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Carla Ravaioli
Un capitalismo che vomita rifiuti
27 Novembre 2010
Sinistra
Per fare una nuova sinistra, all’altezza dei problemi di oggi, non basta che le vecchie sinistre si uniscano: serve qualcosina in più. Liberazione, 26 novembre 2010

“Tra l’altro, la maggior parte dei rifiuti è fatta di cose inutili.” Così qualche giorno fa concludeva il suo dire una signora intervenuta a “Prima pagina”, la benemerita rubrica di Radio 3, che si era ampiamente occupata di Napoli sommersa di immondizie.

Saggia e ineccepibile considerazione. Mucchi incalcolabili di buste, bottiglie, barattoli, scatole, contenitori di ogni sorta e misura, di plastica per lo più, ma anche di vetro, paglia, ecc., e massicci quantitativi di carta e cartone, anch’essi per gran parte plastificati, e innumerevoli materiali di difficile identificazione, “cose” per lo più illeggibili in una possibile funzione. Tutti destinati a vita brevissima quanto vana: tra la fabbrica e, raramente, il contenitore della raccolta selezionata; i più verso terminali di cui il cassonetto tuttofare è ancora il meglio, ma il più frequente è il mucchio indifferenziato e maleodorante di vecchia spazzatura per strade e piazze.

Cose inutili, diceva la su citata signora. Anzi dannose. Ma ciò che la signora non ha detto, e che d’altronde non dice quasi nessuno, è che questa assurda e all’apparenza inutile iperproduzione di cose-da-discarica, ha in realtà una sua funzione tutt’altro che immotivata, anzi decisiva nel sistema economico oggi imperante. Il quale - come noto – si regge sull’accumulazione di plusvalore, e dunque sulla crescita esponenziale del prodotto: cioè (come gli ambientalisti più consapevoli da sempre notano) su creazione e vendita di merci, non importa quali né con quali conseguenze, purché il prodotto aumenti.

Le tante “inutili cose” che ostruiscono e appestano le vie di Napoli e non solo, sono dunque tutt’altro che inutili secondo la razionalità vigente, e rappresentano al contrario un cospicuo contributo all’aumento del Pil, il sempre invocato Pil, che - secondo la totalità degli imprenditori, la quasi totalità dei politici, la larga maggioranza degli economisti, e fatalmente la grande massa del popolo - è la principale garanzia di salute e continuità dell’economia globale.

E’ vero che molte delle cose di fatto nate per la discarica possono (non tutte, ma in parte significativa) essere convenientemente trattate, in modo da ridurne la nocività e talvolta anche riportarle a funzioni utili. E’ questa la politica privilegiata da buona parte dell’ambientalismo militante. Politica positiva certo, ma ben lontana dall’essere risolutiva: non solo in quanto applicabile a una parte minima dei rifiuti, ma perché comporta procedimenti complessi e costosi, e dunque solitamente scartati; senza dire che quasi tutti comportano “avanzi” tossici, di difficile collocazione, che per lo più finiscono in mano a mafie e camorre, e per loro tramite vanno a inquinare il Sud del mondo, o magari vengono sistemati attorno a Napoli.

Tutto ciò di fatto risponde alla logica del capitalismo, e pertanto trova risposta conforme nell’agire economico, praticamente senza opposizione. Stranamente, neppure da parte delle Sinistre: le quali, certo, si battono per contenere quanto possibile le macroscopiche disuguaglianze sociali e difendere i diritti del lavoro, ma non sembrano in alcun modo mettere in causa l’impianto del “sistema” per combattere il quale sono nate.

E’ vero, le sinistre non godono oggi di gran buona salute, e affrontare un progetto di tale magnitudine non può non apparire fuori portata. Ma è anche vero che nemmeno il capitalismo appare troppo florido. E proprio la crisi ecologica planetaria potrebbe, forse dovrebbe, essere letta come ragione per gridare all’ormai evidente insostenibilità fisica dell’attuale sistema. Specie dopo un’estate in cui quello sconquasso del clima, eufemisticamente indicato come “maltempo”, ha provocato migliaia di morti e milioni di profughi; quando la comunità scientifica mondiale afferma che stiamo irreparabilmente consumando il patrimonio naturale, per cui presto l’invocata crescita mancherà di materia prima; e il New York Times della domenica dedica la prima pagina al rischio non lontano di sommersione di New York, Londra, Venezia, Il Cairo, Bangkok, Shangai…; e New Scientist a lungo analizza e mette in forse la reale utilità delle “rinnovabili”, nate per sostituire le energie fossili, ma ora rilanciate per sommarsi ad esse…

Accennavo alla mancanza di impegno delle sinistre in questa materia. In verità eccezioni non mancano. Ad esempio di recente Paolo Ferrero, delineando su Liberazione il progetto di unità della sinistra, indicava la necessità di rovesciare l’attuale politica economica e sociale, parlando anche di “riconversione ambientale dell’economia”. Lo scorso fine-settimana la “Federazione della sinistra” è ufficialmente nata. Il sabato non ho potuto essere presente, ma la domenica sì, per tutta la durata dei lavori. Ho sentito nominare l’ambiente solo da parte di una giovane donna, che ha ricordato la materia tra una serie di diritti, a suo avviso non considerati adeguatamente: e a lungo ha parlato di libertà personali, di omosessualità, di trans… L’ambiente non lo ha più ricordato.

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