loader
menu
© 2024 Eddyburg
Gabriel Bertinetto
Torture: il governo italiano sapeva
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
"La vedova del maresciallo morto a Nassiriya: «Mio marito vide le torture»". Da l'Unità del 12 maggio 2004. In calce i link ad altri articoli sull'argomento

La verità che il governo si ostina a nascondere al paese, irrompe prepotentemente nelle case degli italiani con il telegiornale del terzo canale Rai, quello che Berlusconi non è ancora riuscito a piegare. La vedova di un carabiniere morto nell’attentato kamikaze del 12 novembre scorso a Nassiriya, rivela le confidenze fattele a suo tempo dal marito.

Prigionieri torturati. Ufficiali italiani consapevoli. Roma informata. Il ministero della Difesa replica con uno stringatissimo comunicato in cui nega di avere «mai avuto alcuna notizia o informazione da parte di qualsiasi fonte circa trattamenti dei prigionieri non conformi alle norme del diritto internazionale umanitario».

La parola del ministro Martino, quello per il quale in Iraq non si combatte alcuna guerra, contro la parola della signora Pina, vedova del maresciallo Massimiliano Bruno.

In un’intervista che il Tg3 ha anticipato alle 19, e doveva essere poi trasmessa integralmente a tarda ora dalla trasmissione Primo Piano, la donna fa rivelazioni sconvolgenti. «Massimiliano sapeva delle torture, le vide con i suoi occhi». Alla domanda se questi fatti fossero stati raccontati ai superiori, la signora Bruno risponde: «Sì, le denunce sono state fatte. Loro hanno fatto finta di non sapere niente. È come se dicessero ad una madre che un figlio ha rubato».

«Massimiliano -racconta la vedova nell'intervista- era rimasto molto colpito di quello che stava succedendo in Iraq e mi aveva detto: “Siamo nel 2000, neanche ai tempi della prima Guerra Mondiale c'erano queste torture”. C'erano dei posti sotterranei dove nascondevano questi iracheni -prosegue la donna-. C’erano delle celle sotterranee e le controllavano gli americani. Massimiliano mi disse: “Ho visto un carcere, una cosa squallida, bruttissima. Li tenevano nudi”. Loro andavano lì, per questo Massimiliano ha visto queste cose. Perchè loro andavano a prendere i carcerati iracheni e gli dicevano: “Se ti comporti bene, ti facciamo uscire. Ti facciamo lavorare per noi italiani”. Quando ha visto certe cose -continua Pina Bruno- Massimiliano è rimasto stravolto. Non credeva a quello che aveva visto. Mi diceva: “Se me lo raccontavano, non ci credevo. Quelli sono trattati peggio degli scarafaggi”.

I carabinieri fecero delle denunce? «Sì. Massimiliano mi disse che ognuno di loro aveva un compito. C'era la persona che comunicava quello che aveva visto, quello che succedeva e quello che stava per succedere». E i superiori hanno fatto mai niente? «No, -risponde la Bruno- ma dai, scherziamo? È impossibile che nessuno sapesse. È assurdo che loro dicano che non sapevano niente». «Le denunce ci sono state -aggiunge- solo che loro fanno finta di non sapere niente. Perchè sono vigliacchi». «Massimiliano -continua la vedova- sapeva di queste torture e mi diceva: “spero che smettano al più presto”».

Chiamiamo il generale Francesco Bruno Spagnuolo, comandante del contingente italiano in Iraq. Ha visto il TG3, generale? Risposta negativa. Lo informiamo del contenuto dell’intervista, e Spagnuolo descrive un contesto che secondo lui potrebbe aiutare a interpretarla correttamente. «Posso dirle -afferma il generale- che dopo il mio arrivo, alcuni mesi fa, venni a sapere che c’erano problemi con la polizia locale, per il modo in cui essa trattava i detenuti. Mi fu detto che c’erano difficoltà nel convincere gli agenti iracheni a trattare in maniera corretta le persone in loro custodia. Comportamenti simili venivano tenuti anche dalle varie milizie locali, che quando prendevano qualcuno, spesso lo massacravano di botte».

«A parlarmi di questa realtà -continua Spagnuolo- fu lo stesso comandante della Msu (Unità multinazionale specializzata costituita prevalentemente da carabinieri), colonnello Burgio, prima di lasciare il paese, alla fine della sua missione. Mi disse che i suoi uomini avevano avuto problemi nel convincere la polizia locale che gli arrestati non dovevano essere picchiati e maltrattati. Ritengo dunque che gli episodi a cui fa riferimento la vedova nell’intervista di cui lei mi parla, riguardino il comportamento di agenti iracheni».

