GIÚ LE MANI DAL VOTO GRECO
di Tommaso di Francesco
Quello che accade in questi giorni e in queste ore in Grecia ci riguarda direttamente, la crisi infatti non è greca ma dell’intero sistema finanziario del capitalismo globalizzato. Sono sette anni che il mondo occidentale è in aperta recessione e le sole timide uscite segnalate sono quelle di paesi che hanno la capacità di scaricare su quelli più deboli contraddizioni e costi, come fanno la Germania con i neosatelliti dell’est e gli Stati uniti con l’intera economia europea. Il fatto che la sinistra rappresentata da Syriza sia riuscita a sventare a fine anno la manovra del premier Samaras di eleggere un “suo” presidente della repubblica per negare e rimandare la verifica elettorale è un avvenimento di portata continentale.
Tutta l’Europa in questo momento guarda ad Atene e, certo, non tutti con la stessa aspettativa. I mercati, vale a dire la finanza internazionale occidentale, teme che la rinegoziazione dei termini del debito greco metta in discussione i criteri con cui l’Unione europea ha salvaguardato le banche invece degli investimenti per il lavoro, l’occupazione, le spese sociali; l’establishment dell’Ue ha paura che l’arrivo sulla scena del governo greco di una forza alternativa di sinistra faccia saltare l’impianto dei diktat che hanno portato alla crisi umanitaria non solo la Grecia. Ad Atene invece si apre uno spiraglio di luce, una grande possibilità. Noi che in Italia lavoriamo a ricostruire una sinistra alternativa italiana, mentre siamo alle prese con la scomparsa della sinistra e con le scelte neoliberiste di un governo come quello del leader Pd Matteo Renzi all’attacco dei diritti dei lavoratori e del welfare, vediamo l’occasione straordinaria di una svolta possibile anche in Italia e in tutta Europa. È un’opportunità europeista, perché l’Unione europea invece che nemica, com’è stata finora, diventi il continente dei diritti e della democrazia.
Sorprende e allarma, in una parola preoccupa, il dispositivo — fin qui — di terrorismo psicologico di massa che i governi europei e i rappresentanti della stessa Commissione europea hanno messo in campo. Dal presidente Juncker con le sue dichiarazioni contro Syriza, al governo di ferro di Berlino, a quello di destra di Madrid alle prese con elezioni proprio nel 2015 e con la nuova formazione di sinistra Podemos; con l’eccezione del presidente francese Hollande che almeno invita Merkel e i governi Ue a riconoscere che alla fine «il popolo è sovrano». Questo attacco subdolo e scellerato è contro il popolo greco che vuole decidere il proprio destino. Dopo tante chiacchiere sulla democrazia, scopriamo dunque che i leader e i governi europei la temono anziché difenderla e vorrebbero impedire che chi ha subìto i costi della crisi del capitalismo finanziario possa votare contro la violenza istituzionale che i tagli riformisti hanno rappresentato per la condizione di vita di milioni e milioni di cittadini e lavoratori con l’aumento della miseria e delle diseguaglianze. Così si strappa un velo: il capitalismo globalizzato non ama la democrazia reale ma solo quella rituale e svuotata di senso — vista l’equivalenza dei partiti — che allrga il baratro tra governanti e governati, alimenta qualunquismo e antipolitica, mentre crollano le percentuali di voto e vince ovunque l’astensionismo di massa e il conflitto di tutti contro tutti. Fino a favorire una nuova destra estrema xenofoba, razzista, ipernazionalista che difende nella crisi i più forti e usa i deboli contro i più deboli.
Allora, giù le mani dalle elezioni greche. Solo la democrazia reale salverà la Grecia e l’Europa dal disastro. Una democrazia reale che chiami il 25 gennaio non ad un voto qualsiasi ma ad un impegno di protagonismo milioni di giovani, di donne, di lavoratori e disoccupati. Perché sostengano l’alternativa che Syriza e il suo programma già rappresentano, perché cresca la sua forza e si allarghi il suo sostegno — nessuno a sinistra può restare solo a guardare. E perché il forte consenso che avrà, e che noi auspichiamo, sia il primo passo per coinvolgere il popolo e i lavoratori nel governo della Grecia e nella svolta in Europa
L'EURO NON GREXIT
di Anna Maria Merlo
Europa. La Germania fa tremare i mercati. Ma Hollande frena Merkel: «Sarà la Grecia a decidere cosa fare». La Linke e i Verdi denunciano le «pressioni inappropriate» di Berlino sulle elezioni elleniche
Con la grazia di un elefante in un negozio di cristalleria, la Germania, minacciando Atene di Grexit – uscita dall’euro — in caso di vittoria di Syriza alle legislative anticipate del 25 gennaio, ha squarciato un velo che rischia di avere un effetto boomerang in tutta Europa: la democrazia sarebbe diventata soltanto un’operazione formale nella Ue, ingabbiata dal rispetto del Fiscal Compact e delle regole di austerità? I cittadini non avrebbero quindi più nessuna libertà di scelta, dando cosi’ ragione a tutti gli euroscettici (di estrema destra) che hanno ormai il vento in poppa nella maggior parte dei paesi dell’eurozona? Secondo Der Spiegel, per Angela Merkel e il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble non c’è «nessuna alternativa» all’applicazione del Memorandum, mentre il Grexit sarebbe addirittura «quasi inevitabile» se Syriza al potere rifiuterà di continuare ad imporre le riforme impopolari – e inefficaci — che hanno ridotto gran parte dei cittadini greci alla povertà. Se Syriza chiederà una moratoria sul rimborso del debito, la Grecia potrebbe venire costretta ad abbandonare la moneta unica, dice la Germania dominante. E questo non avrà conseguenze per la zona euro secondo Berlino, non ci sarà l’effetto domino, visto che a differenza del 2011 e del 2012 ormai l’euro è protetto dal parafulmine del Mes (il Meccanismo europeo di stabilità, dotato di 500 miliardi) e le sue banche sono a riparo della recente riforma del settore.
