Effimera
Immigrazione e criminalità
È luogo comune e fa parte dei discorsi da bar il nesso inscindibile tra immigrazione e criminalità. Un nesso che viene per di più fomentato da dichiarazioni politiche. Tra le tante da cui siamo assediati in questo periodo, ci limitiamo a ricordarne alcune dei tre leader del centro-destra.
“L’aumento dell’insicurezza è dovuto al fatto che si è aggiunta la criminalità di 476mila immigrati che per mangiare devono delinquere. La prima cosa che svaligiano in una casa è il frigorifero e ciò è causato dal modo con cui il nostro Paese non ha saputo rispondere all’immigrazione” (Silvio Berlusconi a Domenica Live, 13 gennaio 2018).
“In un anno i reati compiuti da cittadini stranieri sono stati 250 mila: il 55% dei furti, il 51% dello sfruttamento della prostituzione, il 45% delle estorsioni, il 40% degli stupri, 1.500 stupri in un anno e l’Europa che fa?” (Matteo Salvini al Parlamento Europeo, 6 febbraio 2018).
“Penso sia legittimo dire che l’immigrazione incontrollata va regolata e c’è un problema tra l’immigrazione incontrollata e il problema sicurezza. Ma le istituzioni non possono fare le omertose sui reati degli immigrati” (Giorgia Meloni, Tagadà, 5 febbraio 2018)
La realtà dei dati è diversa. Secondo gli ultimi “numeri” forniti dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria (quindi dal Viminale, il cui ministro è Matteo Salvini) e raccolti dall’Istat, nel periodo 2012-2016 (quello dell’emergenza sbarchi) gli omicidi sono calati da 528 a 400 (-24,2%), i tentati omicidi da 1327 a 1079 (-22,4%), le percosse da 15.659 a 13.819 (- 11,7%), le violenze sessuali da 4689 a 4046 (- 13,7%), lo sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione da 1306 a 948 (- 27,4%), i furti da 1.520.623 a 1.346.630 (- 11,4%), le rapine da 42.631 a 32.918 (- 22,7%), le contraffazioni di marchi e prodotti industriali da 8.920 a 7.755 (- 13,1%). I reati che sono invece aumentati riguardano invece la pedopornografia, l’uso di stupefacenti e i delitti informatici.
Non c’è, dunque, alcuna correlazione fra l’aumento degli stranieri e quello della criminalità. Dato che viene confermato anche da un’analisi di Michelangelo Alimenti che mostra come a fronte di un aumento del 71,18% di stranieri in 10 anni e addirittura di un +681,69% di richiedenti asilo, il numero di reati “attribuibili” a cittadini stranieri sia cresciuto solo del 2%.
Uno dei dati più citati da chi sostiene che gli stranieri compiono più reati degli italiani riguarda la composizione della popolazione carceraria. Negli ultimi anni più o meno un terzo delle persone detenute nelle prigioni italiane è stabilmente di origine straniera, soprattutto extracomunitaria (nel 2016, il 33,8% contro una quota di migranti sulla popolazione di circa il 10%). Uno studio del 2016 di Francesco Palazzo, docente di Diritto penale all’università di Firenze, afferma però di considerare tale dato come fuorviante per analizzare il rapporto fra immigrazione e criminalità. Il motivo è semplice: i detenuti italiani possono accedere molto più facilmente a forme di pena alternativa degli stranieri. Nella prima metà del 2016 sono stati approvati in tutto 19.128 affidamenti in prova ai servizi sociali, di cui solamente 2.722 a detenuti stranieri (circa il 14 per cento). Nello stesso periodo di tempo, la detenzione domiciliare – cioè la possibilità di scontare l’ultima parte della pena a casa propria – è stata concessa a 14.136 detenuti italiani e solamente a 3.306 stranieri. Correggendo questa distorsione, la propensione a “delinquere” degli stranieri è in linea con quella degli italiani, nonostante che in galera ci vadano – come è noto – le persone più povere e svantaggiate (e quindi sarebbe lecito aspettarsi comunque una quota maggiore degli stranieri).
Da notare, infine, che sul tema del rapporto tra immigrazione e criminalità, nel 2012 è stato pubblicato dal Journal of European Economic Association uno studio di tre ricercatori della Banca d’Italia, Milo Bianchi, Paolo Buonanno e Paolo Pinotti, che arriva alla seguente conclusione:
“According to the estimates, immigration increases only the incidence of robberies, while leaving unaffected all other types of crime. Since robberies represent a very minor fraction of all criminal offenses, the effect (of immigration, ndr.) on the overall crime rate is not significantly different from zero”[1].
