Nei prossimi giorni, forse ore, Pompei sarà dotata di un nuovo assetto dirigenziale>>>
Nei prossimi giorni, forse ore, Pompei sarà dotata di un nuovo assetto dirigenziale. È l'ultimo tentativo, non solo in senso cronologico, di invertire radicalmente il destino di declino di uno dei siti archeologici più importanti al mondo, da sempre simbolo della situazione di tutto il nostro patrimonio culturale.
Proprio per il suo carattere “metaforico”, il caso Pompei ha assunto un ruolo di primo piano nel Decreto valore Cultura, emanato nell’agosto di quest’anno e divenuto legge dello Stato nell’ottobre (n. 112/2013), il provvedimento con cui questo Governo intendeva dimostrare un mutato - rispetto ai disastrosi precedenti- atteggiamento nei confronti del nostro patrimonio culturale.
In questa stessa direzione è da interpretare l’istituzione della Commissione per il rilancio e la riforma del Mibact, presieduta dal giurista Marco D'Alberti e costituita da 20 membri, fra cui chi scrive, di competenze e provenienze istituzionali differenti, un terzo dei quali appartenenti ai ruoli del ministero stesso.
L'occasione per costituire questo organismo è stata determinata dalle prescrizioni della spending review che obbliga tutti i Ministeri ad una riduzione degli organici, nello specifico dei ruoli dirigenziali, nella misura del 20%.
Il 31 ottobre, nei tempi previsti, traguardo che dobbiamo soprattutto alle capacità di sintesi e coordinamento del presidente, è stata consegnata al Ministro dei Beni culturali la relazione elaborata dalla Commissione, insediatasi un paio di mesi prima e che ha lavorato senza compensi, né rimborsi.
Invece di limitarsi ad un "aggiustamento" , sostanzialmente basato su accorpamenti più o meno funzionali fra Direzioni e Soprintendenze - così come era avvenuto in precedenza, in situazioni analoghe - il Ministro Bray ha trasformato l'obbligo normativo della spending review in un'occasione di ridefinizione della struttura ministeriale.
Noto è lo stato di impasse di quest’ultima, accelerato dai disastrosi tagli di bilancio degli anni precedenti (in particolare dal 2008) e aggravato da una serie di riforme e riorganizzazioni accavallatesi negli ultimi lustri, spesso fra loro contraddittorie e scarsamente meditate nei risultati.
Il tentativo della Commissione è stato quello di proporre alcuni elementi di ripensamento dell'organizzazione nel suo insieme che fossero in grado sia di eliminare o limitare alcune fra le disfunzioni più evidenti che ne riducono l'efficacia di intervento, sia di costituire una prima cornice per una trasformazione più radicale della struttura in grado di rilanciarne il ruolo, rendendola non solo maggiormente funzionale dal punto di vista operativo, ma anche politicamente più incisiva.
I limiti, sia istituzionali, sia normativi (non si potevano proporre interventi legislativi a supporto) che temporali (meno di due mesi di lavori), sono stati draconiani.
In estrema sintesi, gli obiettivi cui mirano le proposte formulate sono da un lato il riequilibrio e il chiarimento delle funzioni fra i vari livelli: dalle Direzioni Generali a quelle Regionali, alle Soprintendenze. In sostanza ridare fiato e, per quanto possibile risorse - anche di personale tecnico attraverso una migliore redistribuzione - alle strutture periferiche, perché è sul territorio che vi è più che mai bisogno di una presenza costante e qualificata degli organi di tutela e, del resto non a caso, è a livello di Soprintendenze territoriali che questo Ministero ha dato, nella sua storia, le prove migliori.
Maggiore autonomia, ma anche maggiore collegialità decisionale, per contrastare le incongruenze di una superata ripartizione tematica (archeologia, storia dell’arte, architettura e paesaggio), non più adeguata nei confronti del continuum culturale patrimonio – paesaggio.
Allo stesso modo, si è suggerita, attraverso la creazione di una Direzione Generale specifica su Musei, Biblioteche, Archivi, l’opportunità di migliorare l'attività degli istituti culturali, riconoscendone le necessità di autonomia scientifica e gestionale: è il tentativo di riallineare, ad esempio, alcuni dei nostri grandi musei nazionali alle esperienze migliori della museografia e museologia europea, dall’Olanda, all’Inghilterra, alla Spagna.
In più punti la relazione si sofferma sul groviglio amministrativo determinato da un vero e proprio disordine normativo, in particolare nell'ambito degli appalti, che grava sull'attività delle Soprintendenze come un macigno: contribuire a scioglierlo, varrebbe come restituire al ministero parte delle risorse economiche sottratte negli scorsi anni.
Ancora, nel documento finale si è parlato ripetutamente del problema dei precari nel settore dei beni culturali. Di fronte alle migliaia di giovani e meno giovani laureati che ad ogni livello - dalle biblioteche, agli archivi agli scavi archeologici - prestano la loro opera come professionisti spesso iperspecializzati, ma allo stesso tempo precari ipersfruttati dal punto di vista delle tutele sindacali, era indispensabile ribadire la necessità di una riforma radicale nei rapporti di lavoro anche in questo settore. Indispensabile che un Ministero, spesso troppo concentrato solo sul proprio apparato, si faccia carico, attraverso regole e prescrizioni, di tutelare le condizioni di lavoro di tutti coloro che ogni giorno contribuiscono a garantire, in misura sempre più determinante, che l'articolo 9 della nostra Costituzione sia applicato.
Infine, ma non da ultimo, nella relazione è inserita anche la proposta di una Scuola Nazionale per il Patrimonio: struttura da pensare come un'operazione culturale che assicuri un'elevata formazione specialistica, ma allo stesso tempo consenta, attraverso un confronto fra esperienze molteplici, di riannodare connessioni e relazioni istituzionali e sociali, da troppo tempo pericolosamente sfrangiate.
Sono solo alcuni temi fra i molti sui quali la Commissione ha elaborato proposte e indicazioni, certo perfettibili.
Il documento, che ha carattere consultivo, dovrà ora essere applicato: si apre una fase delicata in cui molto potrà essere ridefinito o ridiscusso. L'importante è che l'obiettivo di tutti sia quello di approfittare al meglio di un'occasione forse non ripetibile di rilanciare il ruolo del Ministero. Abbandonando chiusure autoreferenziali per ritrovare un diverso e più consapevole rapporto con la comunità dei cittadini. È l'unico modo per contrastare la deriva che sta montando, che vede schiere sempre più numerose, sempre più disponibili a smontare una struttura ritenuta eccessivamente lontana e pregiudizionalmente ostile a quelle necessità dello "sviluppo" che solo gli eletti del popolo possono interpretare.
In questo senso è necessario che il Mibact si prepari alla sfida politica di essere il portatore di un'altra visione del territorio e delle sue risorse culturali, con i migliori strumenti e in tempi rapidi.
Il testo è pubblicato contemporaneamente su L'Unità on-line, nessundorma