I grossi zoccoli con cui Merkel e Schäuble sono entrati in campagna elettorale ad Atene non hanno nessun riscontro nei Trattati. La cancelleria ha smentito mollemente le rivelazioni di Der Spiegel. In effetti, l’obiettivo era solo di fare paura, di spaventare l’elettore greco: o sceglie Samaras e l’euro, oppure Tsipras e il caos. Già Jean-Claude Juncker ci aveva provato, il 12 dicembre scorso, sperando di influire sul voto parlamentare per il presidente della repubblica: in un’intervista alla tv austriaca, il presidente della Commissione aveva affermato di preferire dei «volti familiari« (cioè Stavros Dimas) perché «non mi piacerebbe che delle forze estremiste prendessero il potere». Il risultato di questo intervento è stato la non elezione del presidente e la conseguente convocazione di elezioni anticipate. Con un comunicato, è intervenuto nel fine settimana anche il commissario agli Affari economici e monetari, Pierre Moscovici, invitando i greci a dare «un ampio sostegno» al «necessario processo di riforme» in corso (cioè votare per Nuova Democrazia e Pasok). Ma Berlino (e Moscovici) hanno esagerato. Ieri una portavoce della Commissione, Annika Breidthardt, ha cercato di spegnere l’incendio affermando che l’appartenenza all’euro è «irrevocabile», stando ai Trattati. Il Trattato di Lisbona prevede la possibilità di un’uscita dalla Ue, su decisione del paese interessato (e non su imposizione di altri), ma formalmente un paese non Ue potrebbe continuare ad utilizzare l’euro (succede con Kosovo e Montenegro, che usano l’euro senza essere nella Ue). François Hollande ha preso ieri mattina le distanze da Angela Merkel: «I greci sono liberi di decidere sovranamente sul loro governo – ha affermato il presidente francese in un’intervista a France Inter – e per quanto riguarda l’appartenenza della Grecia alla zona euro, tocca ad essa decidere». Però il governo, qualunque esso sia, deve «rispettare gli impegni presi».
In Germania c’è imbarazzo per le rivelazioni dello Spiegel. Solo gli euroscettici dell’Afd hanno approvato l’intervento muscolare di Berlino. Die Linke e i Verdi hanno denunciato le pressioni inappropriate sugli elettori greci, il vice-cancelliere Spd, Sigmar Gabriel, ha cercato di correggere il tiro, indicando che «l’obiettivo del governo tedesco, della Ue e anche del governo di Atene è di mantenere la Grecia nella zona euro». Dall’Europarlamento il gruppo S&D avverte: «La destra tedesca deve smettere di comportarsi come uno sceriffo in Grecia» perché «non è solo inaccettabile ma anche sbagliato: atteggiamenti del genere possono solo produrre rabbia e rifiuto della Ue», con il rischio di «erosione democratica» nella Ue.
Syriza vuole rinegoziare con la trojka i termini del rimborso del colossale debito (177 per cento del Pil). E ha ragione, persino stando alle prese di posizione di Bruxelles. L’Eurogruppo, nel novembre 2012, si era impegnato con Atene a rivedere i termini del rimborso quando la Grecia avesse raggiunto l’equilibrio di bilancio primario (esclusi cioè gli interessi sul debito): Atene, al prezzo del rigore assoluto, lo ha fatto già da fine 2013. Ma Merkel non vuole soprattutto che vengano ridiscussi i termini del Memorandum: Syriza propone riforme diverse, concentrate sul funzionamento dello Stato, mentre la troika insiste sui tagli ai salari e al numero di dipendenti pubblici. In Germania, anche la Cdu ha espresso preoccupazione per la manifestazione di arroganza tedesca: in caso di default greco, a pagare sarebbe prima di tutto la banca pubblica tedesca Kfw, che ha in cassa una parte consistente dei 260 miliardi di debito greco, assieme ai principali stati membri della zona euro e alla Bce. La Germania si arroga un potere che non ha: solo la Bce, in linea di principio, potrebbe causare il Grexit, tagliando i crediti alle banche greche. Ma così Draghi metterebbe fine alla difesa dell’euro «a qualunque costo», aprendo il vaso di Pandora di un possibile effetto domino. A cui neppure la Germania potrebbe resistere: Berlino pensa di sopravvivere senza la Grecia, ma l’economia tedesca non ce la farebbe nel caso di uscita dall’euro dell’Italia e della Francia
SPERANZA CONTRO PAURA
di Pavlos Nerantzis
La speranza per un avvenire migliore in Grecia e nel resto dell’Europa, ma anche la volontà politica di applicare il programma economico a favore degli strati sociali maggiormente colpiti dalla crisi. È la risposta di Syriza alla strategia della paura promossa dai conservatori della Nea Dimokratia e i loro sostenitori, terrorizzati dai sondaggi che continuano a dare in testa la sinistra radicale greca, tre settimane prima delle elezioni del 25 gennaio.
