loader
menu
© 2024 Eddyburg
Alberto Asor Rosa
Un governo di ricostruzione democratica
8 Agosto 2010
Articoli del 2010
La domanda è sempre la stessa: come uscire dalla crisi della Seconda Repubblica? Il processo aperto dalla crisi è di lunga durata, ma il primo passo è dietro l’angolo. il manifesto, 8 agosto 2010

L'anomalia italiana continua a produrre i suoi effetti, in genere catastrofici. Un regime indegno come quello berlusconiano non vacilla, come sarebbe logico, per i colpi infertigli da un'opposizione degna di questo nome (e in tale categoria non comprendo solo la «sinistra» moderata e soi disant riformista, ma anche quella soi disant estremista e radicale), ma per interno spappolamento: perché Berlusconi ha potuto tutto o quasi tutto in Italia, ma non crearsi un partito a propria immagine e somiglianza (e questo dovrebbe dirla lunga sui limiti politici dell'uomo).

Se questo è il quadro, sarebbe ragionevole, come ha già fatto Ida Dominijanni su queste colonne, parlare di una crisi di sistema piuttosto che di una, sia pure assai consistente, crisi politica. È pur vero, tuttavia, che in questa crisi di sistema, che in ogni caso, se intesa come tale, è indubbiamente di più lunga durata (almeno trent'anni, direi), ci sono forze che già si muovono per portare acqua al proprio mulino, che potrebbe non essere, anzi di sicuro non è il nostro.

In questa infelice situazione, che nelle sue condizioni date non è modificabile da nessuno che più o meno la pensi come noi, io ipotizzo che il calcolo che andrebbe fatto è: qual è il massimo vantaggio possibile che possiamo tentare di trarre dal presumibile svolgimento degli eventi, la maggior parte dei quali non dipende minimamente da noi? Con tutte le riserve e le prudenze del caso, articolerò il mio discorso in punti schematici, ognuno dei quali potrebbe essere valutato separatamente da tutti gli altri e accettato o rifiutato in base persino a considerazioni contrapposte. Può darsi (lo dico del tutto seriamente) che il metodo sia da considerare in via di principio del tutto inadeguato; ma il puzzle è così complicato da imporci comunque strumenti un po' diversi da quelli a noi tradizionalmente consueti.

1. Se le cose stanno così - e questo mi sembra davvero difficile contestarlo - è evidente per me che raccogliersi intorno alla parola d'ordine delle elezioni anticipate risulta ai nostri fini del tutto insensato. Innanzi tutto perché le elezioni anticipate verranno decise da altri, e cioè da chi può, nel momento in cui più gli converrà. In secondo luogo, per il motivo già detto: l'estrema debolezza attuale del centro-sinistra nel suo complesso, la sua incapacità (impossibilità) di formulare una proposta di governo quale che sia, senza la quale, non dimentichiamolo, nessuno può andare ragionevolmente a una consultazione elettorale. Prima di gridare al voto, bisognerebbe chiedersi quali passi fare, con chi e perché. Stupisce che anche Vendola sprechi il suo consenso, forse non del tutto meritato ma di sicuro non del tutto ingiustificato, su di una parola d'ordine del genere.

2. Cosa fare, con chi, come e perché: questi sono gli interrogativi. È perciò che, come la richiesta demagogica ed estremistica del voto anticipato, così la proposta del governo tecnico e/o di transizione fa ridere. Cerchiamo d'immaginare lo scenario: un certo numero di forze si mettono insieme al solo scopo di difendere il bilancio dello Stato e cambiare la legge elettorale (fra l'altro nessuno sa come: tornerò brevemente su questo punto). Poi il Governo, fatto il suo dovere, si scioglie, ognuno va di nuovo per conto proprio, quelli di centro-sinistra tornano presumibilmente in un centro-sinistra ricomposto non si sa come e quelli del centro-destra presumibilmente in un centro-destra ricomposto non si sa come. Quelle forze saranno inevitabilmente votate dalla loro inconcludenza e inconsistenza alla sconfitta di fronte all'offensiva revanchista del Cavaliere «tradito». E noi - noi «di sinistra» - cosa ne ricaveremo? Nulla, meno che nulla.

3. La mia tesi dunque è che dovremo essere noi a proporre un progetto e un programma di governo, inserendoci nell'attuale bailamme con una proposta concreta (non è detto che la proposta vada a buon fine, anzi è probabile il contrario, ma almeno si vedrà di che pasta son fatti i nostri interlocutori). Si tratta di un Governo né provvisorio né transitorio, ampiamente giustificato dalle attuali condizioni di eccezionale emergenza in cui è a rischio la sopravvivenza non solo del sistema politico italiano ma del sistema Italia: un Governo destinato a occupare lo spazio restante della legislatura; e, se funziona, a presentarsi con una propria proposta al paese (e non solo al Palazzo) e un proprio candidato alle prossime elezioni, che è l'unico modo per vincerle contro l'inevitabile, furibondo ritorno berlusconiano. Io lo chiamerei «Governo di ricostruzione democratica» e da questa definizione farei discendere tutto il resto.

