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Alberto Asor Rosa
Un altro governo è possibile
20 Agosto 2010
Articoli del 2010
Prosegue il dibattito su come uscire dal regno di Berlusconi. Resta da capire come uscire anche (magari domani) dal berlusconismo. Il manifesto, 20 agosto 2010

L'urgenza dei tempi e il rilievo delle tematiche mi inducono a riprendere e precisare il mio precedente articolo (governo di ricostruzione democratica», il manifesto, 8 agosto) , quello che una volta si definiva «esercitazione di scuola». Le «esercitazioni di scuola» venivano assegnate e discusse nelle classi medie superiori della scuola italiana tanti anni fa per mettere alla prova le capacità logiche dei ragazzi. I compagni di classe dell'individuo cui, sventuratamente per lui, era stato assegnato il compito di svolgerne una, erano invitati dai loro professori a segnalare i passaggi logici che, in quanto tali, non funzionavano nell'elaborato; venivano severamente rampognati quelli di loro che si limitavano a dire: non mi piace, non la penso come lui. Naturalmente la logica formale non è il reale: per passare dall'una all'altro (e anche viceversa) bisogna fare un'opera di trasposizione pratica decisiva, che nel caso nostro si definirebbe togliattianamente «iniziativa politica». Però, al tempo stesso, senza logica formale si va a tentoni, non si riconoscono le cose, si prendono fischi per fiaschi e in definitiva si finisce a catafascio.

In ogni «esercitazione di scuola» c'è una premessa. Se cade questa, cade tutto il resto. La «mia» premessa è: il bubbone maligno, che distrugge l'Italia, diffonde la corruzione, spazza via il gioco democratico, fa vacillare le istituzioni e le regole, distrugge l'informazione, sottomette tutti i rapporti di classe al gioco dei potenti, è Berlusconi, è il governo in mano a Berlusconi, è il berlusconismo. Se è vero questo - se cioè la premessa regge -, allora il compito politico e civile primario è trovare il modo di sbarazzarsene, altrimenti ogni altro discorso più corretto, più profondo, più giusto - persino quello riguardante un corretto conflitto politico -, non sarà più (mai più?) possibile.

Per sbarazzarcene, in Parlamento e nel paese, non ci vuole meno di un amplissimo schieramento di forze, che si riconoscano in un programma di «ricostruzione democratica» e si aggreghino per questo; e siano per ciò stesso in grado di mettere in moto un ancor più vasto schieramento di forze sociali e civili, che pure ci sono e aspettano solo che qualcuno dia loro la possibilità di mettersi direttamente alla prova. Siccome è sempre più evidente che il berlusconismo è in realtà un berlusconi-leghismo, bisognerà, per reggere il contrasto, che sarà formidabile, che ne facciano parte senza esclusioni tutte le altre forze che in questi anni non hanno avuto a che fare con l'orrida tabe o recentemente se ne siano liberate, dall'estrema sinistra all'Udc, a Rutelli, a Fini e ai finiani.

Questo bisogna non solo farlo, ma farlo presto, anzi prestissimo. Il contro-urto, infatti, è già cominciato. Berlusconi ha due strade per salvarsi nell'attuale situazione di provvisoria crisi e debolezza: o andare alle urne; o riassorbire la dissidenza. Se va alle urne con l'attuale legge elettorale, vince comunque, quale che sia la forma in cui l'opposizione si presenterà, compresa quella bipartita (centrosinistra + centro moderato), da taluni non si sa perché auspicata. E andrà alle urne legittimamente, nonostante le giuste proteste di Napolitano, se si dimostrerà che in Parlamento non c'è una maggioranza alternativa. Ma non ci sarà una maggioranza alternativa se Berlusconi riassorbirà, come sta tentando di fare, la dissidenza. Quest'ultima è la prospettiva peggiore, e attualmente non è del tutto esclusa se non si lavora tenacemente in direzione contraria. Dunque, nelle prossime settimane, si decide il nostro destino dei prossimi quindici-vent'anni: perché se Berlusconi finisce indenne la legislatura, rivince di sicuro le elezioni, va alla Presidenza della Repubblica e...

Ma perché l'«opposizione» dovrebbe presentarsi unita al voto in uno qualsiasi dei prossimi mesi, se non è in grado di creare una maggioranza alternativa in questo Parlamento? La mia proposta di un «governo di ricostruzione democratica» serve dunque a sanare contemporaneamente due punti deboli: quello dell'oggi e quello del domani, perché se non ci sarà un governo sufficientemente credibile oggi non ci sarà un voto sufficientemente forte domani.

Ecco perché il governo che ci salva non può essere un governicchio, un governo tecnico, un governo a termine, ecc. ecc. Sia perché il paese altrimenti non capirebbe il significato e l'entità della svolta; sia perché gli esitanti, numerosi e su tutti i versanti, non sarebbero abbastanza invogliati a parteciparvi. Invece debbono esserci sufficienti garanzie che si fa sul serio e che si andrà avanti abbastanza a lungo da poter esibire risultati inequivoci. Se è vero, come è possibile e anzi fortemente auspicabile per allargare le risicate alleanze in Parlamento, che esiste un'ulteriore componente del Pdl disposta a staccarsi dal bubbone, ciò potrà avvenire solo se stimolata e garantita da queste condizioni.

