La Triennale di Milano, che fu una grande istituzione culturale, ha un nuovo presidente, Claudio De Albertis, che già sedeva nel consiglio di amministrazione, ingegnere noto per essere da tempo presidente di Assimpredil, cioè presidente della associazione dei costruttori della provincia di Milano, i fautori, evidentemente, insieme con i precedenti amministratori, dal sindaco Moratti al suo assessore Masseroli, di quell’ondata di cemento che si è abbattuta e si sta abbattendo su Milano. De Albertis viene dopo Rampello, Davide Rampello regista di varietà prima in Rai e poi alla Fininvest, autore tra l’altro di Premiatissima e di Risatissima, per canale 5, ormai lodatissimo e rimpiantissimo ex presidente per due trienni, indimenticabili secondo alcuni, modestissimi per quanto variopinti a mio timidissimo giudizio.
Su De Albertis non saprei che dire. Non lo conosco, se non per le sue imprese edili (credo siano opera sua molti di quei contestati parcheggi sotterranei, compreso quello che si sta scavando sotto la Basilica di S.Ambrogio, parcheggi fortemente voluti da un altro sindaco di Berlusconi, e cioè Gabriele Albertini). Sarebbe offensivo dire che si sarebbe potuto trovare di meglio. Mi auguro che De Albertis faccia benissimo. Però non posso non condividere una dichiarazione dell’assessore alla cultura Stefano Boeri. Che trascrivo: “Il mio orientamento, come si sa, era del tutto diverso e chiedeva una discontinuità con il passato, anche in considerazione della difficile situazione di bilancio in cui Triennale si trova. Faccio quindi appello a tutte le forze vive e responsabili della cultura milanese affinchè sostengano con idee e programmi innovativi un luogo fondamentale per l’architettura l’arte e la cultura di Milano e difendano la qualità scientifica e artistica della sua programmazione, in coerenza con il prestigio che – anche grazie alla nostra Triennale – questa città si è conquistata in Italia e nel mondo”. In modo meno istituzionale, Boeri ha pure dichiarato che non si può pensare a un risanamento economico della Triennale, senza ripensare a un programma di rilancio culturale che rimetta al centro l’architettura e il design, un programma che riporti la Triennale in rete con le grandi istituzioni internazionali…
Insomma Boeri, gentilmente, ha calato una pietra tombale sul passato di Rampello, considerando quella di De Albertis la scelta mediocre di una maggioranza (di centrodestra) che tarda a capire che cosa sta succedendo a Milano e in Italia, che non capisce evidentemente il valore della Triennale, che conobbe, anche durante il fascismo (la Triennale venne fondata negli anni venti e trovò la sua sede definitiva negli anni trenta, nel palazzo che fu costruito su progetto di Giovanni Muzio e con i soldi di un industriale tessile, Antonio Bernocchi) giorni e giorni di grande fermento culturale, proponendosi come luogo di conoscenza e di dibattito delle idee più nuove dell’architettura e del design (e di progetto: nacque qui ad esempio, per merito di Piero Bottoni, una delle più interessanti esperienze urbanistiche del dopoguerra in Italia, il Qt8, Quartiere dell’ottava Triennale), in stretto rapporto con quanto andava maturando nel resto del mondo. Non vorrei che De Albertis venisse invece a presentarci qualche bel manufatto della Milano d’oggi, tipo i palazzoni di Citylife o i banali semigrattacieli del Garibaldi o i suoi umidi parcheggi sotterranei. Il dubbio ce l’ho. Lui ha già spiegato che alla Triennale si dovrà discutere del futuro di Milano: purtroppo un futuro al cemento non ce l’hanno mai fatto mancare.
Una postilla sull’articolo 18. Dalla Triennale alla Biennale, per citare Franco Bernabè, che a Venezia è stato ben tre anni alla presidenza, ma che è stato soprattutto amministratore delegato dell’Eni, di Telecom ed è tornato a capo di Telecom: cioè uno che da una parte o dall’altra ha sempre mandato a casa migliaia di lavoratori. L’ho sentito a Ballarò, intervistato da Floris, trascinato nell’annoso dibattito sull’articolo 18. Bernabè ha ricordato con eleganza le tante ristrutturazioni da lui guidate, ha ricordato le trattative sindacali (con Cgil, Cisl e Uil, ha precisato), ha ricordato quanto poco d’ostacolo fosse stato l’articolo 18, concludendo che l’articolo 18 sarebbe meglio lasciarlo stare, perché vengono prima altri problemi. Sembrerebbe tutto semplice, quasi ovvio, persino banale…
La Triennale si occupa da sempre di faccende urbane, la possiamo considerare una vera e propria fabbrica di città. Vero che l’unico prodotto direttamente tangibile di questo tipo resta ancora il quartiere modello QT8 voluto dal commissario Piero Bottoni a far da riferimento alla ricostruzione post-bellica. Ma vero anche, come ci insegnano tutti i giorni, che viviamo nel mondo della comunicazione, e non c’è bisogno di manipolare materia per cambiare il mondo: a quello ci possono pensare altri. Solo per fare un esempio particolarmente vicino alle tematiche di questo sito, è dalla Triennale che è partito qualche anno fa con grande clamore lo slogan pataccaro della “città infinita”, espressamente pensato per nascondere sotto il tappeto qualunque forma di considerazione oggettiva sullo sprawl e i suoi costi collettivi. Con risultati a modo loro incredibili, se è vero come è vero che molti studenti di discipline del territorio (e non solo loro ahimè) usano correntemente e acriticamente quell’eresia geografica. In quali altri modi l’impegno diretto di un operatore delle trasformazioni urbane potrà influenzare l’urbanità in senso lato e meno lato? Bisognerà stare a guardare con una certa attenzione, questo dispiegarsi dell’urbanistica subliminale (f.b.)