Un mostro di 318 articoli e centinaia di pagine è approdato nel Consiglio dei ministri. E potrebbe stravolgere larga parte della legislazione ambientale italiana. In pochi minuti Berlusconi e sodali hanno messo la firma e il testo ha iniziato a far danni istituzionali. Ora devono avere il parere (non vincolante) della conferenza unificata con Regioni e Comuni; sì sono inventati un termine di venti giorni (immotivato e irricevibile). Poi devono avere il parere a maggioranza di centrodestra delle commissioni parlamentari; deputati e senatori non emendano né votano le singole norme, sono vincolati ad un'opinione in soli 30 giorni. Poi un nuovo Consiglio dei ministri potrebbe emanare il decreto definitivo, diciamo a metà gennaio. Speriamo che non accada, che non si arrivi. Ho cercato di seguire la vicenda passo passo, dedicandovi la rubrica una decina di volte in questi quattro anni. Berlusconi e Matteoli avevano chiesto nel 2001 una delega a riscrivere tutto, ottenendola all'inizio del 2005, dopo aver scelto l'inattività, nell'attesa. Sono stati autorizzati a predisporre schemi di riordino di sette materie con l'ausilio di una commissione nominata discrezionalmente dal ministro. La commissione è stata costretta a lavorare poco e male, amici del ministero lo hanno fatto al suo posto. Hanno preparato cinque schemi con decine di allegati, con discutibili abbinamenti e un clamoroso immotivato vuoto che riguarda le aree protette. Il Parlamento, mentre attendeva senza notizie, ha chiesto di esaminarli uno per volta, una volta arrivati. Allora li hanno cuciti insieme, così, per ragioni di opportunismo politico. Potremmo trovarci con un'unica legge di centinaia di articoli che, però, non è un testo unico (ad esempio, restano fuori energia, rumore, parchi), non è un riordino (nelle materie affrontate restano in vigore altri testi), non è un coordinamento (mancano definizioni univoche e ordinate, si copiano norme già in vigore, vi sono innumerevoli disposizioni di dettaglio), non è un'integrazione coerente (qui si centralizza là si decentra, qui si liberalizza là si statalizza, ovunque si rinvia ad ulteriori attuazioni governative), non è un impegno di organiche politiche concrete (ovviamente mancano disposizioni finanziarie). In breve, sarebbe una controriforma in contrasto con l'Europa, capace solo di aggiungere confusione, lasciare nell'incertezza per anni ogni privato e ogni amministrazione, incrementare conflitti amministrativi e giudiziari. Giunte e parlamentari non sono in grado di bloccarla; intanto possono denunciare il rischio e condizionare il percorso. Innanzitutto Regioni e Comuni: non ci sono le condizioni minime per un esame serio di un "mostro" che espropria competenze e travolge centinaia di leggi, enti, controlli regionali. È utile presentare una piattaforma-appello di richieste al governo sul calendario e nel merito della delega, non limitandosi al parere negativo. Lo stesso Parlamento dovrebbe essere investito degli evidenti elementi di incostituzionalità: la delega è stata approvata non nel merito ma con la richiesta di fiducia; lo schema di decreto unico viene esaminato durante la sessione finanziaria, in pochi giorni utili, su un testo che non rispetta i principi della delega stessa. Le presidenze delle assemblee parlamentari non hanno nulla da dichiarare? Come può essere al più presto coinvolta la Corte costituzionale? I parlamentari della maggioranza (come tutti a fine mandato) possono anteporre un qualche senso dello Stato o, almeno, suggerire un percorso legislativo che coinvolga formalmente i parlamentari della maggioranza e dell'opposizione nella prossima legislatura? Possibile che si debba solo "salvarsi" con i due anni di verifica previsti dalla stessa legge delega, accettando un lungo periodo di indeterminatezza di norme e politiche? E gli stessi vertici dell'Unione colgono la gravità della situazione? Verrà promossa una manifestazione a metà dicembre contro le nere cronache ambientali del governo Berlusconi, per lo sviluppo sostenibile?