Entriamo un po' più nel merito. Ho già scritto di alcuni punti di programma, che potrebbero caratterizzarlo (niente d'indolore né di marginale, tutto sommato, a rileggerli oggi) e non ci torno sopra (forse qualche attenzione in più meriterebbe la figura del Presidente del Consiglio, che non dovrebbe essere partitica: ci sono candidati possibili molto autorevoli nel campo del giure e dell'economia). Ritengo invece utile precisare che un «governo di ricostruzione democratica» non è (oddio!) né di destra né di sinistra: è un governo che mira a ricostruire le condizioni minimali dell'agire democratico e dell'unità nazionale, quelle per cui tornerebbero possibili e «normali» una sinistra e una destra costituzionali ed europee; ed è perciò che sono legittimate a parteciparvi non contraddittoriamente tutte quelle forze di sinistra e di destra, che concordano sull'urgenza e l'imprescindibilità di raggiungere questo obiettivo, quello da cui dipende tutto (tutto, capito?).

Fin qui la logica formale. Proviamo a fare un passo in avanti nel mondo del reale e chiediamoci: un governo del genere è fattibile? La mia risposta, molto minimale ma anche molto concreta, è: sì, è fattibile perché nessuna delle forze che dovrebbero parteciparvi ha un futuro senza questo possibile sbocco. Vediamo.

a) L'estrema sinistra: è ridotta malissimo. Se non rientra nel gioco, e cioè, per dirla brutalmente, se non rientra in Parlamento e nel Governo, è destinata all'estinzione. Il terreno della legge elettorale è quello su cui se ne può trattare l'adesione, e se il sistema elettorale proporzionale è il grimaldello dell'alleanza, io, come ho già accennato, non avrei obiezioni di principio:

b) L'Idv: dove può andare Di Pietro da solo?

c) Il Pd: è l'ago della bilancia. Bene ha fatto Bersani a dichiarare utile e preliminare l'accordo fra tutte le forze dell'attuale centrosinistra. Ma - l'«iniziativa politica»! -, se non riesce presto, anzi subito, a promuovere lo schieramento allargato della «ricostruzione democratica», sarà sorpassato impetuosamente dalla controiniziativa altrui, rischiando la deflagrazione o il collasso;

d) L'Udc: Casini è probabilmente l'elemento tuttora più indietro. Non ha ancora scelto dove stare. Ma è troppo tempo che non sceglie, e questo potrebbe logorarlo. Tramontate però rapidamente le prospettive di un governo «che non vada contro una parte del paese» (come se ce ne fosse uno che non vada a pro' di qualcuno o contro qualcosa), dovrà in una situazione del genere scegliere. La Balena bianca non risorgerà più nel nostro paese. Il massimo che Casini può ragionevolmente sperare è un ulteriore rafforzamento del centro moderato all'interno di uno schieramento antiberlusconiano. E d'altra parte: fin quando la Chiesa di Roma riterrà componibile con i propri interessi mondani la fogna a cielo aperto in cui l'Italia berlusconiana si sta trasformando? Qualche segnale che il limite di sopportazione sia stato raggiungo c'è già stato;

e) L'Api: Rutelli è un vecchio frequentatore dei consessi di centro-sinistra; è impensabile che faccia mancare il suo apporto in una circostanza del genere;

f) Futuro e Libertà: è il discorso più complesso e forse quello decisivo. Preliminare al resto del ragionamento, che altrimenti potrebbe apparire davvero troppo procedurale: io credo che sia da prendere sul serio la cosiddetta «conversione democratica» di Gianfranco Fini. Aggiungo anche (per esaurire totalmente le mie già precarie riserve di credito) che ha giocato un ruolo positivo nelle ultime vicende il «fascismo di sinistra», cui attinge la formazione di diversi componenti del suo gruppo (non di Fini, naturalmente), e che io giudico migliore del berlusconismo (tanto è vero che non vi si è adattato). Ora Fini e il suo gruppo sono di fronte a un bivio drammatico: se accettano di farsi riassorbire - non importa in quale forma, se imperativa o contrattata, costruttiva o parzialmente consensuale -, sono destinati ad una penosa estinzione, a cominciare da quella già selvaggiamente iniziata nei confronti del loro capo, e i loro scalpi (ad eccezione di Briguglio, s'intende) verranno appesi ai banchi che occupavano, e che mai più occuperanno, in Parlamento. Imboccare l'altra strada sarà periglioso e difficile, ma non c'è scelta. E' evidente, tuttavia, che il passaggio non sarà perfezionato, se non verrà accompagnato, anzi preceduto, da parte delle altre forze politiche contraenti, da una totale garanzia di legittimità politica e costituzionale, ossia, come dire, non mi viene la parola, ah sì, dal definitivo sdoganamento democratico-costituzionale di tale forza.

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