anni che hai a disposizione lo fai fiorire, gli dai spessore, lo riempi di cose belle, oppure se lo sfiguri con la durezza di cuore, con l’indifferenza, l’ottusità, la vigliaccheria, l’ozio, l’ira, la violenza…

Se ripensiamo al nome aramaico “Gesù” già dentro quelle quattro lettere nel loro significato che rimandano all’ebraico “Dio salva” c’è tutto il Vangelo che verrà dopo perché non è un nome che tende verso l’alto, verso la notorietà, la gloria, il successo, la fama… non ha bisogno che gli venga appiccicata una di quelle etichette che ricordavamo sopra.

Il nome Gesù significa Dio salva perché, come dice Paolo nell’inno ai Filippesi, Dio salva scendendo, abbassandosi… non c’è come quando qualcuno ti si fa vicino, ti dedica del tempo, si prende cura di te che ti senti “salvato”, nel senso che vieni liberato dalla paura, dal timore perché vieni amato e il tuo nome torna a vivere. Così è Gesù: è sceso, si è svuotato, si è consegnato per amore di me, di te, di ciascuno di noi. Così ci salva e così ci libera.

La cosa che sorprende è che un nome così sarebbe destinato all’oblio, alla disistima… invece come dice bene Paolo è proprio nel discendere e non nel salire, nell’abbassarsi e non nell’innalzarsi, nell’assumere la condizione di servo e non quella del padrone che Gesù salva e il suo nome emerge attraverso i secoli, oltre il tempo, ed è diventato un nome di cui non possiamo più fare a meno.

Iniziamo con questo nome il nuovo anno, perché il tempo che ci viene donato possiamo viverlo nel nome di Gesù, che vuol dire viverlo come Gesù: amando, condividendo, pregando, perdonando… anche se lo sappiamo che non sarà facile.

Non sarà facile vivere nel nome di Gesù l’economia delle nostre famiglie: come poter continuare ad essere capaci di solidarietà e di dono quando ci hanno annunciato come regalo di capodanno l’aumento della bolletta del gas, dell’energia elettrica e delle autostrade…!

Non sarà facile per la convivenza civile nel nostro Paese: ho già condiviso con voi la mia preoccupazione per i rigurgiti di fascismo, per i saluti romani sempre più frequenti nelle piazze… ma anche per l’emergere dei loro leader considerati ormai normali interlocutori politici!

L’indifferenza nei confronti della gravità e della pericolosità di tutti questi atti è il vero male capace di minare la nostra convivenza civile e democratica, perché il fascismo non porta valori, ma violenza. E noi dobbiamo dire l’importanza di capire perché accadono queste cose, non basta indicare il male perché esso non venga compiuto.

Ma non sarà facile questo nuovo anno nemmeno per la pace tra i popoli: non è pace l’aver sconfitto sul terreno il Daesh/Isis, quando paesi come l’Italia continuano a vendere armi al Qatar e agli Emirati Arabi e questi poi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa… e noi ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo?! Abbiamo speso 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno e per il 2018 si prevede un miliardo in più, denuncia p. Alex Zanotelli!

Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015[1]! E abbiamo venduto armi a tanti paesi in guerra, nonostante la legge 185 lo proibisca. Continuiamo a vendere bombe[2] all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’Onu.

Ecco in un contesto così non è affatto facile iniziare l’anno nel nome di Gesù. Come ricorda papa Francesco nel tradizionale messaggio per il 1° gennaio, che è ormai da 50 anni la giornata mondiale della pace, questa situazione è la principale causa del fatto che ci sono 250 milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati. Vale a dire uomini, donne e bambini, giovani e anziani che cercano un posto per vivere in pace e molti di loro per trovarlo sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte è lungo e pericoloso e ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani.

Come cristiani, cioè come coloro che portano quel nome che significa salvezza, salvare, liberare… non possiamo né tacere, né rimanere inerti.

Non possiamo tacere, perché la chiesa, come diceva il cardinale Giacomo Lercaro cinquant’anni fa nell’omelia di capodanno che poi gli costò la rimozione dalla cattedra di Bologna, non può essere neutrale di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia.

Si riferiva alla guerra degli USA in Vietnam che si protrarrà fino al 1975, un anno prima della sua morte, e disse esplicitamente: l’America si determini a desistere dai bombardamenti aerei sul Vietnam del Nord. E poi quasi presagendo ciò cui andava incontro: Il profeta può incontrare dissensi e rifiuti, anzi è normale che, almeno in un primo momento, questo accada: ma se ha parlato non secondo la carne, ma secondo lo Spirito, troverà più tardi il riconoscimento di tutti. È meglio rischiare la critica immediata di alcuni… piuttosto che essere rimproverati di non aver saputo illuminare le coscienze con la luce della parola di Dio.

