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Teresa Cannarozzo
Turismo d’élite, mezzogiorno e coesione territoriale.
15 Agosto 2009
Turismo
Un articolo scritto per Liberazione, su un tema dibattito su Eddyburg. Invece della liquidazione dei beni pubblici costieri, si può fare qualcosa di serio?

L’introduzione dell’articolo 14 (legge obiettivo per il turismo di qualità) nel Decreto sulla competitività, proposto dall’on. Crosetto (FI) merita qualche ulteriore considerazione. La proposta di cedere in concessione a privati beni demaniali costieri per un periodo di 90 anni al fine di impiantare strutture alberghiere di qualità e case da gioco, per contribuire al decollo dell’economia del Mezzogiorno, in deroga a qualunque previsione urbanistica e di tutela vigente, è la cosiddetta ciliegina sulla torta. La trovata si inserisce infatti perfettamente in quella linea di pensiero e di azione più volte esplicitata dall’attuale maggioranza politica al governo del paese sintetizzabile nell’obiettivo di rastrellare risorse economiche comunque e dovunque, senza andare troppo per il sottile.

La famosa cartolarizzazione, cioè la vendita del patrimonio immobiliare pubblico, con la conseguenza di un gran numero di sfratti agli inquilini di case di proprietà di enti pubblici, per non parlare delle implicazioni squisitamente culturali sulla alienazione del patrimonio edilizio storico; la deregulation in campo urbanistico con l’ingresso sempre più invasivo del privato nelle decisioni urbanistiche, consacrato nella legge nazionale sul “governo del territorio” nota come legge Lupi, fortunatamente bloccatasi per mancanza di copertura finanziaria, sono alcune delle performances più significative dell’attuale maggioranza politica al governo del paese.

A onor del vero l’insofferenza verso le regole dell’urbanistica (i cosiddetti lacci e lacciuoli che impediscono la libera iniziativa degli imprenditori privati) si è manifestata da più di un decennio e ha prodotto il varo di strumenti urbanistici che prevedono l’affermazione del partenariato pubblico-privato, il ruolo crescente del partner privato e la deroga sistematica alle norme contenute negli strumenti urbanistici. Ci riferiamo ai cosiddetti “programmi complessi” tra cui si annoverano i PIT (Programmi integrati di intervento) i PRUSTT (Programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio); iniziative promosse da privati, spesso sostenute da finanziamenti europei, con percorsi molto accelerati di progettazione e di approvazione, a scapito della qualità progettuale e della trasparenza delle procedure.

Sulle questioni accennate non ci è sembrato cogliere un grande interesse e un adeguato atteggiamento critico da parte delle forze politiche del centro-sinistra, che sono sembrate tendenti a sposare tout-court le innovazioni, dimenticando forse che la paleo-urbanistica, tradizionalmente affidata al soggetto pubblico, nonostante alcune innegabili rigidezze, garantiva almeno irrinuciabili fasi di pubblicizzazione delle scelte urbanistiche e di democrazia partecipativa alle scelte stesse (pubblicazione dei piani, osservazioni e opposizioni dei cittadini e dei soggetti portatori di interessi collettivi come le associazioni culturali, ambientaliste, etc..). Le procedure accelerate, gli “sportelli unici” e i “silenzi-assenso” rendono molto difficile l’informazione e la conoscenza delle iniziative proposte dal privato di turno.

Nell’art. 14 proposto dall’on. Crosetto troviamo tutti gli ingredienti di cui sopra tendenti a spianare la strada del privato, ma gli stessi contenuti e obiettivi erano stati dichiarati più volte in precedenza dall’on. Miccichè, in varie interviste rilasciate da quando ha assunto la carica di Ministro per la Coesione Territoriale (?) con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno.

Ascoltando e leggendo le interviste dei suddetti politici c’è da chiedersi in che misura essi conoscano il Mezzogiorno, le relative angosciose problematiche, le straordinarie risorse territoriali, ancorchè sottoutilizzate, e che cosa intenda il Ministro Miccichè per “coesione territoriale.”

