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Francesco Alba; Piccioni Sasso
Torna la scuola di classe
22 Gennaio 2010
Articoli del 2010
Oggi, oltre alla giustizia, tocca anche alla scuola: cancellata l'eguaglianza. Due articoli dal manifesto, 21 gennaio 2010

Ritorno alla scuola del più forte

di Alba Sasso

Annidato in un emendamento a una legge sul lavoro un colpo mortale al sistema scolastico italiano. In pratica la soppressione dell'obbligo scolastico ma solo per alcuni : «i meno volenterosi». A questi ragazzi si indica sbrigativamente un'altra strada: quella dei percorsi di apprendistato. L'apprendistato è una non scuola e un non lavoro. Una parte dei ragazzi continuerà a studiare, un'altra sarà dirottata a un semilavoro precario e sottopagato. Altro che valenza formativa del lavoro! E vogliamo ancora credere che le imprese abbiano voglia di formare la propria forza lavoro, quando i contratti di apprendistato sono serviti in questi anni a tutt'altro: a ridurre le retribuzioni e ad aggirare le norme per l'applicazione dello Statuto dei lavoratori, dal momento che gli apprendisti sono esclusi dal numero dei dipendenti?

Qualche mese fa un rapporto di Bankitalia dimostrava come sia produttivo l'investimento in istruzione. E in questo ultimo anno molti paesi europei e gli Stati uniti hanno affrontato la crisi finanziaria economica e sociale investendo massicciamente nel settore della conoscenza.

In Italia invece un pauroso salto all'indietro. Drammatico in un Paese dove, come documenta l'Istat, ancora nel 2008 il 47% della popolazione italiana ha come titolo di studio più elevato solo la licenza di scuola media inferiore. Non c'è solo l'assurdità di cancellare l'obbligo di istruzione almeno fino a sedici anni, presente in tutti i paesi civili. C'è una brutale volontà di ritorno al passato: di cancellare quel nesso tra istruzione e sviluppo che fu alla base della riforma della scuola media unica del '62 e persino di negare l'idea positivista d'inizio secolo, secondo la quale il progresso sociale doveva misurarsi con la necessaria alfabetizzazione di vasti strati della popolazione.

Una scelta confusa e pasticciata (a quindici anni e quindi dopo un anno di permanenza nella scuola secondaria). Ma qualcuno pensa a queste ragazzi e ragazzi più fragili culturalmente, più deboli socialmente sballottolati da un percorso all'altro ai quali si nega formazione e futuro?

In realtà dietro tutto questo c'è un'idea precisa di società - la società del più forte - e di governo - forte con i deboli e debole con i forti. E c'è un attacco alla democrazia perché è scelta di democrazia, quella di un paese che riesce a garantire livelli diffusi di istruzione al più alto numero di cittadini, combattendo l'idea che la formazione serva solo a selezionare i migliori, piuttosto che a intercettare e valorizzare le capacità specifiche di ognuna e ognuno. La scuola non può essere «un ospedale che cura i sani ed espelle i malati», ma deve essere un luogo, che continuando a garantire a tutti l'accesso all'istruzione , è in grado di intercettare il merito dovunque si nasca e da qualsiasi famiglia si provenga.

Questa norma -sottratta a ogni discussione- e che bisogna cancellare subito è un attacco alla democrazia sostanziale, è una scorciatoia per non affrontare con riforme vere il tema drammatico della dispersione scolastica . Una ferita per tutto quanto costruisce civiltà, democrazia e futuro per il Paese e per le nuove generazioni.

Obbligo scolastico? In officina

di Francesco Piccioni

Si dice: «l'istruzione fa la differenza», perché permette di aumentare sia la produttività generale che lo stipendio individuale. Quindi, cosa fa questo governo? Permette di trascorrere l'ultimo anno di istruzione obbligatoria (il secondo anno delle superiori, in un percorso regolare) sotto forma di «contratto d'apprendistato». Gli «accordi di Lisbona», nel 2000. avevano fissato l'anno appena iniziato come il traguardo da tagliare per una matura «economia della conoscenza». Ben arrivata, Italia!

