Quest'anno ricorre il ventennale della scomparsa di Federico Caffè. In La solitudine del riformista si può leggere: «E' cosa ben nota che l'influenza della teoria economica, ai fini della soluzione di problemi concreti di politica economica, si manifesta generalmente con notevole ritardo, quando si manifesta»... «gli uomini della pratica, i quali si credono affatto liberi da qualsiasi influenza intellettuale, sono usualmente schiavi di qualche economista defunto... Non però immediatamente, ma dopo un certo intervallo». Il dibattito sulle public utilities ed in particolare sui beni pubblici dovrebbe prendere spunto dalle riflessioni di Caffè. Caffè, riprendendo la tesi di Hotelling (Il benessere generale, in rapporto ai problemi della tassazione e delle tariffe ferroviarie e dei servizi pubblici, 1938), sostiene «la gestione dei servizi pubblici: che andrebbe ovviamente valutata in termini di servizi resi (o, ovviamente, in termini di distorsione delle risorse) e non già in termini di mero pareggio del bilancio». Per questo è necessario affermare la centralità di un nuovo spazio pubblico. Lo spazio pubblico è quel luogo della società nel quale si rendono accessibili beni primari come l'acqua, la salute, l'istruzione, la cultura, quelli che nel dibattito corrente di questi anni si chiamano beni comuni, in realtà sarebbe molto più corretto chiamarli beni di merito. La produzione di beni e servizi pubblici, meglio ancora la garanzia del diritto all'accesso universale di questi beni, indipendentemente dalle condizioni di censo e dal luogo di nascita, è indispensabile a garantire il benessere delle persone, ma anche per prefigurare politiche attive pubbliche per condizionare il mercato e per questa via lo sviluppo. Da un lato il pubblico, attraverso la proprietà e la gestione pubblica di questi beni, garantisce l'esigibilità, la giustizia sociale, dall'altro condiziona lo sviluppo del Paese e i territori coinvolti, attraverso le public utilities.
L'attuale dibattito sulle public utilities e la disponibilità di alcuni beni e servizi (acqua, energia, trasporto, ecc) dovrebbe trovare una sintesi adeguata, a partire dai tavoli nazionali aperti dal governo Prodi. Infatti, lo sviluppo e la crescita economica, unitamente alla distribuzione del reddito, dovrebbe misurarsi non solo con le risorse finanziarie messe a disposizione per tali finalità, ma anche con gli strumenti e il ruolo che si vuole assegnare al pubblico. Sostanzialmente: lo stato è regolatore del mercato o attore del mercato? È un nodo fondamentale da sciogliere. Se lo stato diventa erogatore di risorse finanziarie per il mercato e si dota di strumenti di regolazione, il rischio è quello di uno stato minimo ed esterno ai meccanismi allocativi. In qualche modo si rinuncerebbe a rimuovere i cosiddetti fallimenti del mercato, cioè alla economia pubblica. Non si tratta di gestire i conti pubblici in modo trasparente e ragionieristicamente perfetto, piuttosto di recuperare il ruolo strategico che esso (il bilancio e l'economia pubblica) hanno sempre avuto.