Non solo non possiamo tacere, ma non possiamo rimanere inerti, arresi all’impotenza di modificare il corso delle cose. Non saranno gli oroscopi o le chiromanti a indicarci il futuro, troppo facile e ingannevole pensare di risolvere così l’imprevedibilità della storia, quanto piuttosto il nostro impegno etico e civico che continua la missione di Gesù di liberare il mondo dalla violenza, dall’odio; di salvarlo dall’indifferenza e dalla paura.

Anzitutto mi chiedo quale sia stata, durante l’anno che abbiamo appena chiuso, la testimonianza di pace mia personale e della nostra chiesa. Mi domando fino a che punto possiamo aver talvolta inclinato a vedere solo negli altri la causa dei disordini e dei conflitti, piuttosto che esaminare noi stessi e preoccuparci di togliere da noi le pietre d’inciampo sul cammino della pace e le ragioni di scandalo.

Ci dobbiamo chiedere anche quale impegno mettiamo come adulti, come istituzioni, come responsabili a diverso titolo professionale o morale nel dare ai nostri ragazzi e giovani una coscienza evangelica dell’universale fraternità in Gesù, del rispetto assoluto della dignità di ogni uomo redento da Cristo, del rifiuto radicale di ogni forma di violenza.

Papa Francesco nel messaggio per la Giornata della pace chiede a tutti di avere uno sguardo diverso sul fenomeno delle migrazioni. Alcuni le considerano una minaccia. Io, invece, vi invito a guardarle con uno sguardo carico di fiducia, come opportunità per costruire un futuro di pace.

Uno sguardo che sappia scoprire che essi non arrivano a mani vuote: portano un carico di coraggio, capacità, energie e aspirazioni, oltre ai tesori delle loro culture native, e in questo modo arricchiscono la vita delle nazioni che li accolgono.

Uno sguardo che sappia scorgere anche la creatività, la tenacia e lo spirito di sacrificio di innumerevoli persone, famiglie e comunità che in tutte le parti del mondo aprono la porta e il cuore a migranti e rifugiati, anche dove le risorse non sono abbondanti.

È questo lo sguardo che la benedizione di Aronne invoca su di sé e sul suo popolo ed è anche lo sguardo che invochiamo su ciascuno di noi, sulle nostre famiglie, sul nostro mondo.

Abbiamo iniziato con il nome di Gesù e concludiamo con lo sguardo di Dio e condenso in queste due dimensioni il contenuto del mio augurio per ciascuno di voi, per le nostre famiglie, per il nostro mondo.

Il nome che salva è Gesù ed è un nome di cui non possiamo fare a meno, ma non perché lo ripetiamo all’infinito e continuiamo a dire Signore, Signore…, quanto piuttosto se anche i nostri nomi continueranno quell’abbassamento che Gesù ha espresso nel Vangelo. Se anche noi nel nostro lavoro, nelle nostre relazioni, nel nostro stare al mondo non smettiamo di imparare ad amare così, a donare così…

E poi il volto del Padre che si accompagna alla benedizione per il nuovo anno: camminiamo, viviamo, agiamo sempre ponendoci davanti al volto Dio, non per paura o per neutralità, ma perché, solo animati da questo sguardo, saremo in grado di riconoscere i germogli di pace che già stanno spuntando e prenderci cura della loro crescita con coraggio.
(Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2, 18-21)

[1] Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza all’8° posto mondiale, grazie alla vendita di 28 Euro Fighter al Kuwait per otto miliardi di euro.
[2] Prodotte dall’azienda Rwm Italia a Domusnovas (Sardegna)


Postilla
Una omelia di Capodanno che, in assonanza con le parole di papa Francesco, denuncia i crimini contro l’umanità perpetrati dai paesi venditori di armi e ostili all’accoglienza dei migranti. Padre Giuseppe, oltre a proporre ogni domenica pomeriggio le sue omelie presso la Chiesa di Santa Maria dell'Incoronata a Milano - omelie molto seguite anche dai laici progressisti per il loro sguardo critico radicale nei confronti del nuovo ordine mondiale (Omelie Archivi - Fraternità) -, è promotore di iniziative concrete di solidarietà attraverso la Fondazione Arché. Nel 1997, in anni di oscurantismo nei confronti del virus HIV, apre a Milano la Casa di Accoglienza per mamme e bambini sieropositivi. Quando l’emergenza HIV rientra grazie alle cure antiretrovirali, l’impegno si sposta sul nucleo mamma e bambino in condizioni di disagio psichico e sociale. Nel 2013 Arché diventa Fondazione e continua nel suo lavoro quotidiano di solidarietà concreta in due strutture: la Casa Accoglienza, nel cuore di Milano, che ospita fino a 9 nuclei mamma e bambino e, più recentemente, “CasArché – Luogo di bene comune”, nell’estrema periferia di Milano a Quarto Oggiaro: un progetto innovativo che integra accoglienza e qualificazione professionale delle donne ospitate


Testo tratto da Omelie.Archivi.Fraternità, qui raggiungibile in originale
ARTICOLI CORRELATI
20 Aprile 2018

© 2024 Eddyburg