La Commissione lavoro del Senato, ieri mattina, ha approvato un emendamento - presentato dalla maggioranza - al disegno di legge sul lavoro, collegato alla Finanziaria. In cui è previsto che l'apprendistato possa valere a tutti gli effetti come assolvimento dell'obbligo dell'istruzione. Avete presente quel che fanno già spontaneamente molti genitori poveri, nei territori più arretrati? Non mandano più i figli a scuola, perché servono le loro braccia per portare a casa qualche euro in più. Si chiama «dispersione scolastica» e viene da decenni combattuta in molte forme. Ora non più. Diventa legalissima, anzi, equivale «quasi» a un titolo di studio, purché avvenga «solo» tra i 15 e i 16 anni di età.

Un ministro incommentabile come Maurizio Sacconi ci ha tenuto a rilasciare il suo personale giudizio su questa misura: «Non si tratta per nulla di anticipare l'età di lavoro, ma di consentire il recupero di un giovanissimo demotivato a seguire gli altri percorsi educativi attraverso una più efficace modalità di apprendimento in un contesto lavorativo. Si tratta in ogni caso di una possibilità in più e del riconoscimento comunque che il lavoro è parte del processo educativo di una persona». C'è da pensare, dunque, che si possa prima o poi essere messi al lavoro anche prima dei 15 anni, tanto sempre «educazione» è. Non a caso, il testo risulta in conflitto con almeno due leggi esistenti da molto tempo: l'obbligo scolastico e l'età minima per poter lavorare, entrambe fissate a 16 anni.

Immediate le reazioni politiche e sindacali, con il Pd che tramite Fioroni - ex ministro dell'istruzione - parla di «inaccettabili salti indietro nella formazione»; l'Idv di «governo ignorante che incita all'ignoranza». La Cgil vi nota «l'abbassamento dei diritti», criticando la becera «propaganda» sui temi del «lavoro per i i giovani e la lotta al sommerso». Critiche senza appello arrivano anche dalle assai più bendisposte (di solito) Cisl e Uil, che parlano di «emendamento da ritirare».

Tra l'allarmato e l'ironico, invece, la reazione dei diretti interessati. Mentre la Fgci invita il presidente Napolitano a non controfirmare il testo (che dovrebbe iniziare il percorso in aula già lunedì prossimo), la Rete degli studenti coglie il nesso tra il testo e i fatti di Rosarno: «e ora tutti a raccogliere le arance!». Complice anche l'altro ministro, Brunetta, che nei giorni scorsi aveva straparlato di una «legge per mettere fuori di casa» chi aveva più di 18 anni di età.

Il decreto lavoro, frutto di mediazioni con il Pd, contiene anche un'unica cosa positiva: il ripristino della gratuità per le cause di lavoro (che era stata cancellata proprio per scoraggiare i lavoratori dal far ricorso contro licenziamenti, ecc). Ma il punto sull'apprendistato «istruttivo» è davvero l'elemento che mette in chiaro l'idea di società che anima questa maggioranza. I giovani in difficoltà con l'assolvimento dell'obbligo scolastico sono, com'è noto, quelli con alle spalle famiglie decisamente povere. Avallare la possibilità di mandarli al lavoro appena un anno dopo la licenza media - a prescindere oltretutto dal merito scolastico - significa, com'è stato osservato subito, «bloccare la possibilità di mobilità sociale».

Peggio ancora, visto che proprio ieri è stato approvato dalla Camera anche il regolamento di riforma delle superiori, che prevede tra l'altro la soprpessione di migliaia di cattedre. Il combinato disposto è quindi chiarissimo: chiudere con l'istruzione «diritto universale» e «risparmiare» sul personale, riducendo la platea dei potenziali «clienti». Persino il senatore Rusconi, del Pd, è stato costretto a riesumare la definizione di «indirizzo classista» per questo schema.

I Cobas, che ieri stavano protestando davanti Montecitorio insieme alla Cgil e altri settori del mondo della scuola, hanno perciò confermato senza esitazioni lo sciopero generale della scuola, proclamato per il prossimo 12 marzo.

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