Bene ha fatto Piero Marrazzo ad autosospendersi da governatore della Regione Lazio. Meglio avrebbe fatto a dimettersi: non ieri, dopo aver ammesso quello che l'altro ieri negava ostinatamente e incomprensibilmente, ma in quel di luglio, all'indomani degli ormai noti fatti, quando capì di essere sotto ricatto e, stando alle sue stesse dichiarazioni, pagò i ricattatori nel tentativo di mettere tutto a tacere. Tentativo vano, perché nell'epoca della riproducibilità tecnica di tutto vana è la speranza di mettere a tacere qualsivoglia cosa. Tentativo colpevole, perché un uomo di governo sotto ricatto ha l'obbligo di denunciare i ricattatori e, a meno che la causa del ricatto sia inesistente, non può fare l'uomo di governo. Non può fare nemmeno la vittima, o solo la vittima, come invece Marrazzo ha fatto nell'immediatezza dello scandalo.
Il governatore del Lazio è vittima e colpevole, tutt'e due. E' vittima di un'aggressione indecente dell'Arma dei carabinieri, un'aggressione su cui a noi tutti è dovuta piena luce dai vertici dell'Arma e dai ministeri competenti, i quali ci facciano il piacere di non provare a cavarsela con la solita tesi delle mele marce. E' colpevole di aver taciuto, sottovalutato, occultato quanto gli stava accadendo, con la solita tesi che la vita privata è privata e non c'entra niente con la vita pubblica.
Rieccoci al punto che tiene inchiodato il dibattito politico da sei mesi: e quando un punto ritorna così insistentemente, sia pur sotto una differenziata casistica, significa che è un punto dolente. Sono patetici i vari Cicchitto, Cota, Lupi e relativi giornalisti organici alla Feltri che si lanciano sulla succulenta occasione per salvare Berlusconi col duplice argomento che a) tutti hanno i loro peccati, a destra e a sinistra, b) chi di moralismo e violazione della privacy ferisce, di moralismo e violazione della privacy perisce.
Non casualmente, solo da destra si chiede che il governatore resti al suo posto, con l'unico scopo di far restare al suo anche il premier. Purtroppo però qui non si tratta di salvare tutti, bensì di non salvare nessuno. Pur cercando di esercitare la sempre più difficile arte delle distinzioni.
Piero Marrazzo non è colpevole di frequentare trans, come Silvio Berlusconi non è colpevole di frequentare escort o di avere, o millantare, tutte le fidanzate che crede. Entrambi sono colpevoli però di non aver capito che la vita privata di un uomo politico riverbera sulla sua immagine (e sulla sua sostanza) politica. Nonché di scindere, nella miglior tradizione della doppia morale di un paese cattolico, i lori vizi privati dalle loro dichiarazioni pubbliche di fede nei sacri valori della famiglia. Dopodiché le analogie finiscono. Marrazzo si dimette e Berlusconi no. Marrazzo si chiude disperatamente a Villa Piccolomini e Berlusconi fa un proclama al giorno per rivendicare che lui, l'eletto dal popolo, fa quello che vuole. Marrazzo - stando alle testimonianze - ha avuto relazioni personali con alcuni trans, Berlusconi è al centro di un sistema diffuso di scambio fra sesso, danaro e potere, in cui «il divertimento dell'imperatore» viene retribuito in candidature e comparsate in tv (privata e pubblica). Fa qualche differenza, e nel senso opposto a quello che scrive Il Giornale, che già salva la candida «normalità» del premier che va a donne contro l'immonda ambiguità sessuale del governatore che va a trans.
Per tutte e tutti noi si spalancano ogni giorno di più tre questioni. La prima - il punto dolente di cui sopra - è che l'ostinazione a scindere il privato dal pubblico e la vita personale dalla vita politica, in tempi in cui i telefoni filmano e registrano, la Rete diffonde e le donne non stanno zitte, rasenta la stupidità: vale per la destra ma anche per quella sinistra che oggi ne è colpita ma fino a ieri è stata su questo reticente. La seconda è che è vero che sui comportamenti sessuali non si può sindacare moralisticamente, ma se quelli che la cronaca ci rimanda sono sempre più spesso comportamenti sessuali di uomini di potere mediati dai soldi è lecito quantomeno interrogarsi sullo stato della loro sessualità e del loro potere. La terza è che se la politica, ripetutamente, inciampa nel sesso, in un sesso siffatto, qualcosa s'è rotto nel segreto legame che unisce qualità delle relazioni interpersonali e qualità del legame sociale, passioni personali e passioni collettive, desiderio individuale e felicità pubblica. C'è un brutto nodo che stringe questione maschile, questione sessuale e crisi della politica. Se è vero che, come ci insegnavano a scuola, oportet ut scandala eveniant, che almeno ci servano a vedere questo nodo, e a scioglierlo.