1. Dire la verità su chi paga, chi riceve, e chi inquina. Il pubblico, e spesso anche i media, ignorano alcune cose ovvie ed essenziali: quanti sussidi vengono erogati con i nostri soldi, e a chi vanno, quanto pagano i viaggiatori e quanto i contribuenti, quanto inquinano i trasporti. Alcuni esempi banali: versiamo alle ferrovie e ai trasporti locali circa 10 miliardi di euro all’anno, e ricaviamo dai trasporti stradali per via fiscale e tramite pedaggi circa 50 miliardi. Nulla di male, se questa fosse una scelta informata e trasparente. Ma certo così oggi non è. I trasporti stradali generano circa il 25 per cento del CO2, ma se si mettessero tasse analoghe a quelle sulla benzina sugli altri inquinatori, si sentirebbero (e si sono sentiti da Confindustria), strilli fino al cielo.
2. Chiamare i pendolari con il loro nome, e aiutarli. I pendolari ferroviari sono meno del 10 per cento del totale, poi vengono quelli che vanno in autobus, e la grande maggioranza deve andare in macchina (pagando tantissimo), e non per scelta, ma perché l’assetto del territorio e del mercato del lavoro non consentono tecnicamente altre soluzioni. Occorre aiutare tutti i pendolari, distribuendo le risorse pubbliche secondo queste proporzioni, e secondo il reale livello di disagio dei diversi modi di trasporto (ritardi dei treni, ma anche ritardi da code infinite…).
3. Smetterla di buttare i soldi pubblici per i ricchi o per immagine (nuove Alta velocità). Fare conti trasparenti e pubblici, non trovare trucchi di “finanza creativa”. L’Alta velocità Milano-Napoli è costata il triplo del dovuto, ma almeno servirà molto traffico, si spera: è la spina dorsale del paese. Nessuno però ha risposto dei costi, generati da appalti fatti tra amici, senza gare. Ma “perseverare diabolicum”: altre linee avranno molto meno traffico (alcune pochissimo), e questo governo continua a non voler fare gare. Escogitare finte partecipazioni di privati ipergarantiti (cioè senza rischi) è solo un modo per mascherare spesa pubblica aggiuntiva, e di far regali ad amici.
4. Smetterla di favorire i concessionari monopolisti (autostrade, aeroporti, ferrovie, TPL). Regolarli con un’Autorità indipendente. Se non c’è un forte difensore degli utenti che possa resistere alle non virtuose pressioni politiche, non c’è speranza né di equità né di efficienza nel settore dei trasporti. Si guardi la vicenda delle tariffe autostradali (galline dalle uova d’oro), o i costi del sistema ferroviario, o la scarsa concorrenza nel trasporto locale, o l’aumento arbitrario, pagato dagli utenti, per gli aeroporti, o la sistematica persecuzione delle compagnie low cost (e i folli sussidi all’Alitalia).
5. Per la crisi, concentrarsi sui progetti infrastrutturali che occupano gente e servono subito. La crisi economica non è affatto finita. La spesa pubblica è essenziale per il rilancio occupazionale, e proprio per questo occorre che sia con effetti rapidi, e con alta intensità di lavoro, non di capitale. Cioè tutto il contrario della logica delle “grandi opere”, mentre occorrono manutenzione e “piccole opere” (che tra l’altro sono anche di utilità molto più certa). Lo ha scritto persino il ministro Renato Brunetta!
6. Aiutare chi spinge ad abbassare le tariffe (Ryanair, Montezemolo, la regione Piemonte), non chi le alza (Alitalia). Inefficienze nel caso di soggetti pubblici, o rendite nel caso di soggetti privati non esposti a pressioni concorrenziali, sono tra i mali che affliggono i trasporti italiani. L’attuale governo sembra muoversi in direzione opposta: il ministro Matteoli ha addirittura dichiarato che “auspica che la regione Piemonte (di centrosinistra) rinunci alle gare per i servizi locali, in favore di Fs”. La regione Lombardia (di centrodestra) ha addirittura fuso le ferrovie Nord, di sua proprietà, con Fs. Il governatore del Lazio (di centrosinistra) aveva auspicato l’allontanamento da Roma di Ryanair.
7. A livello urbano, smetterla di far gare per finta per il TPL.Il vero veleno della recente riforma finto-liberale è che i giudici (i comuni) sono anche di solito i concorrenti, con le loro imprese, e si trovano così in un lieve conflitto di interessi, cui però, coerentementecol quadro nazionale, nessuno fa caso. La nuova legge incoraggia poi non tanto la concorrenza, quanto la privatizzazione. I privati senza concorrenza di solito fanno peggio delle aziende pubbliche.
8. Per l’ambiente, fare i conti su dove costa meno abbattere e distinguere i tre temi: effetto serra, danni alla salute, congestione. Difendere l’ambiente è sacrosanto, ma nei trasporti costa molto caro, per ragioni tecniche. Poi i problemi ambientali sono molto diversi tra loro, e richiedono politiche specifiche. Oggi in nome dell’ambiente si giustificano politiche prive di senso: si pensi ai sussidi alle ferrovie contemporanei agli sconti su tasse e pedaggi dei camionisti… o all’Alta velocità dove non c’è domanda.
9. Fare i conti sui gruppi sociali che guadagnano e che perdono con le diverse politiche. È perfettamente possibile valutare gli impatti sociali di politiche alternative, ma questi conti non si fanno mai. Per esempio, la “fuga dalla rendita” spiega gran parte della dispersione urbana, aspramente condannata dagli urbanisti. Ma si pensi anche alle filiere industriali che potrebbero essere avvantaggiate da sistemi logistici più efficienti e concorrenziali, non certo da opere di impatto mediatico.
10. Per concludere: più tecnologia, più mercato, e meno cemento (come dimostreranno i conti, se mai si faranno…). I conti si limiterebbero a confermare il buon senso, e consentirebbero decisioni più condivise e trasparenti, come si usa in alcuni paesi sviluppati.