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Giorgio Todde
Turista di mare e turista di terra
15 Agosto 2009
Turismo
C’è un’ambiguità senza soluzione ...

C’è un’ambiguità senza soluzione nei discorsi di chi parla di turismo interno che consisterebbe nell’arte di convincere chi se ne sta al mare ad alzarsi, scuotersi il torpore di dosso ed andare verso le zone interne e impervie le quali, secondo i teorici di questo tipo di turismo, sarebbero in questo modo finalmente “valorizzate”. Insomma, traslando il turista bagnante in una zona montuosa, si vorrebbe trasformarlo da essere inanimato su una sedia a sdraio in un viaggiatore interessato ad usi e costumi diversi dai suoi, mosso dalla forza della curiosità e dotato di un’anima nuova.

Ma una creatura del genere è difficile da trovare in natura: bisogna crearla.

Bene, vediamo come dovrebbe accadere e partiamo da qualche osservazione sulle vacanze di un turista di terra e di un turista di mare, generi che sono di solito separati anche nei menù. Due categorie di pensiero diverse, due specie diverse che adesso si vorrebbero incrociare per creare una razza nuova: un ibrido molto difficile da ottenere. Serviranno l’ingegneria genetica ed investimenti ma c’è anche il rischio, manipolando i cromosomi turistici, di creare mostri imprevedibili.

Analizziamo la fisionomia che ha assunto la vacanza dalle nostre parti.

Prima di tutto qua si viene, appunto, in vacanza e bisognerebbe mettersi d’accordo proprio sulla parola vacanza che contiene una quota di significato già di per sé pericolosamente tossica.

La vacanza, etimologicamente, proviene da vacuum ovvero vuoto. La vacanza è un periodo di vuoto che può essere anche drammatico e lo si può riempire come si vuole. Perciò la vacanza riflette un vuoto oppure cerca di colmarlo: due condizione opposte.

Gli sviluppisti che vogliono divorare l’isola e trasformarla in un postribolo estivo teorizzano la vacanza vuota, coltivano e propagano il modello della vacanza vacua, senza significato. Giorni trascorsi nel nulla perché il nulla sarebbe riposo.

Gli sviluppisti, in generale se ne impipano del turismo interno. Loro non vogliono che il turista si muova dall’incubatrice turistica dove viene conservato. Considerano, si sa, il turista una merce da movimentare e il viaggio un prodotto.

Non si immagina come il turista disposto a farsi ipnotizzare nel ciclo del cosiddetto riposo vacanziero, che rende ebeti anche se per una sola settimana, possa mutare di colpo. E’ improbabile che un essere ridotto ad uno stato elementare di organismo semplice, monocellulare, che il turista, insomma, si trasformi di colpo, lasci il vuoto in cui l’hanno imprigionato e prenda la corriera attratto dalle cosiddette zone interne.

Altra definizione potenzialmente drammatica. Tecnicamente il termine è ineccepibile: sono in effetti zone interne.

Ma si trascura di dire che sono territori in via di abbandono. Insomma sono aree interne e deserte che si stanno svuotando perché tutti accorrono verso il vuoto morale dell’idea sviluppistica che affligge e impesta le coste.

Le zone interne non sono solo aree recondite, sono zone dove l’uomo nativo non si troverà più se non conservato come in un museo. Sono zone quasi morte dove la memoria dell’isola resiste, conservata da pochissimi che ancora praticano l’identità e conservano caratteri identitari. Che non diventi, appunto, un museo vivente in cambio di qualche turista.

Se, poi, quei pochi visitatori diventassero molti, allora in esatta proporzione alla “crescita” turistica, i “sardi sopravvissuti” si estinguerebbero, sostituiti da sardi finti, di plastica, simili a quei souvenir – gondolette, colossei ecc. – che si conservano nelle vetrinette di casa.

E’ perfino ingiurioso che qualcuno arrivi qua da un villaggio vacanze per vedere che esistono mondi arcaici dei quali, poi, parleranno come di un viaggio nella macchina del tempo. Loro, i turisti, erano nel proprio luna park quando li hanno prelevati e condotti a vedere per un giorno uomini e donne nella loro riserva mentre tosano oppure tessono all’arcolaio.

Insomma, è una fortuna che il cosiddetto flusso turistico – dannoso come un’infestazione – non sia orientabile verso le zone interne che, proprio perché interne, devono restare inaccessibili e devono interessare solo uomini curiosi e desiderosi di osservare un mondo e una società differente, conservativa e fragile come la nostra.

Basterebbero due, tre stagioni turistiche come quelle che qualcuno auspica per le zone interne per renderle un posto qualunque, abitato da gente qualunque, un posto uguale a tanti altri posti uguali..

Ma è solo una questione di tempo.

Il turismo distruttivo come un’invasione di locuste che gli sviluppisti desiderano per l’isola la distruggerà in modi diversi e tutti efficaci. Però cerchiamo di ritardare la fine e lasciamo in pace le zone interne.

Ci sarà una distruzione del paesaggio, una distruzione geologica, come un’effusione lavica che ricopre tutto e rende tutto grigio. Ci sarà una distruzione dei caratteri e, se esiste, della psicologia isolani che tenderanno a rassomigliare a quelli di chi viene a consumare il paesaggio come un dvd. Ci sarà una distruzione economica perché tutto dipenderà da quanti, fotocamera a tracolla, sbarcheranno nell’isola. E ci sarà una distruzione morale poiché questo modello turistico verrà condotto, spinto dalle regole della concorrenza, sino alle sue estreme conseguenze, sino alle sue forme più turpi.

Meno male, meno male che il turista di terra e il turista di mare sono due categorie dello spirito talmente differenti che non si incontreranno mai e che l’unico congiungimento riuscito tra terra e mare è stato e rimane, come dice Achille Campanile, quello perfetto delle seppie con i piselli.

L'articolo è comparso su la Nuova Sardegna nell'aprile 2005

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