Syriza, secondo gli ultimi due sondaggi, si conferma in testa tra il 30,4 e il 29,4 per cento, contro il 22 per cento e il 27,3 di Nea Dimokratia del premier Antonis Samaras. Al terzo posto si trovano i nazisti di Alba Dorata con il 5,7 per cento, secondo uno dei due sondaggi, mentre secondo l’altro la terza forza sarebbe il Partito comunista di Grecia (Kke) con il 4,8 per cento. I socialisti del Pasok, invece, che hanno sostenuto il governo di Samaras, rischiano di non essere eletti al parlamento (3–3,5 per cento). Alla domanda su chi sarebbe il miglior premier al momento per il Paese, il 41 per cento si schiera a favore di Samaras contro il 33,4 per cento che preferisce Tsipras. Il 74,2 per cento poi ha risposto che la Grecia deve a ogni costo rimanere nella zona euro.
La prospettiva della vittoria di Syriza non piace, però, ai mercati come anche a una parte della stampa internazionale, che insiste sull’ eventualità di un Grexit, nonostante Alexis Tsipras non smetta di sottolineare che il suo partito non ha la minima intenzione di uscire dalla zona euro. A questi timori è stato attribuito il calo del 5,6 per cento, ieri, della Borsa di Atene e pure la tensione registrata sullo spread ellenico, che è balzato a 876 punti, 21 in più rispetto al dato di partenza.
Pure la Grande coalizione a Berlino, a leggere il settimanale Der Spiegel, si prepara a una uscita di Atene dall’euro, tenendo conto che «questo fatto non avrebbe ripercussioni gravi al resto dell’ Ue». Ma Berlino per il momento smentisce. Ieri il portavove di Angela Merkel ha detto che il governo tedesco non ha cambiato posizione. Anzi, ha aggiunto, la cancelliera tedesca «insieme ai suoi partner lavorano per rafforzare la zona euro nel suo insieme e per tutti i suoi membri, Grecia inclusa».
L’ipotesi di un Grexit è stata respinta anche da Parigi e da Bruxelles che, oltre a far ricordare ad Atene che ci sono impegni che «vanno ovviamente rispettati», ribadiscono che in base ai trattati dell’Ue non è possibile l’uscita di un paese membro dalla zona euro. In altri termini, come ha precisato un portavoce della Commissione europea, la partecipazione all’euro è irreversibile, secondo l’articolo 140, paragrafo 3 del Trattato Ue. Quindi per un Grexit sarebbe prima necessaria una modifica del trattato, «la cui procedura prevede l’ unanimità dei paesi membri, l’approvazione del parlamento europeo e ovviamente da parte dei parlamenti nazionali».
Per il momento quindi i partner europei, alleati di Antonis Samaras, fanno una manovra: sembrano abbandonare la strategia della paura e le interferenze, come era successo durante le elezioni presidenziali, lasciando Atene libera di decidere il proprio destino. Almeno apparentemente, perché dietro le quinte lavorano per affrontare la questione principale, che il nuovo governo greco se sarà guidato da Alexis Tsipras metterà sul tavolo dei colloqui: il taglio del debito pubblico greco. Una richiesta che, nel caso venisse accettata da Berlino e ovviamente da Bruxelles — perché di fatto questi prestiti ad Atene non saranno mai rimborsati per intero — rischierebbe un contagio politico a Roma e a Madrid. Allora lo scontro tra un governo delle sinistre e la cancelliera tedesca sarebbe inevitabile e solo a quel punto si potrebbe parlare del rischio di un Grexit provocato da Berlino.
Intanto l’arresto ad Atene di Christodoulos Xiros, esponente dell’organizzazione “17 Novembre”, condannato a sei ergastoli e ulteriori 25 anni di prigione ed evaso un anno fa dal carcere di Krydallos, è diventato un altro motivo di scontro tra Nea Dimokratia e Syriza. Il premier Samaras, che pure nel passato aveva accusato Tsipras di «andare a braccettocon i terroristi» e di «rapporti tra Syriza e organizzazioni terroristiche», ieri ha accusato la sinistra radicale di non aver emesso un comunicato stampa a favore degli agenti che hanno arrestato il ricercato numero uno in Grecia. Xiros stava preparando un attacco contro le carceri di Korydallos per far evadere i detenuti dell’organizzazione “Cospirazione dei nuclei di fuoco”