Il Mezzogiorno, come è noto, è una terra di forti squilibri e di grandi contraddizioni: abbandono e spopolamento delle aree interne; congestione delle aree costiere; inquinamento marino di natura antropica; carenza di infrastrutture territoriali di collegamento; dissesto idrogeologico; carenza idrica; crescita dissennata delle città con croniche carenze di attrezzature e servizi pubblici; degrado e abbandono dei centri storici; dismissioni industriali e crollo degli indotti; agricoltura precaria. A ciò fa da contraltare la ricchezza del patrimonio naturalistico, paesaggistico, storico, archeologico, culturale, ubicato anche in aree interne e poco conosciute; la qualità architettonica e paesaggistica dei centri storici; la gastronomia e alcune piccole produzioni pregiate che cominciano ad affermarsi; una nuova attitudine imprenditoriale nel settore dell’agriturismo e del turismo rurale che utilizza una piccolissima parte della grande quantità di manufatti storici diffusi nel territorio. Da non dimenticare, ovviamente, l’ipoteca della criminalità organizzata su qualsivoglia iniziativa.

L’art. 14 mette su carta le intuizioni del Ministro Miccichè sul ruolo salvifico del turismo d’élite per il decollo del Mezzogiorno, tramite le procedure deregolatorie di cui si è già detto e che sono state evidenziate da altri commentatori sulla stampa nazionale.

E’ stato evidenziato giustamente anche che l’impresa mafiosa, che è l’unica ad avere capitali da investire nel Mezzogiorno, correrebbe a vele spiegate a cogliere le opportunità offerte dalla nuova normativa, ivi compresa la possibilità di aprire case da gioco, che come tutti sanno, servono egregiamente a ripulire il denaro di provenienza sospetta.

Ma i problemi sono anche altri e investono il ruolo che può avere realisticamente il turismo per contribuire allo sviluppo economico delle comunità del Mezzogiorno. Infatti la crisi dei sistemi produttivi tradizionali sembra affidare lo sviluppo del territorio delle regioni meridionali quasi esclusivamente all’incremento delle economie derivanti dall’attività turistica, invocata sistematicamente, ma in maniera piuttosto astratta, nei documenti delle forze politiche e sempre più presente nei progetti di sviluppo locale, anche se in forme disorganiche e di dubbia efficacia.

A tali manifestazioni di indirizzo programmatico non è comunque corrisposta una crescita del settore turistico come rivelano dati e statistiche recenti; infatti, il turismo, per diventare una attività produttiva di rilievo, deve fare parte di un progetto politico complessivo, in grado di intervenire non solo su tutta la filiera dell’offerta turistica, ma anche sulla riqualificazione del territorio, sul ripristino dell’equilibrio ambientale, sull’integrazione dei collegamenti territoriali, sull’incremento della portualità, etc…

L’offerta turistica del Mezzogiorno, al centro del Mediterraneo, che costituisce uno dei più grandi bacini turistici esistenti, dove confluisce il 35% del turismo mondiale, è ancora poco articolata per genere con prevalenza del turismo balneare, caratterizzata da una breve durata (il periodo di luglio e agosto) e concentrata su poche località da sempre inserite nei circuti turistico-balneari tradizionali.

Sicuramente non basta il cosiddetto turismo d’élite (alberghi a cinque stelle, campi da golf e case da gioco) specie se destinato a congestionare ulteriormente le fasce costiere a dare una spinta significativa e sana allo sviluppo delle comunità del Mezzogiorno.

Una autentica sensibilità verso la “coesione territoriale” dovrebbe indurre il governo a occuparsi del Mezzogiorno in maniera più organica, guardando anche alle risorse potenziali espresse dalle aree interne come parchi e riserve naturali, aree archeologiche, centri storici, produzione agricola ed eno-gastronomica di qualità; risorse straordinarie, che comunque non riescono ancora a fare “sistema” e a diventare attrattori di varie tipologie di turismo.

Il Ministero della “coesione territoriale” forse dovrebbe iniziare ad applicare sul campo la ragione sociale che lo definisce.

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