4. Questo Governo dovrebbe essere contraddistinto da alcune caratteristiche elementari, e al tempo stesso sufficientemente peculiari, e cioè: a) dalla netta e conclamata cesura rispetto a tutta l'esperienza berlusconiana, ai suoi uomini, alle sue forze, al blocco sociale che finora l'ha sostenuto (per questo, anche se non solo per questo, credo che, almeno in questo momento, la Lega non sia recuperabile neanche parzialmente); b) dalla rapida cancellazione di tutti i decreti, leggi, misure governative intesi a garantire l'impunità dei politici e del Governo, a partire dall'ineffabile Cavaliere; c) dalla ricostituzione immediata delle condizioni minimali di uno Stato di diritto, la separazione dei poteri, l'indipendenza della magistratura, la sovranità del Parlamento; d) dall'immediata promulgazione di una legge sul conflitto d'interessi e sul sistema dell'informazione e comunicazione; e) dal rilancio vigoroso del sistema Italia, cioè dell'idea e unità irrinunciabili del paese; f) dall'inizio di una politica socio-economica che, in netta controtendenza rispetto a quella tremontiana, restituisca al paese almeno quello che potremmo definire un normale equilibrio nei rapporti di classe (lo dico per i possibili alleati moderati: se non c'è questo punto, tutto il resto sembrerà aria fritta, e tornerà a prevalere la possente demagogia berlusconiano-leghista); g) da una legge elettorale diversa (la logica del mio discorso propende ovviamente per una soluzione maggioritaria, ma non considero questo punto discriminante).

5. Chi può proporre e tradurre in pratica questo libro dei sogni? Continuiamo a non dimenticare: la situazione è eccezionale, ai limiti di una rottura traumatica. In questa situazione io non so chi sia disposto ad assumersi il carico non irrilevante di un «Governo di ricostruzione nazionale»: so chi avrebbe il dovere di farlo. Dovrebbero farlo tutte insieme le forze che compongono attualmente l'arco costituzionale e che abbiano deciso (se l'hanno deciso) una rottura verticale e di non ritorno rispetto all'esperienza di Berlusconi e del berlusconismo, dall'estrema sinistra al centro moderato, in rispettiva e reciproca funzione di garanzia programmatica e di comportamenti. Solo questa totale amplitudine delle forze, e la loro convergenza su di un programma serio e non strumentale, possono consentire di battere Berlusconi e il berlusconismo.

6. Sulla strada di questo processo s'interpone, oltre che la fiera resistenza del vecchio sistema, anche la forma parzialmente nuova che ha assunto attualmente la crisi interna al berlusconismo (in Italia anche le uscite dalla crisi assumono un segno critico). L'allineamento della nuova formazione finiana a quelle di Casini e di Rutelli prefigura chiaramente un ritorno all'andreottiana «teoria dei due forni», sulla quale l'Italia ha vegetato per decenni. Se ne vedono già i segni e i messaggi. Apro una parentesi.

7. Sono rimasto deluso dalla forma concreta che la «liberazione» di Fini e dei finiani dall'egemonia berlusconiana ha assunto. I think thank della Fondazione Fare Futuro ci avevano promesso ben altro: ma si sa, gli intellettuali servono per indorare le pillole, poi sopraggiunge la politica con le sue ferree leggi. Ma insomma: l'obiettivo finale dell'intera operazione non doveva essere la costruzione di una destra liberale moderna, aperta persino alle acquisizioni storiche ideali e al costume di una certa sinistra - la tolleranza, una legalità umanitaria, i diritti dell' uomo e dell'ambiente - e nella dichiarazione letta da Fini il 30 luglio si afferma che i valori irrinunciabili della nuova formazione sono «l'amore di patria, la coesione nazionale, la giustizia sociale, la legalità» - quasi un programma di centro-sinistra più che di centro-destra - e poi ci si finisce per affiancare in una logica non si sa se tattica o strategica a due formazioni tipiche del vecchio moderatismo clerico-cattolico come quelle di Casini e Rutelli? Mah: in Italia anche i processi nuovi prendono forme antiche.

8. Come che sia, vale la pena di provare: perché dalla dislocazione di queste forze dipende il nostro destino nazionale e l'inizio, auspicabile, di un nuovo processo dentro il quale ne possono succedere di tutti i colori. È dunque al senso di responsabilità degli uomini politici che dirigono la sinistra, il centro-sinistra e il centro moderato (con le sue specificazioni) che bisogna appellarsi. È una strada difficile, anzi quasi impossibile. Ma Hic Rhodus, hic salta: o si adotta questa linea o non ce n'è un'altra. Se non ci si muove, il neocentro moderato verrà inevitabilmente risucchiato verso il berlusconismo. Oppure alleanze a metà, senza pezzi della sinistra o pezzi del centro, saranno sconfitte. E non ci saranno primarie capace di salvarci. E la sinistra andrà in malora per sempre.

9. Se poi, come penso, questa ipotesi verrà guardata da tutti - o quasi tutti - come una trappola da cui prendere le distanze, non resta a noi che non condividiamo (ma che secondo me abbiamo più buonsenso di tutti gli altri), che unirci a quella tendenziale maggioranza d'italiani che non sta più al gioco: e promuovere per il prossimo voto (vicino o lontano che sia) una grande campagna a favore di un'astensione di massa, politicamente irrilevante, forse, ma di grande significato etico-politico.

Se non vogliono starci a sentire, che se la giochino fra di loro. E può darsi in definitiva, al di là persino dei nostri penosi sforzi di elaborazione intellettuale, che questo vuoto della rappresentanza possa essere coltivato come il luogo in cui qualcosa di veramente nuovo è destinato a rinascere.

ARTICOLI CORRELATI
31 Dicembre 2010

© 2024 Eddyburg