Immigrazione, previdenza, bilancio pubblico e Pil
Nelle ultime settimane, si è scatenata una polemica tra l’onnipresente Matteo Savini e il presidente dell’Inps, Tito Boeri. Al riguardo, ci limitiamo a fornire alcuni dati:
Per quanto riguarda il bilancio Inps, l’immigrazione è una vera manna. Su 16 milioni di pensionati, gli stranieri sono circa 130mila (80mila pensioni contributive e 50mila pensioni assistenziali), meno dell’1% del totale, per un importo di spesa pari a circa 800 milioni di euro (2015). Di converso, i circa 2,4 milioni di migranti occupati regolarmente versano nella casse previdenziali contributi per un valore al 2015 di circa 11,5 miliardi di euro. Il surplus per le casse dell’Inps è quindi di circa 10, 7 miliardi di euro, un flusso di cassa rilevante anche per il pagamento delle pensioni di oggi. Inoltre, occorre considerare che l’87,6% dei lavoratori stranieri vedrà la propria pensione interamente calcolata con il metodo contributivo. E occorre aggiungere che non tutti vi accederanno: spesso, infatti – come sottolinea il rapporto “La dimensione internazionale delle migrazioni” della Fondazione Leone Moressa – questo non avviene: si stima infatti che negli ultimi anni gli immigrati abbiano lasciato nelle casse dell’Istituto circa 3 miliardi di euro di contributi versati, per prestazioni cui avrebbero avuto diritto se fossero rimasti in Italia.
Da un punto di vista economico, il buon senso ci dovrebbe consigliare che favorire flussi migratori in grado di regolarizzarsi nel più breve tempo possibile (ad esempio, tramite sanatorie, come già avvenuto, con successo, in passato) produce effetti più che positivi sia per l’economia italiana che per i conti pubblici. Esattamente l’opposto di quanto la mala informazione vuole farci credere.
Emigrazioni e immigrazioni
Negli ultimi 12 mesi sono sbarcati in Italia 52.000 stranieri. Ma, in contemporanea sono partiti per la sola Germania, 65.000 italiani (il 25% in più degli sbarchi). Se tutti i media sono concentrati sull’immigrazione, quasi nessuno si sta rendendo conto dell’aumento dell’emigrazione, in un paese che nel periodo tra 1876 e il 1976, ha registrato circa 26 milioni di espatri, originando quello che è stato definito “the largest exodus of people ever recorded from a single nation”[2].
Nel 2016 si sono registrate quasi 160 mila cancellazioni anagrafiche per l’estero. In generale le emigrazioni sono per lo più di cittadini italiani (nel 2016 se ne contano 114 mila, 73%).
Le mete di destinazione sono prevalentemente i Paesi dell’Europa occidentale: Regno Unito (22,0 per cento), Germania (16,5 per cento), Svizzera (10,0 per cento) e Francia (9,5 per cento), i quali accolgono più della metà delle cancellazioni per l’estero. Le province per le quali si registrano i tassi di emigrazione più alti si trovano nel Nord (Bolzano, Vicenza, Mantova, Imperia e Trieste) e in Sicilia (Agrigento, Catania, Caltanissetta ed Enna).
Molti italiani con alto livello di istruzione lasciano il Paese, pochi vi fanno ritorno. Selezionando i migranti italiani con più di 24 anni, nel corso del 2016 si ottiene un saldo migratorio con l’estero di circa 54 mila unità, di cui circa 15 mila hanno almeno la laurea. La fascia d’età in cui si registra la perdita più marcata è quella dei giovani dai 25 ai 39 anni (circa 38 mila unità in meno) e, tra questi, quasi il 30% è in possesso di un titolo universitario o post-universitario. La giovane età di questi emigrati testimonia la difficoltà dell’Italia nel trattenere competenze e professionalità.
Si tratta in ogni caso di dati sottostimati, ovvero della punta di un iceberg. Una ricercacongiunta condotta nel 2016 da Idos e dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” sulla base di dati Ocse spiega che rispetto ai dati dello Statistisches Bundesamt tedesco e del registro previdenziale britannico (National Insurance Number), le cancellazioni anagrafiche rilevate in Italia rappresentano appena un terzo degli italiani effettivamente iscritti. Pertanto, i dati dell’Istat sui trasferimenti all’estero dovrebbero essere aumentati almeno di 2,5 volte e di conseguenza nel 2016 si passerebbe da 114.000 cancellazioni a 285.000 trasferimenti all’estero, un livello pari ai flussi dell’immediato dopoguerra e a quelli di fine Ottocento.
Ogni emigrazione rende vano l’investimento sociale effettuato sulla persona: 90.000 euro un diplomato, 158.000 o 170.000 un laureato (rispettivamente laurea triennale o magistrale) e 228.000 un dottore di ricerca. Nel corso del 2016, il costo dell’emigrazione è stato quindi stimabile in 3,510 miliardi di euro per i 39.000 diplomati, 5,440 miliardi per i 34.000 laureati. Una perdita di circa 10 miliardi di euro che non può essere compensato dal saldo positivo dell’immigrazione, che abbiamo visto essere pari a 1,4 miliardi.
