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Naomi Klein
Torniamo al lavoro
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
”I fanatici della Casa Bianca di Bush non sono né pazzi né stupidi né loschi più degli altri”: questo il sottotitolo dell’articolo della giornalista canadese, che spiega perché bisogna votare “anybody but Bush”. Un ragionamento applicabile anche alla situazione italiana? Da Internazionale, n. 553 del 19 agosto 2004

Torniamo al lavoro

Klein, Naomi

”I fanatici della Casa Bianca di Bush non sono né pazzi né stupidi né loschi più degli altri”: questo il sottotitolo dell’articolo della giornalista canadese, che spiega perché bisogna votare “anybody but Bush”. Un ragionamento applicabile anche alla situazione italiana? Da Internazionale, n. 553 del 19 agosto 2004

A giugno con riluttanza mi sono trovata d'accordo con quelli che dicono Anybody but Bush, "chiunque tranne Bush". A convincermi, alla fine, è stato Bush in a box, un regalo di mio fratello a mio padre per il suo compleanno. Bush in a box è una sagoma di cartone del presidente degli Stati Uniti con una serie di fumetti che riproducono i soliti bushismi.

Classiche cianfrusaglie contro Bush, in vendita da Wal-Mart e fabbricate in Malesia. Bush in a box mi ha però riempito di disperazione. Non perché il presidente sia idiota, cosa che già sapevo, ma perché ci rende idioti. Intendiamoci: mio fratello è un tipo intelligente, che dirige un centro di ricerca. Ma Bush in a box riassume bene il livello delle analisi sfornate oggi dalla sinistra. Il ritornello è noto: la Casa Bianca è caduta nelle mani di un losco gruppo di fanatici che sono pazzi, stupidi o entrambe le cose.

Votate Kerry e fate tornare il paese al buon senso. Ma i fanatici della Casa Bianca di Bush non sono né pazzi né stupidi né particolarmente loschi. Servono solo con spietata efficienza gli interessi delle grandi aziende che li hanno messi al potere. La loro arroganza non deriva dall'essere una nuova razza di fanatici, ma dal fatto che la vecchia razza si trova in un nuovo clima politico incontrollato. C'è però qualcosa nella miscela di ignoranza, devozione e arroganza di Bush che alimenta nei progressisti un disturbo che ho chiamato "cecità Bush".

Quando colpisce, ci fa perdere di vista ciò che sappiamo di politica, economia e storia, facendoci concentrare solo sulla personalità strampalata dell'inquilino della Casa Bianca. Questa follia deve finire, e il modo più rapido per farlo è eleggere John Kerry: non perché sarà diverso, ma perché sulla maggior parte dei temi fondamentali – l'Iraq, la "guerra alle droghe", il conflitto israelo-palestinese, il libero scambio, le imposte sulle società – sarà altrettanto nefasto. La principale differenza è che, facendo queste cose, Kerry apparirà intelligente, assennato e felicemente ottuso.

Ecco perché sono d'accordo con "Anybody but Bush": solo con al timone una persona noiosa come Kerry riusciremo a piantarla con le patologie presidenziali e potremo di nuovo concentrarci sui problemi concreti. Naturalmente la maggior parte dei progressisti è già compatta sull'"Anybody but Bush", convinta che non sia il momento di sottolineare le somiglianze tra i due partiti aziendalisti. Non sono d'accordo. Dobbiamo prendere atto di queste spiacevoli somiglianze e poi chiederci se abbiamo migliori possibilità di combattere un programma aziendalista promosso da Kerry o da Bush.

Non credo che la sinistra sarà ascoltata in una Casa Bianca targata Kerry/Edwards. Ma vale la pena ricordare una cosa: è stato sotto Bill Clinton che i movimenti progressisti in occidente hanno di nuovo cominciato ad analizzare i sistemi, la globalizzazione delle multinazionali e addirittura il capitalismo e il colonialismo.

Abbiamo cominciato a vedere l'impero moderno non come la sfera di un'unica nazione, ma come un sistema globale di stati interdipendenti, istituzioni internazionali e grandi aziende; una comprensione che ci ha permesso di costruire delle reti globali, dal Forum sociale mondiale a Indymedia. Leader innocui, che declamano cliché liberal mentre tagliano lo stato sociale e privatizzano il pianeta, ci spingono a identificare meglio quei sistemi e a costruire movimenti agili e intelligenti per fronteggiarli.

Alcuni sostengono che l'estremismo di Bush ha in realtà un effetto positivo perché unifica il resto del mondo contro l'impero Usa. Ma un mondo unito contro gli Stati Uniti non è necessariamente unito contro l'imperialismo. Malgrado la loro retorica, Francia e Russia si sono opposte all'invasione dell'Iraq perché minacciava i loro piani sul petrolio iracheno.

Con Kerry al potere, i leader europei non potranno più nascondere i loro disegni imperiali dietro le sferzate contro Bush. Lo sfidante democratico sostiene che dobbiamo dare "ai nostri alleati… un equo accesso ai contratti della ricostruzione" e alla "redditizia industria petrolifera irachena". Come se i problemi dell'Iraq si risolvessero dando a Francia e Germania una quota più grande del bottino di guerra.

Non si parla degli iracheni, e del loro diritto a gestire il loro paese e il loro petrolio. Sotto un governo Kerry la consolante illusione di un mondo unito contro l'aggressione imperiale cadrà, mettendo a nudo quelle manovre per il potere che sono il vero volto dell'impero moderno.

Di recente ho avuto un'accesa discussione con un amico a proposito del sostegno di Kerry al muro dell'apartheid in Israele, sugli attacchi gratuiti contro il presidente venezuelano Hugo Chávez e sui suoi pessimi precedenti in materia di libero scambio.

"Sì", ha concordato tristemente l'amico. "Ma almeno crede nell'evoluzione". Anch'io ci credo: nell'evoluzione più che mai necessaria dei nostri movimenti progressisti. E questo non succederà finché non metteremo via gli adesivi da frigorifero e le battute su Bush e non diventeremo seri. Cioè solo quando ci saremo sbarazzati del "distrattore in capo". Perciò, Anybody but Bush. E poi si torni al lavoro.

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