Caro Eddyburg, la terza delle questioni, che a me paiono emergenti e urgenti, riguarda la figura e il ruolo dell’INU. Sulla sua storia ho scritto alcuni fogli, che qualche amico urbanista ha avuto modo di leggere.
Era noto e ripetuto che il nostro Istituto fosse un corpo con più anime diverse, anche contrapposte. Lo è stato fin dalla nascita nel 1930, quando la formula accademica professionale ha vinto su quella di istituzione al servizio della pubblica amministrazione. Ambiguità e incertezze sono durate nei decenni successivi. Quando sul panorama urbanistico italiano cominciavano ad allungarsi da oltre oceano le ombre della controriforma neoliberista, a Milano ’90 si è tentato, generosamente ma ormai tardivamente, di portare in piena luce le opposta anime interne, per arrivare almeno a un compromesso, che desse vita unitaria al corpo dell’Istituto. La storia dovrà registrare il rifiuto della maggior parte degli urbanisti italiani, durato ben oltre le poche giornate del congresso, di affrontare l’impegno, certo non facile ma necessario.
Il nodo inestricabile, che si era creato, è stato tagliato, come il famoso gordiano, licenziando il vecchio gruppo che fino allora aveva guidato l’Istituto in quelle acque procellose, e facendo largo ai giovani. Ne è seguito un INU tranquillo, senza contrasti interni, con qualche segno di stima da parte del mondo accademico e politico ufficiale. A questo punto però, se si considerano i problemi tuttora irrisolti e in molti casi aggravati, che affliggono le nostre città e l’ambiente abitato in genere, si può nutrire qualche perplessità sulla linea di moderata neutralità (la si chiami pure riformista) assunta dall’INU: Né vale più che tanto la stima ritrovata nella politica e cultura ufficiali. Di ciò qualche dubbio è emerso nello stesso INU, ma senza alcuna risonanza di rilievo.
Due episodi non secondari vengono oggi ad appesantire la situazione. La sostanziale adesione dell’Istituto alla proposta di nuova legge urbanistica della maggioranza di governo (ma non solo) in un testo che è inaccettabile per che ha vissuto la storia dell’Istituto. Le dimissioni di Salzano, che non è un socio qualsiasi, motivate da varie ragioni, compresa la suddetta adesione. Di questo quadro si possono immaginare esiti diversi (come le anime). Che nell’INU tutto proceda tranquillamente come prima. Il trasformismo è per alcuni un vizio, per altri una virtù nazionale. Che si venga allo scoperto, e si tenti un chiarimento nello spirito di Milano ’90 (in teoria sempre possibile). Che si sancisca la definitiva rottura, che alcuni danno di fatto per scontata.
In ogni caso mi sembra che emerga, e non sia eludibile, il quesito circa la figura e il ruolo dell’INU. Chiedendosi anzitutto se oggi ha ancora senso una istituzione come l’INU. A questo dubbio radicale risponderei con una ulteriore domanda. Come e con quali strumenti culturale e politici si pensa di proporre (e magari praticare) il riordino delle nostre squallide periferie e la salvezza dei nostri centri storici, sempre pericolanti? E ancora, volendo allungare lo sguardo oltre casa nostra, proporre una alternativa alle ammucchiate di mediocri grattacieli e di orribile favelas, che riempiono il mondo? Come surrogare una istituzione (espressione di un ordine politico culturale direbbe Olivetti) che promuova i principi dell’Urbanistica? Dobbiamo confidare in qualche mano invisibile o divina Provvidenza di vichiana memoria?
In conclusione, se riteniamo che qualcosa come l’INU sia pur necessaria, mi sembra ragionevole ritornare sulla nostra storia. Può allora capitare, come è capitato a me, che questa storia suggerisca una radicale "rifondazione", con tutto quello di non poco e non facile che ne conseguirebbe. Può essere un’idea sbagliata. Meriterebbe comunque discuterne, per trovarne eventualmente di migliori.
L’INU è stato un organismo di battaglia culturale, in vari momenti della sua storia. Perciò ha svolto un ruolo di rilievo nella società italiana: negli anni in cui si preparava la legge urbanistica del 1942, come quando si è aperta la vertenza politica per la "riforma urbanistica", all'inizio degli anni 60. Ha svolto un ruolo altrettanto rilevante per la formazione dell’urbanista in Italia (non si può non ricordare Giovanni Astengo e la "sua" Urbanistica). La mia opinione è che ha potuto svolgere questo ruolo quando era l’espressione di una linea culturale condivisa, che era possibile quando gli urbanisti erano relativamente pochi. Non ha saputo reggere alla sua trasformazione in una associazione di massa, nonostante i tentativi di alcuni di noi. Ora è un’associazione meramente corporativa, priva di collegamenti con la sua storia (non ti sembra singolare che nessuno mi abbia chiesto di ritirare le dimissioni?). Io credo che le strade per un ruolo quale quello che tu auspichi non passino più in quelle stanze. Comunque, la discussione è aperta.