Proprio guardando a questi dati, si stima che in Italia la popolazione residente attesa sia pari, secondo lo scenario mediano, a 59 milioni nel 2045 e a 54,1 milioni nel 2065 (dati dell’ultimo report dell’Istat, diffuso il 3 maggio 2018). La flessione rispetto al 2017 (60,6 milioni) sarebbe pari a 1,6 milioni di residenti nel 2045 e a 6,5 milioni nel 2065. Si tratta di uno scenario preoccupante che altera ulteriormente il rapporto intergenerazionale, la cui distorsione potrebbe essere compensata oltre che dalla regolarizzazione dei migranti (che hanno un’età media di 10 anni inferiore a quella degli italiani) anche da politiche che favoriscano la permanenza in loco delle generazioni più giovani.
A guisa di conclusione…
Sul tema dell’immigrazioni si gioca il futuro democratico ed economico di questo pese. La disinformazione regna sovrana, alimentata ad arte da una strategia comunicativa potente quanto rozza nella sua semplicità di attizzare comportamenti utilitaristici e opportunistici.
Al riguardo è interessante uno studio condotto da Alberto Alesina, Armando Miano e Stefanie Stantcheva (università di Haward) che ha indagato lo stato dell’informazione e delle opinioni di europei e americani sugli immigrati dei loro paesi, tramite un campione di circa 23.000 nativi in sei nazioni, Francia, Germania, Italia Regno Unito, Stati Uniti, Svezia. In primo luogo, la presenza degli immigrata è sovrastimata sino a essere considerata tre volte quella reale. In Italia, la disinformazione fa ritenere che gli immigrati siano circa il 30% della popolazione quando nella realtà sono meno del 10% (la quota più bassa tra i 6 paesi considerati nello studio). Un dato in linea anche con un’analoga ricerca condotta da Ipsos nel 2017. Inoltre gli italiani pensano che il 50% degli immigrati sia musulmano, quando sono in realtà il 30%. E sono ben il 60% quelli di fede cristiana, mentre gli italiani pensano che siano meno del 30%. Ma c’è di più. Gli italiani ritengono che il 40% degli immigrati sia disoccupato, così da essere concorrenti agli italiani sul mercato del lavoro (“ci portano via il posto di lavoro”) oltre che pesare sulla spesa sociale. Il dato esatto è che poco più del 10% degli immigrati è disoccupato, un valore in linea, se non inferiore, con quello dei nativi.
Ma il dato più interessante di questo studio è il seguente: il campione è stato diviso in due parti. Alla prima parte sono state rivolte delle domande inerenti prima l’immigrazione e successivamente lo stato sociale e la redistribuzione del reddito. Per la seconda metà del campione, l’ordine delle domande è stato invertito.
I primi, con il tema degli immigrati in mente, si sono dimostrati più avversi allo stato sociale rispetto a coloro che prima hanno risposto alle domanda sullo stato sociale e solo dopo ai temi relativi all’immigrazione. Sembra cioè che i nativi siano più generosi con i nativi ma non con i “diversi, ovvero gli immigrati.
Tale comportamento dipende dalla carenza di informazioni corrette sul fenomeno migratorio, il cui peso viene enfatizzato volutamente proprio per favorire e alimentare reazioni di tipo xenofobo. Ne è controprova il fatto che quella parte del campione che è stata correttamente informata sul numero degli immigrati e sulla loro origine, ha manifestato un deciso calo nelle posizioni anti immigrati. Ovvero, gran parte dei sentimenti anti immigrati deriva da percezioni errate.
Possiamo provare a trarre allora due insegnamenti. Primo: abbiamo bisogno di una forte e costante informazione (a qualcuno piace chiamarla contro-informazione ma tocca partire dalla assenza di informazione). Il paradosso (non casuale) è che in tempi di trionfo della comunicazione come leva e processo di valorizzazione, l’esigenza di (buona) informazionesembra meno sentita o fa più fatica a diffondersi. Più facilmente si diffondono le fake news.
Secondo: il sentimento anti-immigrati è figlio di questa non-conoscenza che facilita la sedimentazione di una cultura razzista, dentro uno strutturato disegno di dominio. La maggior parte delle persone rischiano di diventare facile preda di questo processo. A maggior ragione – come sempre – la diffusione di una corretta informazione è socialmente e politicamente vitale.
Note
[1] Trad. it.: “Secondo le stime, l’immigrazione aumenta solo l’incidenza delle rapine, lasciando inalterati tutti gli altri tipi di crimine. Dal momento che le rapine rappresentano una minima parte di tutti i reati penali, l’effetto (dell’immigrazione, ndr.) sul tasso complessivo di criminalità non è significativamente diverso da zero”.
[2] Thomas Sowell, Ethnic America, Basic book, New York, Usa, 2009, cap. 5. Trad. it.: “il più grande esodo che si sia mai verificato in un unico paese”.