Il documento d'indirizzo che sta per andare al vaglio del Consiglio comunale, dietro l'apparenza di obiettivi condivisibili come la disponibilità di alloggi per chi non può permettersi gli attuali prezzi folli, nasconde una visione vecchia e pericolosa.
Una ricetta, quella preparata dalla giunta comunale di Letizia Moratti, che, ben prima di dare una risposta al bisogno di case a buon mercato rischia di aggravare e rendere inguaribili i problemi più gravi della città: dal traffico, all'inquinamento, all'insufficienza del verde e delle infrastrutture.
Cominciamo dalla coda, ovvero dall'obiettivo di portare a 2 milioni la popolazione residente in città, con un aumento di 700mila nuovi abitanti in sei anni. Ha senso una simile prospettiva? No, non lo ha. Milano è un comune piccolo, con un consumo del suolo ben oltre la capacità di rigenerazione, parchi insufficienti e una struttura radiale che, già ora, è soffocata per la quantità di funzioni pregiate e direzionali addensate nei suoi confini. Funzioni che richiamano, ogni giorno, centinaia di migliaia di pendolari dall'hinterland, dalla regione e da un'area ancora più vasta che va da Varese a Piacenza, da Bergamo a Novara: la regione urbana milanese, la cosiddetta "città infinita", quella su cui si organizzano pregevoli convegni ma che rimane priva di una testa pensante, di sistemi di regolazione e di governo. La giunta Moratti vorrebbe trasformare un po' di quei pendolari in nuovi residenti milanesi e, a quel che si è capito, frenare la fuga delle giovani coppie verso la provincia. Ma è un proposito che si scontra, oltre che con gli angusti confini municipali, anche con la qualità, la vocazione e il profilo attuale della città.
Milano ha avuto molti più abitanti, una trentina di anni fa, quando era una città industriale e operaia. Il massimo venne raggiunto nel 1974, con quasi 1 milione 750mila residenti. Poi venne il rapido declino della residenza, coincidente con la deindustrializzazione, l'esplosione della città terziaria, l'espulsione dal centro e dal semicentro di famiglie a basso reddito e del ceto medio. Da oltre vent'anni, abbiamo intere porzioni di città dove alla residenza si sono sostituiti uffici, studi professionali, sedi direzionali. Forse si dovrebbe ripartire da lì, dal ritorno alla residenza delle parti forzosamente terziarizzate di Milano, per avviare un programma di ripopolamento.
Ma l'assessore Masseroli non ne fa cenno. Non gli interessa. Troppo complesso rimettere in discussione la destinazione d'uso di centinaia di stabili e di migliaia di appartamenti e soprattutto potenzialmente una fonte perenne di guai con la proprietà immobiliare grande e piccola. Meglio il cemento fresco, allora. La trovata è, dunque, è far salire l'indice di edificabilità da 0,65 a 1. Costruendo in verticale, con "vincoli e regole" ridotti al minimo, o eliminati del tutto, per la gioia di immobiliaristi e costruttori. E alla faccia di chi pensa che ai problemi del terzo millennio non si possa rispondere con ricette anni Sessanta, lanciando programmi edilizi da ricostruzione post bellica in una insensata gara con i Comuni della propria area urbana per "rubarsi" residenti. Così insensata da ingenerare il sospetto che tutto questo fervore per nuove case a buon mercato nasconda, in realtà, ben altro obiettivo: far cassa con gli oneri di urbanizzazione, per recuperare i soldi che il governo "amico" ha sfilato dal portafogli di Palazzo Marino.