Il generale Spagnuolo aggiunge di avere saputo solo da giornali e televisione delle torture compiute nei campi gestiti da inglesi e americani. «Per quanto ci riguarda, ribadisco ancora una volta che quando fermiamo qualcuno, entro dodici ore lo consegniamo alla polizia irachena oppure, se catturato in atteggiamento ostile, agli inglesi che comandano la divisione multinazionale della regione sud, a Bassora. Questo avviene nel quadro di norme Nato che regolano i rapporti con le altre forze della Coalizione, anche se questa non è una missione Nato. Noi come brigata italiana non avremmo né le strutture né le competenze per gestire campi di prigionia. Aggiungo che gli individui da noi fermati, prima di essere consegnati ad altri, vengono sottoposti a visita medica da parte del personale della Croce rossa militare».

Considerazioni simili otteniamo dal generale Marchiò, che è inserito con un ruolo di vice nella struttura di comando della divisione a guida britannica. «Le prime notizie di torture a Bassora le ho avute dagli articoli del Daily Mirror, nelle rassegne stampa dei giorni scorsi. Sono qui da marzo, e nessuno mi ha mai parlato di cose simili».

Orrore, sdegno. E assoluta ignoranza dei fatti. Questo tipo di reazione accomuna gli ambienti militari italiani in Iraq, o per lo meno le fonti a cui ci rivolgiamo. «Viviamo questa vicenda con ripugnanza -afferma il colonnello Giuseppe Perrone, portavoce dela task force dell’operazione Antica Babilonia, raggiunto telefonicamente alla base Tallil, presso Nassiriya-. Come uomini in uniforme e come cittadini del mondo, ci sentiamo estranei a pratiche così brutali e disumane. Tra l’altro questi obbrobri rischiano di mettere in cattiva luce il lavoro che noi svolgiamo, che ha invece carattere umanitario. Sono qui dal 30 gennaio. Non mi è mai giunto nulla del genere all’orecchio. Anzi, il nostro comandante generale Chiarini si è impegnato in uno sforzo continuo per istillare nella polizia irachena il senso del rispetto delle persone fermate. Sono addolorato. Come si fa a esportare la democrazia, se chi la predica, razzola male? Quanto a noi, continuiamo l’opera di assistenza ai civili. L’altro giorno abbiamo inaugurato una scuola elementare per 250 allievi, interamente costruita da noi in un villaggio che era totalmente privo di strutture educative. Domani distribueremo medicinali, incubatori, e depuratori dell’acqua in un’altra località presso Nassiriya. Ci rendiamo conto che sono gocce in un oceano di bisogni. Ma è il poco che siamo in grado di fare, e lo facciamo con passione».

In serata lo stesso Perrone commenta l’intervista del Tg3 affermando che «non abbiamo alcun riscontro a quanto denunciato dalla signora Bruno. Posso confermare però che i maltrattamenti e le torture nei confronti dei prigionieri non fanno parte del nostro modo di essere. Nell’addestramento a cui ogni giorno sottoponiamo gli aspiranti poliziotti iracheni, insistiamo invece proprio sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone, soprattutto di quelle che vengono arrestate». Per il portavoce delle forze italiane a Nassiriya per altro, visto che il carabiniere scomparso non può confermare le affermazioni attribuitegli, «il silenzio sarebbe d’obbligo».

A tarda sera il comando generale dell’Arma nega di aver mai saputo nulla, ma la formula usata è cauta: «I superiori gerarchici del maresciallo Bruno dichiarano di non avere mai ricevuto dal predetto qualsiasi notizia inerente a maltrattamenti nei confronti di detenuti nella responsabilità delle forze della coalizione». Come dire: sono loro a dirlo, noi come comando generale ci limitiamo a prendere atto delle loro smentite.

La Croce rossa italiana nega da parte sua non solo di essere stata coinvolta nelle ispezioni del Cicr (la Croce rossa internazionale), ma anche di esserne stata informata. Lo spiega Massimo Barra, che da poco è stato eletto vicepresidente della Federazione internazionale della Croce Rossa (la Cicr interviene nei paesi in guerra, la Federazione in situazioni di emergenza non bellica): «Escludo che le squadre impegnate nelle visite ai luoghi di prigionia iracheni includessero dei nostri connazionali, per il semplice fatto che la Cicr è per statuto composta quasi unicamente di cittadini elvetici. Solo da poco tra i delegati incaricati delle ispezioni è stato ammesso un limitato numero di non svizzeri. Nessun italiano comunque. Aggiungo che la Cicr non informa mai sulle proprie attività le organizzazioni nazionali affiliate. I rapporti sui controlli nelle carceri viene fatto alle autorità dei paesi che gestiscono le carceri stesse». Nel caso specifico Usa, Gran Bretagna, Spagna. Barra non si pronuncia sull’eventualità che il governo italiano abbia ricevuto informazioni sulle torture (anche se ritiene «verosimile» che ciò non sia avvenuto). «Se ha saputo qualcosa, non è stato dalla Croce rossa».

L'Ulivo: «Vergogna, il governo sapeva e ha taciuto» di Luana Benini

Servi e bugiardi leggi l'editoriale di Antonio Padellaro

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg